Shining Vale

La classica famiglia americana - o meglio i classici stereotipi della famiglia americana - si sposta in una casa di campagna per sfuggire al caos cittadino e soprattutto ai tipici problemi di coppia - o meglio ai tipici stereotipi dei problemi di coppia. Seguiamo le vicissitudini di Pat (Courtney Cox), una madre di famiglia dal passato festaiolo e alcolista, che dopo il successo ottenuto attraverso un romanzo erotico, da ormai un ventennio non produce più nulla. La sua frustrazione la porterà velocemente a tradire il marito (Greg Kinnear), il quale deciderà di trasferire l'intera famiglia (figlia giovane e bella, figlio adolescente sovrappeso e sfigato) in una vecchia casa, infestata dallo spirito di un'altra donna, Rosemary (Mira Sorvino). Il fantasma è ingabbiato nella casa così come lo era nella vita coniugale, in cui viveva sottomessa al volere del marito. Pat dovrà fare i conti con questa presenza, sempre più invadente nelle loro vite e, soprattutto, nella sua scrittura.

Come è possibile notare già nella trama di Shining Vale (Jeff Astrof e Sharon Horgan) la parola chiave del racconto è certamente "stereotipo".

Ogni personaggio ha d'altronde questo ruolo e l'intento della serie, definita horror comedy, è proprio quello di esternare i cliché di questi generi, in linea con altre produzioni che si stanno muovendo in questa direzione (tra tutti, La donna nella casa di fronte alla ragazza dalla finestra, Netflix). Troviamo così la donna di mezza età, scomoda nelle sue vesti materne, in costante conflitto tra il dovere imposto (o auto-imposto) e una natura selvaggia e sessuale, che trova sfogo nella scrittura, quindi nell'alcol e infine nella psicoterapia. Una Courtney Cox immutata dai tempi di Friends, solo un po' più impacciata nel rendere con il suo volto alcune espressioni a causa degli interventi di chirurgia estetica, ma in qualche modo adatta al ruolo di donna ingabbiata negli stereotipi e nelle convenzioni, anche quelle più politicamente scorrette che fungono qui da specchio per le allodole e per mostrarci in realtà una condizione femminile frustrata dagli schemi.

Lo stereotipo caratterizza sia tutti i personaggi familiari che gli stessi topoi del racconto horror. Da un lato, così, troveremo Terry, il marito buffo, impacciato, incapace di mantenere alta la libido di coppia, una figlia bella e disinibita in preda all'amore impossibile per un ragazzo tutto casa e chiesa, che bilancia l'inettitudine di un fratello sovrappeso e isolato dal mondo, nerd e incapace di socializzare. Dall'altro la psicoterapia stessa, a cui la coppia si presta, viene dipinta con stereotipi che ci riportano indietro di almeno trent'anni mentre il topos della casa infestata e dello spirito, oltre a una rappresentazione del tutto tradizionale e affatto originale, viene infarcita di una critica fin troppo conosciuta al conflitto di genere in famiglia.

Il personaggio di Rosemary è forse l'unico ad attirare l'attenzione dello spettatore, non tanto per il contrasto - anch'esso trito e ritrito - tra mora (Cox) e bionda (Sorvino), quanto per la costruzione di un fantasma a tratti demoniaco, arrapante e agghiacciante, implacabilmente sorridente ma anche crudele e dolce, con cui possiamo empatizzare. Mira Sorvino veste bene i panni della casalinga Anni Cinquanta, ingabbiata nella stessa casa in cui perse la vita.

Da un punto di vista narrativo la serie viene sostanzialmente meno ai suoi scopi: una horror comedy poco horror e quasi per niente comedy. La commedia infatti fonda quasi esclusivamente la sua ironia sulla possibilità di mostrare gli stereotipi (di genere prevalentemente), e incalzandoli dal primo al sesto episodio in maniera piuttosto forzata, lasciando immaginare costantemente un narratore che ci fa l'occhiolino chiedendoci se abbiamo capito la battuta. La critica ai pregiudizi viene così anch'essa meno, riproponendo una riflessione già fatta, superata e oltretutto disseminata lentamente nel corso degli episodi.

Ancor peggio, l'elemento horror viene tristemente impoverito: la casa infestata non è infestata realmente; veniamo evidentemente condotti in un set, allestito per far ruotare un personaggio femminile attorno a un altro personaggio femminile, tradendo così ulteriormente la specificità di questo racconto, che vuole essere di critica ma che infine persegue le stesse problematiche che vuol criticare.

Malgrado la bravura di Sorvino e alcuni, rari, effetti speciali, Shining Vale dimostra una tendenza seriale da parte delle "majors" contemporanee di ricercare un pubblico generalista e di infarcire di commedia altri generi, senza però ponderare il complesso intreccio che un'operazione di questo tipo richiede. 