lucio
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mercoledì 7 marzo 2007
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per non dimenticare
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Il 31 luglio 1919 nasce , a Torino , un pargoletto da papà e mamma che sono ebrei . L'ambiente familiare è culturalmente stimolante e il giovane Primo Levi , questo il suo nome , primeggia a scuola e si laurea in Chimica , con il massimo dei voti e con la lode , nel 1941 . In quel periodo , in Italia , erano in vigore le famigerate leggi razziali . Tanti ebrei vennero presi con la forza e messi sui treni che portavano nei campi di concentramento nazisti in Europa . Primo Levi fu catturato il 13 dicembre 1943 . Dopo circa due mesi , il 22 febbbraio 1944 , per lui si aprirono i lugubri cancelli di Auschwitz . Il 27 gennaio 1945 il campo di sterminio venne liberato e il povero chimico italiano , malato e malnutrito , prese una tortuosa via per tornare a casa sua .
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Il 31 luglio 1919 nasce , a Torino , un pargoletto da papà e mamma che sono ebrei . L'ambiente familiare è culturalmente stimolante e il giovane Primo Levi , questo il suo nome , primeggia a scuola e si laurea in Chimica , con il massimo dei voti e con la lode , nel 1941 . In quel periodo , in Italia , erano in vigore le famigerate leggi razziali . Tanti ebrei vennero presi con la forza e messi sui treni che portavano nei campi di concentramento nazisti in Europa . Primo Levi fu catturato il 13 dicembre 1943 . Dopo circa due mesi , il 22 febbbraio 1944 , per lui si aprirono i lugubri cancelli di Auschwitz . Il 27 gennaio 1945 il campo di sterminio venne liberato e il povero chimico italiano , malato e malnutrito , prese una tortuosa via per tornare a casa sua .
Il documentario di Davide Ferrario e Marco Belpoliti ripercorre con le immagini , di oggi e di ieri , il lungo tragitto da Auschwitz a Torino . Primo Levi , nel 1945 , attraversò l'Ungheria , la Moldavia , la Bielorussia , l'Ucraina , ripassò in Germania , entrò in Austria e poi , finalmente , raggiunse l'Italia . I Paesi di allora , ovviamente , sono del tutto cambiati . Anche se , in certi casi , la povertà esiste ancora nell'ex blocco orientale . Fotogrammi vecchi , in bianco e nero , si mescolano sapientemente con quelli attuali , facendo vedere e " sentire " la vita di Primo Levi dopo la sua liberazione . Qualche accostamento con la realtà politica e sociale di oggi mi è parso un poco azzardato , ma " La strada di Levi " è senza dubbio un lungometraggio da vedere .
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gianleo67
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lunedì 6 gennaio 2020
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guerra è sempre!
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Da Ground Zero ad Auschwitz, e poi sulle tracce del lungo e tortuoso percorso nel cuore dell 'Europa orientale devastato dalla guerra seguito da Primo Levi di ritorno a casa sessantanni prima, si snoda questa ricognizione documentaria di Davide Ferrario e Marco Belpoliti. Anche questo, come quello di allora, l'interregno problematico e complesso di una tregua, un periodo di sospensione tra l'orrore dell'ultimo abominio perpetrato dall'uomo sull'uomo e quello prossimo venturo. Da un'idea di Marco Belpoliti, studioso e curatore dell'opera di Levi, Davide Ferrario coglie la palla al balzo per un documentario on the road che si apre alla rievocazione delle avventure 'picaresche' de La Tregua, attraverso steppe sconfinate, paesaggi bucolici e le macerie materiali e ideologiche lasciate dal dissolvimento dell'ex impero sovietico che proprio da quella guerra, ormai lontana nel tempo e nella memoria, era riuscita dominatrice incontrastata.
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Da Ground Zero ad Auschwitz, e poi sulle tracce del lungo e tortuoso percorso nel cuore dell 'Europa orientale devastato dalla guerra seguito da Primo Levi di ritorno a casa sessantanni prima, si snoda questa ricognizione documentaria di Davide Ferrario e Marco Belpoliti. Anche questo, come quello di allora, l'interregno problematico e complesso di una tregua, un periodo di sospensione tra l'orrore dell'ultimo abominio perpetrato dall'uomo sull'uomo e quello prossimo venturo. Da un'idea di Marco Belpoliti, studioso e curatore dell'opera di Levi, Davide Ferrario coglie la palla al balzo per un documentario on the road che si apre alla rievocazione delle avventure 'picaresche' de La Tregua, attraverso steppe sconfinate, paesaggi bucolici e le macerie materiali e ideologiche lasciate dal dissolvimento dell'ex impero sovietico che proprio da quella guerra, ormai lontana nel tempo e nella memoria, era riuscita dominatrice incontrastata. Una ideale prosecuzione delle riflessioni proposte dal grande intellettuale torinese (un appellativo che forse non avrebbe gradito molto) che si è scoperto testimone suo malgrado di un abnorme progetto di sterminio etnico, ma che vi ha saputo cogliere, al di là della brutale contabilità di una contingenza storica e di una collettiva follia di dominio, la vera natura dell'uomo: essere duplice e centauresco, fatto di terra e di spirito vitale e per questo capace di racchiudere in sè la perversione degl istinti animali e l'ineffabile anelito al divino. Da Katowize a Zemerinka, da Ovruc a Starye Doroghi e poi giù fino a Iasi, Ploesti, Curtici, e poi ancora Vienna, Monaco e finalmente il Brennero: un viaggio che come quello di Levi sembre destinato ad approdare al sicuro porto di Odessa dove non arriverà mai, trascinato questi lungo i segmenti impazziti di una strada ferrata frammentata dai fronti in disarmo, in un viaggio della speranza e del disincanto ('Guerra è sempre!' dice Mordo Nahum) che lo condurrà finalmente a casa dopo dieci lunghi mesi, restituendolo al suo mestiere di chimico ed alla sua incidentale vocazione letteraria. Un parallellismo, quello di Ferrario, che si lascia trascinare dall'avventura del cinéma vérité e dagli imprevisti dell'improvvisazione, ma che appare chiaramente mosso da una precisa pianificazione tematica e itineraria: dalla Polonia delle fabbriche in dismissione accompagnati dal cicerone Andrzej Wajda all'Ucraina della tragedia della pop star Igor Bilozir e delle irreversibili contaminazioni di Chernobyl, dai kolchoz relitti di una Bielorussia dove ancora sopravvive il controllo ideologico sull'informazione (e sulle riprese!) alla Romania del post Ceaucescu, origine di una emigrazione verso il belpaese fatta di autobus e giovani badanti costrette lontane da casa per garantire un futuro ai propri figli; infine la grigia e umida pianura magiara, sconfinato deserto umano che rievoca, nelle suggestioni ambientali care a Béla Tarr, l'anticamera di un inferno da cui uscire faticosamente, approdando finalmente alle porte dell'Europa liberata temporaneamente dagli incubi di un passato ancora troppo recente. Un film imperfetto dunque, una specie di work in progress filmato, fatto di riflessioni liriche e passaggi pittoreschi, che chiude la sua estenuata disorganizzazione (come il viaggio che i sovietici approntarono per i reduci di Auschwitz) con la testimonianza di un canuto Mario Rigoni Stern che accompagna scolaresche meneghine sull'altpiano di Asiago e ricorda, con la nostalgia irrevocabile delle occasioni mancate, l'ultimo appuntamento per Natale che aveva dato all'amico ormai scomparso da tempo e che come lui, aveva tollerato la vista di Medusa che non lo ha impietrito e che, come lui, non si è lasciato impietrire dalla lenta nevicata dei giorni.
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