...le sequenze del torneo sarebbero esageratamente lunghe e caratterizzate da un esasperato surrealismo. Non funzionali, insomma, non significative, ma solo dispersive e contrassegnate da un malizioso tocco che ce li presenta non come Principi della Chiesa, ma come ingenui ed entusiasti ragazzotti d'oratorio.
Non sono d'accordo. Anche le lunghe sequenze del torneo sono finalizzate alla caratterizzazione dei singoli cardinali, il cui fine è quello di evidenziare la loro umanità, la loro semplicità e le loro debolezze. Come quando il decano del Sacro Collegio bussa alla porta delle loro stanze per augurare la buona notte e li vediamo intenti a semplici e onestissime occupazioni: un solitario, un puzzle, una pedalata sulla cyclette o alle prese con flaconi di ansiolitici.
Dei "semplici", dei puri, quasi dei bambini, animati da una fede sincera e profondamente preoccupati per le sorti della Chiesa e del Papa. Delle macchiette, direbbe qualcuno, personaggi grotteschi che in nulla somigliano all'immagine solenne di coloro che compongono uno dei più alti e più severamente selezionati consessi.
E allora qual è, se ce l'ha, il senso di tutto ciò? Perché Moretti ha voluto regalarci quest'immagine commovente e intensamente poetica, che certamente non corrisponde alla realtà? Non certo per deridere, non certo per descrivere uno scenario di miseria e di squallore umano ma, e in questo risiede secondo me l'ambizione di Moretti, per mostrarci una Chiesa non quale essa è ma quale egli vorrebbe che fosse. Una Chiesa che si spoglia di tutta la sua pompa, del suo potere, delle sue malizie, dei suoi intrighi, delle sue cupidigie. Una Chiesa debole, dimessa, sofferente, schiacciata dal peso di una immane responsabilità spirituale ma che, proprio in virtù di quella purezza che egli vagheggia, ha in sé la forza che può consentirle di continuare ad assolvere la sua missione nel mondo.
Un mondo nel quale Melville (interpretato da uno straordinario Michel Piccoli) si aggira sperduto, sconfitto, in una sorta di pellegrinaggio alla ricerca di un senso. Un senso che non riesce a trovare e lo porta, al termine del suo inutile pellegrinaggio, nel mondo dell'evasione poetica, in un teatro dove si mette in scena quel Cechov che egli aveva recitato da ragazzo, prima di seguire la sua vocazione, e col quale si chiude il cerchio della sua esistenza. Ed è a questo punto, nella sequenza più straordinaria e poetica del film, che irrompono in sala i cardinali che rivolti a lui, al Papa che credono ritrovato, e non alla scena, lo acclamano, seguiti dal pubblico e dagli attori.
Ma il finale è amaro, e qui la visione di Moretti mostra la corda, perché è una visione terrena, non trascendente, che si rivolge solo alle forze umane e non contempla quella infusa dallo Spirito Santo. Il Papa rinuncia e i cardinali si coprono il volto con le mani, per non assistere a quella che è anche la loro sconfitta. Chi, fra di loro, sarà chiamato a succedergli? Dove, dopo quell'evento inaudito, potrà trovare la forza per sopportare un così grave fardello? In quel momento è come se il sogno morettiano si infrangesse. E' come se Dio li avesse abbandonati, lasciandoli soli nelle tenebre, non rischiarate dalla luce dello Spirito.
Da un laico come Moretti non potevamo aspettarci di più, ma è anche vero che di quel sogno, al termine della proiezione, ci rimane, nonostante un finale apparentemente disperato, una luce che non è quella dello Spirito...ma è pur sempre una luce.
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