Jean-Pierre e Luc Dardenne, due volte premiati con la Palma d'oro a Cannes per il miglior film (“Rosetta” e “L'Enfant”), portano al cinema il loro dodicesimo lungometraggio di fiction, “Tori e Lokita”.
Dopo una carriera in cui hanno alternato parecchi documentari con opere a soggetto, i fratelli Dardenne tornano a raffigurare nuovamente, e con coerenza stilistica e morale, il reale e la sua crudezza.
Questa volta l’ingiustizia denunciata è nell’atto d’accusa a una società che si muove esclusivamente per interessi economici, interessi che spesso vano a discapito di civiltà, morale e umanità.
Un bambino e una ragazza adolescente hanno affrontato da soli un difficile viaggio per lasciare l’Africa e arrivare in Belgio. Qui possono fare affidamento solo sulla loro profonda amicizia contro le difficoltà dell’esilio. Il modo in cui la sceneggiatura descrive la tenera relazione tra Tori e Lokita, è messa in scena con il consueto stile cinematografico a cui ci hanno abituato i fratelli Dardenne, quello del movimento e del pedinamento dei corpi dei due protagonisti nelle loro vicende.
La cinepresa li segue nei loro continui spostamenti, nelle loro difficoltà e nelle trappole in cui cadono quasi inevitabilmente (la microcriminalità, lo spaccio della droga, utili a sopravvivere), e nel circolo vizioso di violenze in crescendo, continue minacce, ricatti e abusi, dal quale sembra impossibile uscire.
Lo spettatore si ritrova così al fianco dei due protagonisti, sempre più visti non come personaggi ma come persone (non è un caso se sono interpretati da due attori non professionisti, Mbundu Joely e Pablo Schils – davvero credibili e convincenti), e soprattutto come allegoria di tantissimi giovani immigrati in Europa, abbandonati dalle istituzioni e dati in pasto alla criminalità.
La denuncia sociale di “Tori e Lokita” si sposa con l’impegno civile dei Fratelli Dardenne che da trent’anni esplorano le vite degli ultimi, dei dimenticati del mondo occidentale mediante un cinema antiretorico e sobrio, asciutto, lineare ed essenziale, che non scade (quasi) mai nell’eccesso didascalico, nel patetico o nel melodramma ricattatorio. Il loro è uno stile di regia che a partire dalla sceneggiatura alla messinscena mira al pieno coinvolgimento emozionale dello spettatore. E anche questa interessante e godibile pellicola ci fa emozionare e riflettere: Tori e Lokita scopriranno che anche nel continente europeo, così tanto agognato, non si riesce a trovare serenità e libertà. Sogni, desideri e aspettative diventano incubi, delusioni, miraggi e illusioni. Il continente europeo che dovrebbe essere inclusivo, da una parte respinge i migranti, dall'altra li costringe a ricorrere all'illegalità per poter sopravvivere. Tutto diventa una lotta, una lotta per la sopravvivenza, sempre, comunque e ovunque.
Cinema umanistico e necessario, invita il pubblico a non voltare le spalle agli ultimi e agli esclusi della società, ma di puntare invece tutto sulla carta umanitaria della solidarietà civile (pari solo all’amicizia profonda vissuta dai due giovani nel film), come unica ancora di salvezza in un mondo crudele.
Nota di merito per la colonna sonora (include tra i seguenti brani anche “Alla fiera dell’est” di Angelo Branduardi), e per la locandinarealizzata da Manuele Fior, tra i più apprezzati fumettisti e illustratori italiani. Vincitore del Premio del 75º Anniversario al Festival del Cinema di Cannes 2022.
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