Bella addormentata

Ed è proprio la politica, o perlomeno la politica invasata all’italiana, l’unica vittima colpevole di Bella Addormentata. Non i cattolici, non i cronisti, non le suore della misericordia, né Beppino Englaro né i sopiti spettatori; Ma i senatori che tra un voto di vita o di morte e una speranzosa apparizione televisiva, se ne sta a mollo, annebbiato dai vapori, in un visionario bagno turco nei sotterranei di palazzo Madama (beffarda ironia per fondamenta liquide di un’istituzione fallace!?). Non c’è ricatto morale, non c’è obbligo di posizione imposta allo spettatore, ma semplicemente il desiderio di far riflettere e di restare in silenzio, sebbene con un ritardo di tre anni, ma restare in silenzio. Fosse anche solo per il minuto canonico che succede i titoli di coda. Una scacchiera di punti di vista in cui ogni spettatore può trovare appoggio alle convinzione che soltanto la libertà del proprio, intimo e libero, vissuto gli ha dato. Quattro storie che ruotano, a distanze geografiche ed empatiche differenti, attorno alla storia di Eluana (compare sempre e solo il nome nel film, quasi a suggerire la triste impossibilità d’equivoco) usate come sapiente escamotage soggettistico per dare vita a personaggi strumentali a Bellocchio per dare voce a ciò che pensa, anche quando a parlare in battuta sono quelli più lontani dal suo credo. In questo modo il regista evita la contraddizione sentenziosa (come si potrebbe chiedere libertà di scelta e il rispetto di questa, se poi si impone il proprio punto di vista, cinematografico o etico, a chi cerca di osteggiare tale scelta solo perché la scelta sarebbe differente?). Non c’è, dunque, la potenza cinematografica di certe immagini visionarie che lo hanno contraddistinto in passato, con personaggi implosi, furenti prigionieri delle regole e del redo, blasfemi a scena aperta e matti da slegare. Ma qui è la storia, più reale e vivida che mai, a non volerle, anzi, quasi a chiedere che non vi siano, per restituire, finalmente silenzio, verbale.