Non lasciarmi

La storia è uscita dalla mente di Kazuo Ishiguro che ha svolto tutti quei pensieri che si erano aggrovigliati intorno al tema delle cellule staminali. Cellula su cellula si forma un essere vivente che il delirio tecnologico vorrebbe mero portatore di organi pronti per essere espiantati e donati. E qui il paradosso: per salvare vite umane si distruggono altre vite umane. Quale ipocrisia, infatti, può essere capace di negare l'umanità di quei ragazzi? Esseri creati per donare organi, questa è la legge ed è sufficiente semplicemente rispettarla. La banalità del male, tutto qui. Da una parte educarli al sacrificio estremo, dall'altra dimostrare che hanno un'anima (Hailsham, ultimo baluardo con un'impostazione etica, dice la direttrice). Assuefarli al loro destino e incoraggiarli ad esprimere emozioni attraverso l'arte. Però isolare Tommy per le sue spiccate reazioni emotive. Dal collegio alla casa famiglia, in una sorta di graduale programma di reinserimento sociale e nello stesso tempo la garanzia di un'assistenza durante le fasi del percorso donazione-morte. In fondo, dice Kathy, ognuno di noi, donatori e umani, ha un ciclio da compiere. Nel mezzo, le domande di tutti (chi mi ha generato-modello=mamma?); i sentimenti di tutti (innamoramento, gelosia, invidia, amicizia, voglia di vivere, rabbia); la comune ricerca di una identità (la storia comincia e si dipana lungo la memoria di Kathy). Il futuro, però, è contratto fino al dissolvimento: la speranza di prorogare la morte ed il divieto inappellabile di generare vita. Tutto questo raccontato da Romanek con piglio visionario, in una luce opaca, con un occhio fermo ed umido che rende incerti i contorni, in un alternarsi di spazi claustrofobici ed agorafobici. E gli sguardi malinconici di Kathy, Tommy e Ruth, ontologicamente oscillanti tra speranza e disperanza.