Il profeta |
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Un film di Jacques Audiard.
Con Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Reda Kateb, Hichem Yacoubi.
continua»
Titolo originale Un prophète.
Drammatico,
durata 150 min.
- Francia, Italia 2009.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 19 marzo 2010.
MYMONETRO
Il profeta
valutazione media:
3,63
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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martedì 6 aprile 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La tendenza (non di rado utilitaristica) del critico, del bravo spettatore, del cinefilo in generale, è di stupirsi delle piccole cose, ricercando e apprezzando i dettagli più della rappresentazione evidente, il particolare rispetto alla sequenza costruita e complessa. Un Profeta ne ha tanti, di dettagli e particolarità. Il volto inedito di Tahar Rahim, il dialetto corso di Neils Arestrup e il suo sguardo feroce e tradito, il rivolo di sangue che gocciola dal mento di chi nasconde una lametta in bocca, lo spalancare la bocca e mostrare la lingua in un controllo all’aeroporto, cedendo all’automatismo appreso durante le perquisizioni carcerarie, e tanti altri. Un Profeta, attraverso questi dettagli, ricostruisce delle vite, ma dietro le stesse non c’è la costruzione di un’impressione unica e coesa, una forza, un’identità emotiva, come quella che nasce nei film di Tsai Ming Liang, Altman, Malick, dal Cimino de I Cancelli del Cielo o Peckinpah di Pat Garrett e Billy the Kid. Autori di opere molto diverse fra loro, ma tutte assumono nel ricordo un’impressione definita, e richiamarle alla memoria significa tornare ad un mondo che ha ospitato noi, così come il suo autore. Il Profeta, come ripete spesso, lavora solo per se stesso, e Audiard ricostruisce la sua vita scegliendo e accostando dei ritagli di realtà. Inoltre il regista, con critica e amara ironia, descrive nella prigione un percorso formativo, che porta il protagonista Malik, confuso diciannovenne, a diventare un criminale rispettato e temuto. Ancora, le dinamiche interne al sistema carcerario si fanno specchio della società francese; ma in questo, sinceramente, trovo una certa sopravvalutazione dell’incisività e del valore del messaggio, come in alcuni film di Haneke. Il Profeta lavora per sé e per la sua storia, l’arricchisce di riferimenti mistici, talvolta svuotandoli delle loro spiritualità, in altre occasioni restituendogliela, per quanto malconcia. Inquina la sua realtà con la finzione cinematografica, attraverso ralenti e uomini che vivono con la gola squarciata. E, nel complesso, (di)mostra la propria consapevolezza, forse eccessiva, che impedisce di scorgere un’anima imprevista, immediata. slowfilm.splinder.com
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