francesca meneghetti
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domenica 29 ottobre 2023
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e' nata una stella
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Quando penso a Paola Cortellesi, mi vengono in mente il suo monologo sulle donne al premio Donatello e la figura di Monica di Come un gatto in tangenziale: capelli rossi, tatuaggi a josa, tacchi alti, vestiti leopardati e volgari, parlata da burina. Lo so: attrice e personaggio sono due cose distinte, però a volte un ruolo si attacca all’interprete. In questo caso accentua l’attitudine alla comicità della Cortellesi e a volte si associa al comico una certa leggerezza, o superficialità. Questo per dire che sono andata a vedere “Con te c’è ancora domani” con questi filtri e nessun altro: né recensioni, né interviste e ne sono uscita ammirata della bravura di Paola, anche in veste di regista. Il film si può definire neo-neorealista.
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Quando penso a Paola Cortellesi, mi vengono in mente il suo monologo sulle donne al premio Donatello e la figura di Monica di Come un gatto in tangenziale: capelli rossi, tatuaggi a josa, tacchi alti, vestiti leopardati e volgari, parlata da burina. Lo so: attrice e personaggio sono due cose distinte, però a volte un ruolo si attacca all’interprete. In questo caso accentua l’attitudine alla comicità della Cortellesi e a volte si associa al comico una certa leggerezza, o superficialità. Questo per dire che sono andata a vedere “Con te c’è ancora domani” con questi filtri e nessun altro: né recensioni, né interviste e ne sono uscita ammirata della bravura di Paola, anche in veste di regista. Il film si può definire neo-neorealista. Ambientato nell’immediato dopoguerra, fotografato in BN (da Davide Leone), racconta, come nella tradizione neorealista, la durezza della vita dei ceti popolari, con una narrazione che segue, in modo naturalistico, l’ordine del tempo, e con una confinazione dei personaggi assai più ampia del cerchio dei protagonisti, così da includere le comari del caseggiato che rammendano all’aperto, le lavandaie che distendono i panni sopra i tetti di Roma, il meccanico che tira a campare, la negoziante con la vetrina di merceria, la fruttivendola al mercato del Testaccio, il nero della Polizia Militare americana. Tra loro c’è chi fatica a campare e chi, con la borsa nera o con affari intrecciati con i tedeschi, sta decisamente meglio. Gli spazi esterni, cari al neorealismo, sono il caseggiato popolare e il quartiere (via Bodoni), il lungotevere Testaccio, che, fotografati in bianco e nero, e opportunamente trattati in postproduzione, sono veramente suggestivi, da anni quaranta. Gli spazi interni, creati a Cinecittà, sono dati soprattutto dal misero ma dignitoso seminterrato dove vive Delia, la protagonista, con una figlia adolescente, due figli di età scolare, un marito e il suocero. Delia (interpretata dalla Cortellesi) è l‘eroina di questa storia. Nonostante sia incessantemente all’opera per far quadrare il bilancio familiare, rammendando, lavando, aggiustando ombrelli, e per accudire il suocero infermo, è oggetto di disistima, di violenze verbali (a cui partecipa il suocero) e di violenze fisiche. Sarebbe di per sé un quadro familiare tragico e disperante (e purtroppo ancora attuale), specie agli occhi dei tre minori, ma la cupezza della situazione viene alleggerita, mediante alcuni espedienti. Le scene di violenza, di per sé crude e inquietanti, non sono mostrate, tranne lo schiaffo iniziale: o per reticenza o per metamorfosi. Nel primo caso, si intuiscono ma non si vedono proprio (la regista ha dichiarato a questo proposito: Avevo paura che il voyeurismo prendesse il sopravvento). Nel secondo, e mi riferisco alla scena cruciale, quella che dovrebbe essere una lotta selvaggia tra aggressore e aggredita si trasforma in una danza: il gesto parte con intenzione cattiva e poi si tramuta in altro. In questa sequenza sono bravissimi tanto la Cortellesi, quanto Valerio Mastrandrea (attore che ho molto amato e che francamente non sopporto nei panni di padre-padrone). Una colonna sonora ibrida (all’inizio in tema con gli anni ’40, poi di diversa provenienza), tende a sottolineare per enfasi o, al contrario, con ironia, situazioni come questa. Ma Delia, che per gli uomini di casa dovrebbe restare muta e invisibile, una sorta di perfetto elettrodomestico, attraverso il confronto con la figlia, innamoratasi di un ragazzo che potrebbe schiavizzarla, come lo è stata lei, a un certo punto, inizia la sua metamorfosi. Ciò potrebbe portarla alla fuga, magari con il meccanico che le faceva la corte un tempo, ma potrebbe prendere anche un’altra strada, a sorpresa, in grado di ridarle dignità e autostima, e forse di rimettere in riga il maschilista di casa. Non aggiungo di più per non spoilerare. Il messaggio dl film è senz’altro femminista, teso a ristabilire il rispetto della donna, ma, anche se ha una propensione etica, educativa, didattica (se vogliamo), è ben lungi dall’essere un pistolotto ideologico. La grazia narrativa e le battute (il comico cammina a fianco del tragico) ne fanno un film godibile e commovente, che apre il cuore.
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marco
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giovedì 2 novembre 2023
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neorealismo in salsa veltroniana
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Una volta c'erano Scola , Rossellini , De Sica .....
Una volta cerano la Magnani Mastroianni la Loren......
La stagione di quando il cinema italiano indicava al mondo una strada e uno stile è tramontata ormai da decenni.
Non basta un film in bianco e nero buttando qua e la citazioni dei bei tempi che furono per esultare, l'opera prima della Cortellesi finisce invece per renderci amaramente più consapevoli di quanto spazio ci separi oggi dalle glorie passate.
Il film è pretenzioso, didascalico, indugia nel facile e nel retorico, il che conforta un pubblico sempre più comodamente adagiato nel non pretendere troppo , veltronianamente mellifluo e ubiquamente indulgente e compiaciuto.
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Una volta c'erano Scola , Rossellini , De Sica .....
Una volta cerano la Magnani Mastroianni la Loren......
La stagione di quando il cinema italiano indicava al mondo una strada e uno stile è tramontata ormai da decenni.
Non basta un film in bianco e nero buttando qua e la citazioni dei bei tempi che furono per esultare, l'opera prima della Cortellesi finisce invece per renderci amaramente più consapevoli di quanto spazio ci separi oggi dalle glorie passate.
Il film è pretenzioso, didascalico, indugia nel facile e nel retorico, il che conforta un pubblico sempre più comodamente adagiato nel non pretendere troppo , veltronianamente mellifluo e ubiquamente indulgente e compiaciuto.
Buttiamoci un po'di critica al patriarcato, un po' di nostalgia neorealista, un po' di verve comica e di ammiccanti e belle canzoni del nostro immaginario per non disturbare la nostra confort zone e il risultato al botteghino sarà di sicuro successo.
La critica del piccolo mondo antico di Roma sarà sbalordita, il quadrilatero Trastevere/Testaccio/Monti/San Saba di lotta e di governo applaudirà bonoriamente rassicurato , il Festival romano noto solo ai romani darà ragione al suo stato e ragion d'essere, con familistica persevenranza. Belle scene , bei costumi, ambientazione pregevole , per il resto la faccia musona e un po' bastonata della protagonista ci riporta inequivocabilmente alla realtà del nostro cinema romano. Per una volta avremmo potuto osare un po' meno....
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[+] parole sacrosante!!!
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nino pellino
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sabato 4 novembre 2023
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ottimo esordio alla regia per paola cortellesi
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Sono rimasto entusiasta dopo aver visto il film "C'è ancora domani" diretto dalla famosa attrice Paola Cortellesi qui al suo esordio alla regia. Entusiasta dicevo ma non proprio sorpreso in quanto la Cortellesi ha sempre interpretato in precedenza diverse pellicole che mi hanno affascinato e conquistato, tra cui ad esempio "Il posto dell'anima" risalente esattamente a venti anni fa e diretto dal regista Riccardo Milani, oppure altre pellicole che, pur essendo caratterizzate da momenti di gradevole comicità, sono state comunque in grado di trasmettere interessanti messaggi agli spettatori e qui cito altri film come "Nessuno mi può giudicare", "Gli ultimi saranno ultimi", entrambi diretti questa volta da Massimilano Bruno.
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Sono rimasto entusiasta dopo aver visto il film "C'è ancora domani" diretto dalla famosa attrice Paola Cortellesi qui al suo esordio alla regia. Entusiasta dicevo ma non proprio sorpreso in quanto la Cortellesi ha sempre interpretato in precedenza diverse pellicole che mi hanno affascinato e conquistato, tra cui ad esempio "Il posto dell'anima" risalente esattamente a venti anni fa e diretto dal regista Riccardo Milani, oppure altre pellicole che, pur essendo caratterizzate da momenti di gradevole comicità, sono state comunque in grado di trasmettere interessanti messaggi agli spettatori e qui cito altri film come "Nessuno mi può giudicare", "Gli ultimi saranno ultimi", entrambi diretti questa volta da Massimilano Bruno.Con la sua ultima fatica cinematografica devo dire che la regista Paola Cortellesi ha superato se stessa regalando a noi spettatori una pellicola obiettivamente bella e direi importante per il suo coraggioso significato. La trama ci riporta alla Roma del secondo dopoguerra dove le donne erano sottomesse in famiglia all'autorità dei mariti e dei padri senza avere diritto di replica e di far valere le proprie ragioni. Una situazione quasi simile alla schiavizzazione e soprattutto di violenza fisica, aspetto quest'ultimo ancora purtroppo attuale e nei confronti del quale la regista rivolge pure uno sguardo a ciò che spesso accade ai giorni nostri. Il film, essendo stato girato volutamente in bianco e nero, ha tutta l'essenza e la sostanza del grande Cinema italiano del passato, in particolare al periodo neorealista di Vittorio De Sica, a quello più filosoficamente esistenzialista di Michelangelo Antonioni, ma più in generale lo si può accostare ai film appartenenti alla nostra grande tradizione cinematografica di un tempo lontano. Ma allo stesso tempo "C'è ancora domani" non è propriamente un film drammaticamente monotematico. Difatti in esso si intravedono spiragli di cambiamento e di miglioramento per quanto riguarda la condizione sociale della donna. E Paola Cortellesi è riuscita a condensare una certa seriosità del tema trattato con aspetti piacevoli di leggerezza e di ironia che non hanno affatto guastato e che del resto hanno sempre contrasddistinto questa attrice che questa volta ha fatto davvero centro.
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fabriziog
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domenica 5 novembre 2023
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vincera'' il david di donatello
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“C’è ancora domani” di e con Paola Cortellesi è un’opera prima proiettata verso il Premio David di Donatello 2024 come "Miglior Film".
Il bianco e nero, nel potenziare la bellezza visiva del film, fa tornare lo spettatore indietro al neo realismo di De Sica.
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“C’è ancora domani” di e con Paola Cortellesi è un’opera prima proiettata verso il Premio David di Donatello 2024 come "Miglior Film".
Il bianco e nero, nel potenziare la bellezza visiva del film, fa tornare lo spettatore indietro al neo realismo di De Sica. La caratura interpretativa degli attori (Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni) rende la recitazione fluida e penetrante, godibile e incisiva. La violenza del marito Ivano su Delia (una impareggiabile Cortellesi) è resa artisticamente tramite la danza, puro genio creativo, danza che funge anche da strumento di falsa pacificazione. La tensione durante il pranzo di fidanzamento della figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano) è avvertita realmente in sala, con la platea pronta alla esplosione di violenza, che rimane però celata, nel rispetto dello spirito ellenico.
Il mistero è dentro una lettera ricevuta da Delia e il tempo si addensa in due date: il 2 giugno 1946, e al giorno successivo, il 3 giugno 1946.
In questa pellicola riverbera la più possente e grandiosa tradizione cinematografica italiana, sia come direzione che come gestualità attoriale.
I momenti comici punteggiano e rafforzano il pathos e la tragicità della narrazione.
Dietro la macchina da presa scorrono decenni di scene e fermommagine cineastici post bellici nostrani, accompagnati dai brani degli anni ’40, dai ritmi house, rap e breakdance e dalle sonorità musicali di Dalla.
Silenzio, è buio in sala.
Fabrizio Giulimondi
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anna rosa
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sabato 18 novembre 2023
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domani è ancora molto lontano
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Quadretto di genere che descrive vividamente la Roma popolare dell'immediato dopoguerra, nei giorni che precedono le prime elezioni aperte anche alle donne. Di questa Roma fa parte una donna sulla quarantina che ha sposato un uomo abietto che la picchia alla minima contrarietà senza che lei protesti e neanche si lamenti, anzi atteggia il viso al sorriso, mentre i figli - due ragazzi e una giovane - escono dalla stanza senza reagire né a parole né coi fatti. Le sue giornate passano tra le code davanti al negozio di alimentari, servire tutta la famiglia, i lavori anche faticosi che consentono di tirare avanti e le botte che il marito le somministra. Intanto la figlia amoreggia con un giovane dal sorriso di bravo ragazzo, figlio del titolare di un caffè ben avviato, e una domenica la famiglia di lui, pur molto consapevole della sua superiorità economico-sociale, si reca a pranzo dai nostri per concludere il fidanzamento (cosa alquanto inverosimile).
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Quadretto di genere che descrive vividamente la Roma popolare dell'immediato dopoguerra, nei giorni che precedono le prime elezioni aperte anche alle donne. Di questa Roma fa parte una donna sulla quarantina che ha sposato un uomo abietto che la picchia alla minima contrarietà senza che lei protesti e neanche si lamenti, anzi atteggia il viso al sorriso, mentre i figli - due ragazzi e una giovane - escono dalla stanza senza reagire né a parole né coi fatti. Le sue giornate passano tra le code davanti al negozio di alimentari, servire tutta la famiglia, i lavori anche faticosi che consentono di tirare avanti e le botte che il marito le somministra. Intanto la figlia amoreggia con un giovane dal sorriso di bravo ragazzo, figlio del titolare di un caffè ben avviato, e una domenica la famiglia di lui, pur molto consapevole della sua superiorità economico-sociale, si reca a pranzo dai nostri per concludere il fidanzamento (cosa alquanto inverosimile). Senonché la madre un giorno coglie nel comportamento del giovane i segni inequivocabili della possessività distruttiva nei confronti della fidanzata e decide che deve evitare alla figlia di avere il suo stesso destino. Così che fa? Siccome un soldato delle truppe americane ancora presenti in città le vuole mostrare la sua riconoscenza per avergli raccolto la foto di famiglia caduta per terra, lui fa saltare in aria il caffè del padre del fidanzato (altra cosa inverosimile), cosicché salta anche il matrimonio visto che ora il ragazzo è povero. Nel frattempo noi spettatori abbiamo appreso che la madre tanti anni prima amava, riamata, un uomo di cui però lei "non ha aspettato" il ritorno dal fronte (perché? mah!) e che tuttora quel sentimento è vivo in entrambi. Un giorno quest' uomo le annuncia che emigrerà al Nord alla ricerca di un futuro migliore e a quel punto la regista fa sì che lo spettatore si aspetti che lei lo seguirà (cosa inverosimile visto il tipo e visto che sarebbe stata denunciata per abbandono del tetto coniugale). Alla fine scopriamo che se lei continua a guardare l'orologio, se il marito abietto la insegue e la figlia pure, non è perché lei vuole raggiungere in stazione il suo fidanzato di allora, ma perché vuole assolutamente partecipare alle votazioni e così manifestare per la prima volta nella sua vita il desiderio di emancipazione dall'autorità maschile. Ultima immagine: lei ha votato, la figlia l'ha raggiunta e tutt'e due scambiano un sorriso di solidarietà nella visione di un domani più giusto verso le donne (anche se non pare che la ragazza abbia capito a cosa sarebbe andata incontro sposando quel giovane).
Era il '46, le cose sono migliorate: un po', ma ... c'è ancora domani.
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alessandro spata
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domenica 10 dicembre 2023
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"delia" e "michal" donne speculari e contrarie
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L’autrice nel tentativo di non lasciare nello spettatore l’amaro sapore di un “destino diconflittualità di genere permanente” rimane, per così dire, “al centro contro gli opposti estremismi”.
Ed ecco che qui, come da programma, assisteremo all’alternanza di sentimenti misti d'ironia e di angoscia sublimata, come nella vita, dopotutto, forse.
Sinceramente, all’uscita dalla sala ho avuto la sgradevole sensazione di aver speso dei soldi per qualcosa che finirà al macero dell’oblio, di qui a pochi giorni, di qui a poche settimane. Dubito che questo film diventerà l’occasione per un profondo esame sociale (sempre ammesso che il cinema abbia questa funzione) Mentre scrivo altri femminicidi e stupri ci riportano le cronache.
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L’autrice nel tentativo di non lasciare nello spettatore l’amaro sapore di un “destino diconflittualità di genere permanente” rimane, per così dire, “al centro contro gli opposti estremismi”.
Ed ecco che qui, come da programma, assisteremo all’alternanza di sentimenti misti d'ironia e di angoscia sublimata, come nella vita, dopotutto, forse.
Sinceramente, all’uscita dalla sala ho avuto la sgradevole sensazione di aver speso dei soldi per qualcosa che finirà al macero dell’oblio, di qui a pochi giorni, di qui a poche settimane. Dubito che questo film diventerà l’occasione per un profondo esame sociale (sempre ammesso che il cinema abbia questa funzione) Mentre scrivo altri femminicidi e stupri ci riportano le cronache. E monta feroce l’impressione che lo spettatore recandosi al cinema non abbia fatto altro che portare i suoi fiori all’ennesimo capezzale dove si celebra la fine della coscienza collettiva. È anche vero che portare fiori ad un funerale non esclude che si possano compiere contemporaneamente opere di bene, tutto sommato. Il problema sarebbe se ci fermassimo ai fiori, semmai.
E poi il bianco e nero “scelta autoriale”, si dice.Sinceramente vi dico, invece, che è proprio questa fotografia in stile “laccato-opaco”, questo suo “allure minimale” che sembra funzionale proprio allo stile leggero della commedia all’italiana che intende non “scandalizzare troppo il borghese”. E allora si preferisce svaporare i contrasti e diluire le contese, si edulcorano i sensi e si smorza la reattività e così finisce che pure “i carnefici appaiono uomini più spauriti e più isolati delle donne stesse". E le botte si stemperano a suon di "passi di danza”. Quando, qui ci sarebbe bisogno, semmai, di colori brillanti, smalti satinati che riflettessero in pieno tutto l’orrore che vive la protagonista e la crudeltà dell’ambiente in cui si muove e che la soggioga.
Questo - non è un film politico, né ideologico, né di parte -. E non è un complimento!
È ovvio a tutti che questo film cada in un periodo storico italiano molto sensibile e sensibilizzato dai recenti fatti di cronaca che hanno visto decine di donne morte ammazzate da partner ed ex partner e dove il numero delle violenze sono sottostimate perché non tutte hanno ancora il coraggio o la possibilità di denunciare oppure perché qualcuna crede ancora che “se ti mena, vuol dire che ti ama”.
Quindi, fatalmente questo film finisce per assumere il profilo di “evento sociopedagogico”, quasi, che esula dalla valutazione della mera “forma” artistica dell’oggetto film in sé.
E il cinema ha una funzione pure educativa, si dice, se è vero che il cinema è il medium che più di tutti è capace di decodificare i messaggi di questa nostra “età contemporanea di transizione”.
E allora, mai come adesso la “forma” diventa “sostanza”. Perché, sempre secondo me, non sarebbe concesso neanche lontanamente (sor)ridere nel bel mezzo di uno scempio morale, etico e sociale. È possibile che tutto debba essere sempre e per forza “divertente” per essere attraente?
Mi è balenata l’immagine del volto di Robert De Niro che interpreta Al Capone nel film di De Palma “The Untouchables” - Gli intoccabili, allorché il protagonista mentre è nel palco di un teatro a commuoversi dinnanzi all’esibizione di Caruso, riceve la notizia della morte di Jimmy Malone il poliziotto interpretato da Sean Connery. E qui De Niro dà ennesima prova delle sue alte doti espressive mentre piange e ride contemporaneamente per il “lieto evento” che gli è capitato. Voglio dire che la commedia all’italiana (tranne qualche eccezione, forse) mi appare come uno strumento tipico del “chiagni e fotti”. Cioè siamo maestri, pure nel cinema, nel lamentarci, ma mentre mugugniamo cerchiamo pur sempre di trarre dal putrido quanto ci serve e fino a quando ci è possibile. Questo film di sicuro sancisce per la Cortellesi un bel successo personale, meritato quanto volete. Ma non andiamo oltre, temo.
Se avesse voluto insistere nella sua azione edulcorante, ma tutto sommato verosimile, per tenersi a debita distanza dagli “opposti” stereotipi di genere femminile e maschile (e con relativi pregiudizi al seguito) la regista avrebbe potuto sottolineare con più decisione l’idea che uomini e donne siamo tutti oppressi alla fine da un nemico comune seppure molto astratto: il mito della “struttura sociale” che ci vuole tutti sottomessi; tutti “condannati ai rispettivi talenti”. Tutti prigionieri stereotipati nell’ordine del “discorso maschile”. Però poi si dovrebbe avere il coraggio di andare fino alle estreme conseguenze di tale assunto.
Allora, se è vero che la “tradizione” o il mito della “struttura sociale” esercitano un influenza decisiva nel confronto tra uomini e donne in una comunità sociale e all’ombra di un certo periodo storico, qual è il legame di Delia madre e sposa con la tradizione della sua comunità e del suo tempo ?Come si può conciliare la dipendenza totale dalla tradizione (quella che vige in casa di Delia, almeno) con il rifiuto di essere alla mercé di questa? Bisognerà decidere qual è la priorità, forse. E qual è l’obiettivo qui?: il rispetto di sé o conservare una relazione con l’ambiente circostante pur arrendendosi alle richieste-pressioni di quest’ultimo anche solo per salvare la pelle? Delia, qualunque sia il suo obiettivo, sembra “scegliere” la seconda opzione:uniformarsi alla tradizione, adeguarsi ai “sacri” precetti della società del suo tempo con puntiglio asfissiante e tale remissiva accondiscendenza da apparire persino insopportabile - quando non discretamente stolta–. “Non ci piace quello che le fanno, ma soprattutto non ci piace quello che Delia non fa (o “non può fare? O “non vuole fare?”)”.
Delia è un'anticonformista per i suoi tempi a suo modo e un intellettuale per la sua abitudine a porsi delle domande. È una contestatrice in embrione ancora ferma allo stadio dell’invocazione, della preghiera, per così dire. È “ostinata” nel pensiero, ma non così irritante nell’agire, alla fin fine. Per la serie “non capisco, ma mi adeguo”, volente o nolente.
Delia, forse, riuscirà ad affrancarsi dalle afflizioni maturando il convincimento che non può essere lei sola e “da sola” a governare la propria vita. C’è bisogno di coinvolgere interi pezzi sempre più vasti di comunità femminile e maschile.
Ed è proprio qui che l’ambiguità non si risolve, però, secondo me. Perché se è vero che la massa fa la forza (e il “voto” è sicuramente un modo buono per coinvolgere le masse) è anche vero che a livello individuale rimane il dubbio che manchi qualcosa. E questo qualcosa di individuale Delia come sembra risolverlo? Da una parte il sospetto è che si tenda sempre a delegare agli “Altri” o a qualcos’«Altro da noi». Il voto qui per la funzione abnorme di cui è caricato sembra davvero una delega in bianco ad un’entità non ben definita (la “società?”) che risolve i nostri guai. È un’idea bella e romantica di sicuro, ma temo non possano bastare le urne elettorali come soluzione dei problemi in generale, soprattutto in un tempo in cui nessuno quasi va più a votare ormai. Dall’altra parte c’è il timore che all’individuo in quanto tale per provare ad emanciparsi dal concreto squallore quotidiano, non resti che “far saltare in aria i negozi”, alla bisogna. Insomma, l’alternativa sul piano individuale sembra essere sul presente il terrorismo (legittima difesa?) e sul piano collettivo l’esercizio rituale del diritto di voto cui l’individuo affida il riscatto personale (e della prole femminile), ma questa volta proiettato in un “prossimo” futuro auspicabile.
L’«umiltà» intesa qui come sottomissione della moglie-madre Delia acchiappa la simpatia e l’empatia sacrosanta della platea che sia capace di un minimo di umanità, ma diventa al contempo inammissibile, riprovevole, persino, ma non perché Delia ci fa pena per le angherie che subisce (o non soltanto, almeno), ma perché in qualche modo Delia pare decidere alla fine di rimanere “dentro“ l’«antinomia» della sua vita, dentro il conflitto in cui è immersa senza riuscire a delineare apparentemente soluzioni plausibili (oscillando tra il senso civico del voto e l’intimidazione mafiosa dell’attentato al negozio). È questo che è sconvolgente. E nel frattempo che ti (di)batti come fai ad educare la tua giovane figlia al rispetto di sé, mentre tu accetti un “amore” che mai potrà attecchire sul fondo arido di un rapporto matrimoniale dissestato?
È qui che la protagonista come tante donne nella realtà ieri come oggi sembrano struggersi.
Non che Delia sia “colpevole”, intendiamoci. Ovviamente, non si possono considerare “colpevoli” le donne che non sanno o non possono opporsi. Chi non si ribella acconsente? No! Chi non si ribella subisce!
Qui la protagonista semmai, forse, ci vorrebbe dire della difficoltà tante volte o dell’impossibilità di piantare paletti, di segnare confini in una comunità tutta che ti rema contro.
E allora, la protagonista finisce tante volte per apparire leziosa, insopportabilmente bonacciona. In certi momenti la regista per ottenere l’effetto comico-pietistico (ridere e piangere al contempo come il De Niro-Capone) sembra volerla fare oggetto di “derisione-benevola”. Secondo me, la Cortellesi insiste un po’ troppo con la sua recitazione volta a esasperare l’aspetto mansueto di una serenità quasi Zen del personaggio per molta parte del film.
Eppure, nella controluce di questo patinato bianco e nero, sembra a tratti che la regista abbozzi un sarcastico ritratto di certa mentalità pure femminile. Perché il contesto dell’ortodossia sociale in cui si muove Delia è talmente opprimente che anche le femmine finiscono per interiorizzarne i principi in diversi casi.
Condannata da dio (chissà) e dagli uomini (più verosimilmente) ad essere costantemente divisa tra l’anelito di libertà e la rassegnazione quasi religiosa alle regole imposte. Delia può apparire come una fragile donnina, a tratti pure sciocca, di una "ingenuità" infantile in modo quasi irritante (“Forrest Gump” al femminile). Non sembra a tratti una sorta di “cenerentola” pronta a riscattarsi col primo principe azzurro in circolazione? (magari proprio lo spasimante di vent’anni prima?). Ma è anche vero che assumere un’aria afflitta di condiscendenza è l’unico modo per sopravvivere tante volte in un mondo di uomini; per raggirare o per non spaventare gli “uomini-bambini” o forse soltanto per disinnescarne preventivamente l’aggressività e la violenza. Le donne come Delia, oggi come allora, se rimangono vive è soltanto tante volte perché rispondono ai canoni di “uomini che cercano una donna delicata" (da “Un Appuntamento per la Sposa” di Rama Burshtein) ovvero non una "attaccabrighe". E Delia tutto sommato è pronta a farsi “turbare” dal “sovversivo” pensiero di un’ingiustizia che non le consente, ad esempio, di essere pagata quanto un uomo, ma non riesce ad andare oltre questa splendida consapevolezza.
E come si addice alla commedia all’italiana il farsesco non diventa mai vera contestazione alla fin fine. E’ vero, ci piacciono le donne “delicate” nella realtà e anche i film “cortesi” al cinema. Di sicuro non ci attraggono granché quei film in cui si descrivono brutalmente le mortificazioni e le angosce di una “guerra spietata di genere“, o dove si propone un oltranzismo urticante di certa ideologia femminista, o dove la prepotenza maschilista sembra irredimibile. Per intenderci siamo lontani da “Una donna promettente” di Emerald Fennell o “Solo mia” di Javier Balaguer o “Ti dò i miei occhi” di Icíar Bollaín tanto per citarne alcuni che però, guarda caso, non ebbero la stessa risonanza (in Italia, almeno) a suo tempo. Forse perché “non era il momento giusto?”, O forse perché vedere certi film ci procura un discreto disgusto, ci sgomenta? In certe immagini l’uomo proietta l’inconfessato timore di poter agire da persecutore e la donna non ha poi tutta questa voglia di pensare alla probabilità di ritrovarsi in casa quel persecutore. Invece, pare che ci sia più comodo pensare a uno che “te n’ammolla una ogni tanto, ma forte” e che contemporaneamente è capace di confondere “i fenici con i fenicotteri”, eventualmente. Davvero divertente. Dal morire dal ridere. E anche commovente, persino, "Benedetta" ignoranza.
Tuttavia, il fatto che la regista non scavi a fondo su certe questioni non vuole dire che l’«azione» o la “non-azione” di Delia, in tutte le sue sfaccettature, non ci ponga un problema.
E dunque, chiediamoci “che cosa avrebbe potuto fare una donna nel 1946? Che cosa dovrebbe essere disposta a fare ancora una donna oggi nel 2023 per opporsi all’andazzo?Allora, non sarà sfuggito che, comunque la pensiamo, Delia ci pone con la sua “bonarietà irritante”, con la sua “azione” sempre “interrotta”, un quesito mica da poco valido in tutti i tempi e contesti:- Qual è il ruolo degli attori sociali nello svolgimento dei processi storici? È la società edificata a partire dalle interpretazioni degli individui? Oppure è la “struttura sociale” a prevalere sui singoli? -. Tutte robe da far tremare le ginocchia! Questi sembrano quesiti dal sapore metafisico o retorico tanto da non presupporre risposte certe, né univoche. Eppure è qui che forse si gioca sempre la questione dei diritti di ciascuno e della libertà individuale e collettiva.
E dunque, qual è l’alternativa a tutto questo? Tra i due estremi delle bombe da un lato e dell’esercizio del diritto di voto dall’altro tertium non datur, quindi? Ma qui ci vuole un “cambiamento”, direbbe “Michal” la protagonista de “Un appuntamento per la sposa” di Rama Burshtein.
Delia di “C’e ancora domani” mi sembra davvero a tratti l’equivalente più “laica” di “Michal” di “Un appuntamento per la sposa”. Uguale e contraria, però. "Michal" riesce a salvare capra e cavolio almeno così s’illude, ma l’importante è crederci. Così "i valori e le norme del sistema diventano anche i valori e le norme di Michal. In tal modo, magicamente non li subisce più.
E finisce (incredibilmente per noi gente secolarizzata) per sentirsi libera all’interno di un’ortodossia religiosa-sociale che di fatto ne restringe la libertà.
"Delia" invece sembra capire (ma quanto è davvero consapevole?) di non poter essere libera all’interno di una società anche questa “ortodossa” a suo modo e prova ad abbozzare una “ribellione”, ma pur sempre, all’interno del sistema dato “accettandone” o “subendone” i precetti alla fine. Anche Delia sembra a suo modo credere di poter utilizzare la “tradizione”, il “mito della struttura sociale” che “su tutti incombe”, come soluzione per realizzare i propri desideri (e quelli di sua figlia) di giustizia e libertà nel presente. E quello di mettere bombe per risolvere le questioni sembra davvero rientrare in una certa “tradizione” di stampo propriamente “maschile”.
In una società violenta che “violenta” le sue donne nel corpo e nello spirito, la risposta, ancorché individuale, non può che essere la violenza? (il negozio che esplode). Di fatto quale modo migliore di delegittimare il modello maschile se non quello di destabilizzarne la sua economia? L’esplosione del negozio equivale simbolicamente ad attaccare le basi economiche su cui la classe dominante degli uomini fonda la sua egemonia sulla classe dominata delle donne. È così anche Giulio vuole perpetuare il suo potere maschilista su Marcella, attraverso il benessere derivante dall’attività di famiglia “così tu non avrai bisogno di lavorare… perché te lo dico io…perché tu sei mia”. Insomma, ancora una volta il modello “maschile” dominante ne uscirebbe pur sempre vittorioso, dopotutto. In effetti, non sembrano esserci per Delia molte opzioni.
Ecco, qui personalmente avrei calcato la mano sul concetto quasi Weberiano che le “strutture sociali” non sono necessariamente un destino, ma possono cambiare spesso come “conseguenza non prevista (“in-aspettata”, cioè che delude le aspettative culturali e sociali correnti) dell'azione sociale (del singolo e/o di un gruppo). E qual è, insisto, l’«azione sociale inaspettata» del “soggetto” Delia? Al di là dei sociologismi e delle sociologie manierate, qual è l’azione che ha un effetto dirompente (di cambiamento) non soltanto sui processi sociali di medio-lungo periodo, ma che può svilupparsi e acquistare significato anche per l’individuo che la compie nel qui ed ora dell’immediato presente? Il voto alle donne o la bomba al negozio della famiglia di “Giulio?” Il voto alle urne che le è stato concesso è sicuramente importante. Ok, ma può bastare? E come incide concretamente il voto sul menage di Delia? Davvero, allora, l’unica speranza nel presente è l’intimidazione mafiosa? Oppure è necessario che il cambiamento inizi all’interno della nicchia familiare per poter essere decisivo? E allora, qual è l’azione efficace “imprevista” qui? Quella di lasciare la famiglia per l’antico spasimante? O quella di arrischiarsela, facendosi valere dentro quest’ultima a prezzo della propria vita, eventualmente? Sfortunata la società che ha bisogno di eroi. E si può chiedere alle Delia di turno di fare l’eroina? (un altro di quei vocaboli che declinato al femminile rischia di acquistare un’accezione negativa).
In sostanza, l’azione dell’umile e isolata Delia che con orgoglio e speranza va a votare finalmente e l’azione della Delia che “mette le bombe” stonano non poco.
Delia da buon personaggio della commedia all’italiana diventa allora, nella migliore delle ipotesi, espressione inconsapevole contemporaneamente della potenza devastatrice e del potere creativo dell'azione sociale. In questa antinomia tra il conformismo individuale ad un modello violento (il maschilismo e la logica mafiosa dell’azione ai danni del negozio) e di creatività trasgressiva dello stesso modello (attraverso l’azione individuale-collettiva del voto) sembra consumarsi il senso dell’azione sociale dell’individuo e di una collettività intera. E qui viene pericolosamente da ridere (una risata isterica) e piangere insieme ancora una volta. Ridiamo e inor-ridiamo per il candore o la sprovvedutezza della protagonista. Ridiamo e inorridiamo per la sua ingenua spietatezza. Ridiamo e inor-ridiamo per la sua “coatta (inevitabile?) docilità”. Ridiamo e inor-ridiamo di certa collettività che dà per scontate certe aberrazioni. Ma rimango fiducioso che anche in assenza di un'Istituzione che favorisca il riconoscimento reciproco, non è un destino che i dominati/e donne o uomini che siano, debbano per forza ricorrere alle bombe per ottenere riconoscimento dai dominatori di turno. E' indubbio che sussiste comunque una contraddizione individuale e collettiva che bisognerà pur sanare prima o poi.
PS; Andiamo a votare sempre e comunque. Fino a quando ne avremmo la possibilità, almeno.
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frankmoovie
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domenica 29 ottobre 2023
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c''è ancora domani: speriamo ...
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Pochi giorni fa mi sono rallegrato per l'arrivo alla regia di Claudio Bisio e oggi esulto per quello di Paola Cortellesi: ha realizzato un film neorealista e commedia, italiano vecchio stile, non solo per i colore in bianco e nero ma anche per la concretezza e crudezza di sentimenti, immagini, personaggi. Una storia di una donna, di tante donne che subiscono violenze fisiche, morali e psicologiche: scrivo "subiscono" e non "subivano" perché l'argomento, di lontane radici, è sempre attuale. Donne ritenute serve in casa, sottopagate a lavoro (se riuscivano a lavorare ...), chiuse nel dolore e poco propense a reagire preoccupate per le reazioni di mariti violenti o per salvaguardare i figli che, spesso, vengono dimenticati.
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Pochi giorni fa mi sono rallegrato per l'arrivo alla regia di Claudio Bisio e oggi esulto per quello di Paola Cortellesi: ha realizzato un film neorealista e commedia, italiano vecchio stile, non solo per i colore in bianco e nero ma anche per la concretezza e crudezza di sentimenti, immagini, personaggi. Una storia di una donna, di tante donne che subiscono violenze fisiche, morali e psicologiche: scrivo "subiscono" e non "subivano" perché l'argomento, di lontane radici, è sempre attuale. Donne ritenute serve in casa, sottopagate a lavoro (se riuscivano a lavorare ...), chiuse nel dolore e poco propense a reagire preoccupate per le reazioni di mariti violenti o per salvaguardare i figli che, spesso, vengono dimenticati. La storia he ci viene raccontata è nei giorni che precedono un evento storico: le donne, per la prima volta in Italia, potranno esprimere il loro voto ed è lì che intravedono un po' di luce in fondo ad un tunnel fatto di sacrifici, sofferenze, silenzi. La regista è stata attenta ai particolari, facendo vedere a chi ha una certa età, non solo scene familiari e sociali (il cortile di casa, il mercato ...) di tutti i giorni, ma anche oggetti come la macchinetta per il caffè, la macchina per cucire, il portavivande, i grembiuli per la scuola ... Spiragli di amicizie, rivalità, vecchi amori di un mondo popolare o snob. Scelta di attori perfetta: Valerio Mastrandrea è l'uomo simbolo di tanti senza cuore ed egoisti, Romana Maggiora Vergano una figlia nell'età dei primi amori, dei primi sospetti verso atteggiamenti violenti, dei primi pensieri di ribellione ad un modo di vivere sottomesso all'egemonia del padre-padrone, tutti gli altri attori ben inseriti nei loro personaggi con interpretazione molto convincente. Il film ha qualche momento che induce al sorriso e una colonna sonora mista di vecchie e recenti canzoni, con qualche scena da musical light ... Il film fa riflettere e anche commuovere e in sala scoppia un applauso alla parola fine. Brava Paola, c'è ancora domani e da sperare.
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simona proietti
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lunedì 27 novembre 2023
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il maschilismo che boccia questo capolavoro
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Sarà che un film femminista come questo, non piace molto al maschilismo italiano, sarà che il patriarcato è duro a morire, ma evidentemente questo film ha suscitato notevoli e contraddittorie recensioni. Un film digitale dal sapore di pellicola, non tanto per il bianco e nero, quanto per le immagini poco definite tipiche appunto della pellicola. Con una recitazione neorealista (si è già detto) e con una sceneggiatura di ferro seguita in maniera scrupolosa, il racconto scorre in maniera davvero gradevole, regalando momento di ilarità misti a commozione. Molto bella la scena surreale (che poco c'entra col neorealismo) in cui la protagonista si incontra col meccanico del paese ed i loro sguardi si accarezzano, come a presagire un futuro amore.
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Sarà che un film femminista come questo, non piace molto al maschilismo italiano, sarà che il patriarcato è duro a morire, ma evidentemente questo film ha suscitato notevoli e contraddittorie recensioni. Un film digitale dal sapore di pellicola, non tanto per il bianco e nero, quanto per le immagini poco definite tipiche appunto della pellicola. Con una recitazione neorealista (si è già detto) e con una sceneggiatura di ferro seguita in maniera scrupolosa, il racconto scorre in maniera davvero gradevole, regalando momento di ilarità misti a commozione. Molto bella la scena surreale (che poco c'entra col neorealismo) in cui la protagonista si incontra col meccanico del paese ed i loro sguardi si accarezzano, come a presagire un futuro amore. La telecamera gira attorno ai due personaggi in ralenty, con la musica che li avvolge. Una pellicola neorealista ma con una finestra aperta sul futuro, con alcuni artifizi, più comuni al cinema 2.0 che la Cortellesi, riesce a fondere perfettamente, probabilmente aiutata da suo marito regista o comunque da una troupe di notevole caratura tecnica. Mastrandrea come al solito è straordinario e riesce meglio ancora della Cortellesi a far rispecchiare quegli ideali cui si poggiava il mondo del dopoguerra, in cui l'uomo era il padrone indiscusso della famiglia ed ogni decisione passava da lui. Unito ad un disperzzo per quella violenza gratuita di certi uomini, si avverte anche un qual senso di nostalgia per quegli anni, in cui i valori c'erano: tutto il contrario di oggi, quando questi ultimi sembrano essere svaniti e risucchiati nei valori dei social, in cui gli stessi genitori affogano impietosamente. Un film per la Repubblica, un film progressista e che ricorda da dove veniamo, in questa società che ci ha travolti senza avvertirci, facendoci restare col cellulare in mano, ma senza più valori, amicizie e solidarietà.
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eugen
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sabato 28 ottobre 2023
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certo non banale, a suo ,modo originale
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"C'e'anncora donani"(Pola Cortellessi, attrice-regista-sceneggiatrice con Furio Andreotti(?)e Giulia Calenda, 2023)racconta di una donna, schiava del marito padre/padrone a Roma nel 1946 con tanto di suocero che e'peggio del marito, cui presta cure come infermiera, con tre figli a carico, di cui una, la maggiore, si vorrebbe sposare con il figlio di una famiglia di "parvenus", odiatissimi dal padre e dal nonno paterno, ma un attentato al loro bar-negozio produce la rottura d tale possibilita', per motivi finanziari.... Lei intravede una speranza in una lettera, mentre un meccanico le propone di scappare con lui in Nord Italia, un soldato afroamericano(USA, ovviamente, siamo nel 1946.
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"C'e'anncora donani"(Pola Cortellessi, attrice-regista-sceneggiatrice con Furio Andreotti(?)e Giulia Calenda, 2023)racconta di una donna, schiava del marito padre/padrone a Roma nel 1946 con tanto di suocero che e'peggio del marito, cui presta cure come infermiera, con tre figli a carico, di cui una, la maggiore, si vorrebbe sposare con il figlio di una famiglia di "parvenus", odiatissimi dal padre e dal nonno paterno, ma un attentato al loro bar-negozio produce la rottura d tale possibilita', per motivi finanziari.... Lei intravede una speranza in una lettera, mentre un meccanico le propone di scappare con lui in Nord Italia, un soldato afroamericano(USA, ovviamente, siamo nel 1946...)e'gentile e individua le ferite incise nella sua pelle, proponendosi come suo"tutordefensore", Muore il vechio suocero, lei non avverte il marito che continua ad angariarla, tutto sembra precipitare, ma ci sono le elezioni per scegliere tra monarchia e repubblica e lei vota, quando per la prima volta il voto e'universlae in Italia, forse si decidera'a lasciare il"locus non amoenus", ma... Bianco e nero rigoroso, "paraneorealismo"come ha scritto qualcuno , anche efficacemente, dato che la ricostruzione storico-r¿urbanistico-architettonica sembra decisamente piu'che notevole, c'e'qualche tratto surreale(il balletto che segue o meglio quais si fonde con le violenze e gli schiaffi del marito), le canzoni sono(ritengo quelle d0'epoca)e alla fine c'e'un Lucio Dalala liberatorio(non cirodo il titolo della canzone)e anche qui la scelta risulta intelligente, anche se il finale, inneggiante alle donne votanti, in una "soluzione"che finalemente sanciva la vittoria repubblicana, contro il bigotttismo poolitico e religioso(c'era ancora PIo XII, il concilio Vaticnao II non era neppure"in mente Dei"e men che mano"in mente hominum"), sembra troppo ottimistico rispetto al ductus natrrativo precedente. E la Cortellesi e'anche ottima attrice, come Valerio Mastrandrea nella parte del marito. Rimarra'un hapax, questo esordio registico e da sceneggiatrice(co-sceneggiatrice, per la precisione)o meno?Difficile dirlo-saperlo, se non apprendendo qualcosa dalle intenzioni dell'interessata. Eugen
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[+] buona la prima, paola.
(di juanito)
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