woody62
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sabato 9 luglio 2022
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un grande rascel per un ottimo film
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Un Rascel strepitoso (fu premiato con il Nastro d'argento) è il protagonista de “Il cappotto” l'ottimo adattamento cinematografico che nel 1952 Alberto Lattuada con l'aiuto di un team di sceneggiatori del calibro di Malerba, Zavattini, Prosperi e Sinisgalli, ha fatto del famoso racconto di Gogol. La vicenda dalla Pietroburgo di metà '800 viene portata in una provincia italiana del 1930 (è Pavia, ma potrebbe essere qualunque altra); non cambia però il bersaglio. La triste vicenda umana di Carmine De Carmine, un povero “travet” , solo nella vita e umiliato sul lavoro, è l'occasione per una critica ironica, sottile e alla fine spietata, contro gli uomini di potere, illustrandone vizi, cattiverie e degenerazioni.
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Un Rascel strepitoso (fu premiato con il Nastro d'argento) è il protagonista de “Il cappotto” l'ottimo adattamento cinematografico che nel 1952 Alberto Lattuada con l'aiuto di un team di sceneggiatori del calibro di Malerba, Zavattini, Prosperi e Sinisgalli, ha fatto del famoso racconto di Gogol. La vicenda dalla Pietroburgo di metà '800 viene portata in una provincia italiana del 1930 (è Pavia, ma potrebbe essere qualunque altra); non cambia però il bersaglio. La triste vicenda umana di Carmine De Carmine, un povero “travet” , solo nella vita e umiliato sul lavoro, è l'occasione per una critica ironica, sottile e alla fine spietata, contro gli uomini di potere, illustrandone vizi, cattiverie e degenerazioni. Il Sindaco, trombone, fedifrago e vanesio, perso in faraonici sogni di glorie archeologiche da riscoprire, trascura emergenze ben più gravi per la sua gente. L'impettito segretario comunale, con ambizioni da tenore, tollera i traffici per appalti in mano a speculatori senza scrupoli; l'intero sistema burocratico pare ispirato solo da arroganza, presunzione e superficialità. Vizi tipici nell'era fascista in cui è ambientato il film, ma in realtà Lattuada non contestualizza e lascia così intendere che gli stessi vizi si riscontrano negli anni '50 – ovvero in quella che era la contemporaneità – e aggiungiamo noi, anche settant'anni dopo, ai tempi nostri. Il cappotto nuovo confezionato da un sarto (il divertente Giulio Calì) segna un vero riscatto per il protagonista, che acquista coraggio sia sul lavoro, sia verso il mondo femminile – rappresentato nel film dalla Sanson e da Antonella Lualdi - che gli era stato precluso fino ad allora. Tutto però dura assai poco: il furto del cappotto che gli viene strappato in strada di notte, al freddo, e la tremenda delusione per l'evidente impossibilità di avere giustizia, lo portano alla morte. Nel finale il film vira sul fantastico, alla maniera del De Sica di “Miracolo a Milano” o come in certe commedie di Frank Capra, con il ritorno del fantasma di De Carmine, che avrà una sua rivincita. Bella la fotografia di Mario Montuori e la musica di Felice Lattuada, padre di Alberto. Da rimarcare anche taluni momenti comici come il discorso alla festa di capodanno, il consulto medico prima del trapasso, e soprattutto l'irresistibile “lettura del verbale” che anticipa di qualche anno la famosa “lettera di Totò e Peppino”. Non siamo proprio a quei livelli, ma poco ci manca.
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buonolibero
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domenica 6 agosto 2006
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il cappotto di rascel
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il cappotto di rascel , più che di gogol o lattuada , è quello (quel poco) che mi rimane nella memoria di ragazzino di dieci anni che va a vedere il film credendo di divertirsi come un pazzo col corazziere e con altri nonsense e amenità del genere (rascel in quel momento è uno degli attori più in vista del varietà italiano, le sue macchiette vengono proposte e riproposte dalla neonata televisione in bianco e nero)e invece mi imbatto in un piccolissimo (praticaemente un nano) ridicolo personaggio , akakj akakjevic , che fa lo scrivano e viene sfottuto - come è giusto che sia nel nostro mondo - da tutti i colleghi e superiori, anch'essi una teoria infinita e informe di grigia malignità...viene sfottuto e angariato ( tutti gli danno lavoro da copiare ).
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il cappotto di rascel , più che di gogol o lattuada , è quello (quel poco) che mi rimane nella memoria di ragazzino di dieci anni che va a vedere il film credendo di divertirsi come un pazzo col corazziere e con altri nonsense e amenità del genere (rascel in quel momento è uno degli attori più in vista del varietà italiano, le sue macchiette vengono proposte e riproposte dalla neonata televisione in bianco e nero)e invece mi imbatto in un piccolissimo (praticaemente un nano) ridicolo personaggio , akakj akakjevic , che fa lo scrivano e viene sfottuto - come è giusto che sia nel nostro mondo - da tutti i colleghi e superiori, anch'essi una teoria infinita e informe di grigia malignità...viene sfottuto e angariato ( tutti gli danno lavoro da copiare ).ma lui non se ne cura più di tanto, tutto preso com'è dalle lettere , nel senso di copiatura ( ci mette un tale impegno eun tale amore nel copiare quelle cartacce e renderle così dei piccoli capolavori di bella scrittura , che solo un pazzo potrebbe fare qualcosa di simile). tutto sommato il rascel-akakìn nsarebbe anche felice ( il lavoro se lo porta anche a casa, una fetida stanza dotata di un letto e un tavolaccio) , se non ci fosse il fatto che l'inverno s'approssima e il cappotto ( anzi chiamiamola vestaglia , perchè è talmente sottile e lisa da non meritare quel termine) è ormai arrivato al capolinea e non c'è possibilità alcuna di rammendarlo. si rifiuta di farlo perfino il sarto ex servo della gleba ubriacone e nullità assoluta come petrovic ( ma anche lui, sotto sotto è un artista , come Akakì nel copiare le lettere) . il progetto del cappotto nuovo e la sua realizzazione - un duetto strepitoso tra rascel e l'attore che fa il sarto , uno anziano, alto, che aveva già recitato con sordi nell'episodio famoso dell'americano in un giorno in pretura ) - è secondo me il nucleo centrale del film. due reietti, due non eistenze che insieme realizzano il "capolavoro" del cappotto nuovo, qualcosa da fare invidia a tutti, perfino ai vice capoufficio del dipartimento. ma la felicità, l'essere qualcuno , qualcosa , grazie a questo luminoso cappotto (chiaramente un simbolo), raggiungere l'attimo di felicità nella vita, costa molto. e infatti subito dopo viene la rovina, soto forma di ladri che gli rubano il cappotto. scena straziante , pietosissima, col rascel-akakì che si dispera, piange, chiede aiuto a tutti , osa parlare perfino con un personaggio importante , un generale della burocrazia ( credo fosse pavese) , ma non ci sarà nulla da fare. più che per il freddo di pietroburgo , muore di crepacuore. e poi il finale - a dire il vero - non perfettamente riuscito, in cui il fantasma di akakì toglie il cappotto all'alto burocrate ( ricordo ch eal povero pavese gli diventano di botto tutti i capelli ritti e bianchi) e si riscatta della sua povera vita su questa terra.
grande prova di renato rascel, ma tutta sul versante patetico, c'è poco o nulla dell'ironia, della satira graffiante di gogol.
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