così come il genio, ritenuto contiguo (nullum magnum ingenium...).
Saggiamente, Mary Harron non mette becco nella faccenda. Il suo, biopic che si traduce in gossip, "maldicenze di serve" si diceva un tempo. S'impara lo stesso. Io, p.es., non sapevo chi aveva inventato le "impronte gluteali".
Neanche lontanamente si affronta la questione dibattuta se il Catalano fosse o non fosse surrealista. Intanto, quelle di Dalì erano per Magritte "fantasie malsane". Interessò subito per l'originalità ma poi non ebbe buona stampa a causa di frequentazioni con il potere reazionario. Breton lo denigrò. Per Orwell quello era un tipo che cercava, tra l'altro, "good cookery", oggi si direbbe ristoranti con chef stellati e prezzi... stellari (e Gala a far carte false per "arrivare a fine mese"). Chi lo incontrò a Cadaqués racconta che "allungava le mani". Oggi avrebbe avuto fastidi e Gala a sbattersi per trovare fondi per gli avvocati.
Ben Kingsley, perfetto, perfino il brillio negli occhietti matti ma è solo "scena". La protagonista è Gala.
Ma chi era Elena ecc.,ecc., n. a Kazan nel 1894? Una fuoruscita come si diceva allora di quelli che scampavano a fame e persecuzioni. Di un'estrazione sociale in cui affiorava qualche piglio boiardesco. Già allora il fascino slavo sciamava per i posti eleganti dove va la gente danarosa. Bazzicarono anche da noi. A Roma nacque il detto: mi costi quanto un'amante russa.
Elena sposò in prima battuta un grosso poeta impegnato, Paul Eluard. Compare nel film, non chiedetemi perchè. La Harron, se non criptica, è sottile femminista. Salvador Dalì non si spiega senza Gala. Lo adombra spettacolarmente in quell'esaltazione congiunta a picco sul mare. E' lei che trasportò in un'aura sublime il talentuoso disegnatore, che lo iniziò ad interpretare ed esprimere il mistero del profondo. Se lo portò a Londra per uno scambio di vedute con Freud.
Amava viaggiare Gala soffermandosi a tempo indeterminato nelle dimore degli estimatori del famoso consorte. Per decenni i due scorazzarono per la Penisola. Dalì arrivo fino in Sicilia (Africa). Andò a parlare col Papa spinto dalla moglie che voleva un matrimonio religioso per "mettersi a posto". In Toscana si interessò a... Galileo. La magia illusoria del calcolo che ti fa credere di misurare le cose dell'universo. L'attrazione delle geometrie cervellotiche. Borromini, avesse fatto le scuole, anche lui avrebbe immesso il Crocefisso in un ipercubo.
Ma cosa prese l'artista da Roma? Quelle bestiacce, dicono, che si muovono su esili zampette da insetto. L'elefantino di Piazza della Minerva, in groppa un obelisco, incongruo (surreale?). Guardatelo in "faccia". Un incubo dolente, un mostro che soffre e geme. Lo disegnò Bernini che lo fece scolpire ad un allievo. Dalì, in fondo, barocco, non solo nelle acconciature? Lo studioso, comunque, si accorge che le volute in alto di quei baffini incerati sono rococò.
C'era un'altra Donna. Il "caso" del film. Compare di sfuggita una bionda procace e discinta. Rappresenterebbe chi, negli ultimi giorni di Salvador, con l'assenso dell'intelligente e generosa Gala, fece da musa (si diceva così un tempo). Stizza del personaggio reale, la "Voice" che ancora conturba. In TV, dimenticando per un istante di fare la signora, si lasciò andare ad un'irripetibile scorrettezza etno-socio-politica. Compatite. Amanda Lear ebbe benemerenze ma non ricevette lasciti. Mary, la femminista, doveva ritagliarle un cammeo più giusto e più carino.
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