darkglobe
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domenica 26 febbraio 2023
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un film su troisi per certi versi necessario
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Sono appena uscito da una sala dove proiettavano Laggiù qualcuno mi ama, ultimo lavoro di Martone dedicato a Massimo Troisi a 70 anni dalla sua nascita. Il titolo parafrasa la celebre opera di Robert Wise e il "laggiù" è un chiaro riferimento alle origini dell’artista.
Il nuovo lavoro di Martone è una sorta di docufilm, materiale assai viscido con cui si corre il rischio della noia, della celebrazione acritica o della incompletezza, aspetto quest’ultimo che mi lascia sempre piuttosto perplesso in merito all’efficacia di questo tipo di operazioni produttive.
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Sono appena uscito da una sala dove proiettavano Laggiù qualcuno mi ama, ultimo lavoro di Martone dedicato a Massimo Troisi a 70 anni dalla sua nascita. Il titolo parafrasa la celebre opera di Robert Wise e il "laggiù" è un chiaro riferimento alle origini dell’artista.
Il nuovo lavoro di Martone è una sorta di docufilm, materiale assai viscido con cui si corre il rischio della noia, della celebrazione acritica o della incompletezza, aspetto quest’ultimo che mi lascia sempre piuttosto perplesso in merito all’efficacia di questo tipo di operazioni produttive. Il regista napoletano evita però abilmente tali rischi, il che conferma la convinzione di chi scrive sulla sua notevole crescita professionale ed artistica; Martone ricorre infatti ad un abile montaggio fatto di annotazioni personali, stralci di film ed altro materiale d’archivio inedito, arricchito da interviste a personaggi celebri che non avevano rapporti diretti con Troisi, di cui alcuni ammettono di essere stati da lui influenzati come attore e come regista.
Laggiù qualcuno mi ama - voce narrante dello stesso Martone - introduce il cinema di Troisi azzardando un paragone tra il suo percorso artistico e quello di Truffaut e della Nouvelle Vague. In effetti la forza dirompente ed innovativa di Troisi è nella capacità di aver saputo smontare e ricostruire un certo modo di fare cinema in Italia, pieno zeppo di stanchi e patetici stereotipi, portando sul grande schermo frammenti reali di vita ovvero disagi e difficoltà affettive della generazione napoletana dei fine ‘70. La tesi di Martone è che Troisi abbia in qualche modo girato sempre lo stesso film su se stesso, riprendendo l’evoluzione della propria esistenza come se si fosse guardato allo specchio, proprio come Truffaut ha raccontato la sua vita, trasferendola nel suo Jean-Pierre Léaud da I 400 colpi in avanti. Troisi, aggiunge il regista, nelle sue opere ha sempre provato a proporre una personale indagine sulla complessità del sentimento amoroso e sulla (im)possibilità del suo pieno raggiungimento nel rapporto di coppia.
Riecheggiano le note di Je so’ pazzo dell’amico Pino Daniele e con esse le immagini delle strade di Napoli, delle violenze, del post sisma. Martone lo fa per accennare all’intento politico sotteso in molti film dell'artista, intento che Troisi riconosceva di non essere mai stato in grado di portare a pieno compimento, dichiarando piuttosto la propria ammirazione per intellettuali come Pasolini. Troisi, sostiene il regista, era comunque un artista dalla “schiena dritta”, capace di rifiutare la propria partecipazione a Sanremo quando gli organizzatore pretendevano di controllarne i testi.
Martone ricorda poi un aspetto fondamentale che lo guida nella sua analisi: la presenza costante tra i co-autori delle sceneggiature di tanti film di Troisi di Anna Pavignano, sua compagna per un decennio, scrittrice di origini piemontesi delle quali non se ne aveva inaspettatamente alcuna percezione nei loro lavori a quattro mani. La Pavignano, collaborando alla scrittura del docufilm, mette a disposizione del regista decine di fogli fatti di pensieri e appunti vari che Troisi le aveva affidato per sviluppare insieme la sceneggiatura dei propri film. Toccante tra questo materiale è il contenuto del diario in cui Troisi appuntava il suo stato fisico durante i giorni di convalescenza successivi all’operazione al cuore ricevuta negli Stati Uniti in piena gioventù; per racimolare i soldi vi era stata una generosa raccolta di contributi economici volontari che aveva coinvolto le scuole di San Giorgio a Cremano, Barra e dei paesi limitrofi.
Il film propone inoltre un altro elemento inedito di significativo interesse, la registrazione audio in cui la Pavignano ed una amica sottoponevano Troisi ad una sorta di seduta di psicoterapia, coscienti che le risposte avrebbero offerto spunti di umanità frammischiati alla comicità dei toni. La vita dell’artista ed il suo complesso rapporto col padre affiorano tra tutto il materiale archiviato come nell’episodio narrato in cui Troisi aveva provato a saltare su una pozzanghera rendendosi conto a metà volo, della stupidità compiuta.
Nel docufilm l'evoluzione artistica dell'artista viene ripercorsa dalle prime esibizioni del Teatro Spazio alla forma televisiva de La Smorfia, insieme ad Arena e Decaro, fino all’esplosione cinematografica di Ricomincio da tre che rappresentò una rivoluzione anche culturale in quanto per la prima volta si portavano sullo schermo le fragilità di un maschio nel suo rapporto “ribaltato” con l’altro sesso e nell’affrontare il dramma personale dell’accettazione di una paternità incerta. Fu quel film che travasò nel cinema tutte le stramberie, le inibizioni e la goffaggine che potevano caratterizzare le relazioni ed il normale vissuto di un giovane un po’ impacciato, con effetti di comicità inarrivabili.
Il docufilm di Martone prosegue con una ricca dote di interventi incentrati su commenti al processo creativo di Troisi tra i quali spiccano quelli di Goffredo Fofi (per lui l’artista fu la prima “voce adolescente” del cinema partenopeo) e Paolo Sorrentino (che ricorda le soluzioni ardite di Troisi che lo hanno ispirato, come il finale a fermo immagine di Scusate il ritardo, definendo il suo un meritorio cinema della lentezza). Non mancano interventi dei critici di Sentieri Selvaggi Federico Chiacchiari e Demetrio Salvi, dello sceneggiatore Francesco Piccolo e dei comici Ficarra e Picone.
Segue un excursus che va dalla riuscita capacità di Troisi di affiatarsi con Benigni (Non ci resta che piangere) ad artisti da lui stilisticamente piuttosto distanti, alla sua abilità di semplice attore in film come No grazie, il caffè mi rende nervoso, in cui recitava allegoricamente se stesso, accusato da un misterioso criminale di aver distrutto la napoletanità ovvero la "tradizione" musicale; e infine alle prove con Scola, nelle quali nonostante la rigorosità del regista, Troisi riusciva a fornire una significativa identità d’autore ai personaggi da lui interpretati (bello il richiamo alle scene con Matroianni). È Scola stesso che testimonia quanto Troisi non tollerasse l'eccesso di platealità degli attori napoletani, quasi a confermare la sua tendenza ad una recitazione sommessa e mai sguaiata.
Laggiù qualcuno mi ama termina raccontando le ultime scelte di Troisi che preferì rimandare l’operazione al proprio cuore – sarebbe stato necessario un trapianto – pur di completare le riprese de Il Postino, da lui sceneggiato, la cui regia fu affidata dallo stesso artista a Michael Radford, anch’egli intervistato nel film insieme al montatore Roberto Perpignani. Quest'ultimo descrive la magnifica intesa recitativa tra Troisi e Noiret nonostante in scena interagissero in lingue diverse.
Un buon lavoro quello di Martone, che riesce in qualche modo a ripercorre con una levità non ampollosa l’intera carriera dell’artista; un lavoro per certi versi necessario perché non didascalico, come certe piatte commemorazioni televisive, ma sentito e nel contempo rigoroso, capace di cogliere tutte le fragilità e le peculiarità dell’artista Troisi e di spiegare perché il suo ingresso nel mondo del cinema abbia in qualche modo lasciato un segno incontrovertibile di innovazione che deve essergli necessariamente riconosciuto. Quanto a certa idolatria, se ne esiste nei confronti dell'artista, non è sicuramente in questo film che va individuata.
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francesca meneghetti
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martedì 28 febbraio 2023
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massimo is back
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Dopo una full immersion nella Napoli degli anni ’70, accompagnata dalla canzone Je so’ pazzo dell’amico Pino Daniele, inizia questo bellissimo ed emozionante docufilm di Martone (Laggiù qualcuno mi ama), dedicato ai non-settant’anni di Massimo Troisi: all’attore, al regista, all’intellettuale, alle sue amicizie, agli amori, alle collaborazioni che scorrono a comporre l'affresco di un’epoca, ma soprattutto all’uomo. Un uomo che, sotto l’ironia, era consapevole della sua fragilità e della sua prossimità alla morte. Un uomo che, per senso di responsabilità, finisce “Il postino” con grande sacrificio fisico, così da morirne. Tutti amano Massimo tutti credono di conoscerlo perché hanno visto dei film, e/o memorizzato battute celebri.
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Dopo una full immersion nella Napoli degli anni ’70, accompagnata dalla canzone Je so’ pazzo dell’amico Pino Daniele, inizia questo bellissimo ed emozionante docufilm di Martone (Laggiù qualcuno mi ama), dedicato ai non-settant’anni di Massimo Troisi: all’attore, al regista, all’intellettuale, alle sue amicizie, agli amori, alle collaborazioni che scorrono a comporre l'affresco di un’epoca, ma soprattutto all’uomo. Un uomo che, sotto l’ironia, era consapevole della sua fragilità e della sua prossimità alla morte. Un uomo che, per senso di responsabilità, finisce “Il postino” con grande sacrificio fisico, così da morirne. Tutti amano Massimo tutti credono di conoscerlo perché hanno visto dei film, e/o memorizzato battute celebri. Ma Martone fa emergere degli aspetti meno noti con metodo comparativo. Confronta l’attore con i maestri della commedia napoletanae il regista con la Nouvelle Vague, in particolare Truffaut, di cui vengono proposte scene da Jules e Jim (la corsa sul ponte) e da Quattrocento colpi, il primo di una serie che ha come protagonista un personaggio in fieri, dall’adolescenza alla maturità, Antoine Doinel, alter ego del regista. Anche Troisi, secondo Martone, in fondo interpreta il proprio divenire. Ma con uno stile particolare, caratterizzato da una certa lentezza partenopea che la presenza fisica del protagonista riempie, dal gusto per il sottotono e il fuori campo, che escludono volutamente l’enfasi. Poi si sottolinea la collaborazione fondamentale nelle sceneggiature con Anna Pavignano, il cui nome compariva sempre nei titoli: era stata una sua fidanzata, torinese, con formazione universitaria, mentre Massimo aveva studiato da geometra, con molta calma… I due hanno continuato a lavorare insieme per tutta la vita (lei, che nel film è intervistata e partecipe della sceneggiatura, conserva tutti gli scritti di Troisi: diari, bigliettini, appunti). La loro relazione, che non era dialettica solo per genere, ma anche per culture di appartenenza, ha contribuito a forgiare la sensibilità già accentuata di Massimo, a farne un uomo-personaggio-alter ego diverso dal macho tradizionale, delicato, capace di manifestare le sue insicurezze. L’umorismo, ben noto, del personaggio viene rivisitato anche in chiave noir, con frequenti riferimenti alla morte, anche al proprio funerale, ancor più struggenti se si pensa alla sua consapevolezza dei problemi cardiaci che lo hanno segnato per tanti anni. È spesso un umorismo infantile, proprio di chi guarda alla realtà con innocenza e senza filtri (come il bimbo che vide sfilare il re nudo e lo dichiarò). L’umorismo che fa dire al suo personaggio, a cui gli amici pescatori gli svelano di essere cornificato: ma perché dovete dire la verità a tutti i costi? Queste cose si dicono alle spalle… C'è poi il sentire politico di Troisi, decisamente antifascista e refrattario alle censure. Nel 1981 avrebbe potuto promuovere il suo film Ricomincio da tre a Sanremo, ma rifiutò di fronte ai troppi veti. In un'intervista affermò, che di fronte a tanta libertà, era indeciso se recitare una poesia di Pascoli oppure una di Carducci. Nel film, che ripropone parecchie delle scene più famosi del suo teatro e del suo cinema, sfila una quantità notevole di personaggi-testimoni: Francesco Piccolo, Anna Pavignano, Goffredo Fofi, Paolo Sorrentino, Ettore Scola, e lo stesso Martone, e poi, nei pezzi selezionati, Lello Arena, Enzo Decaro, Dario Fo, Mastroianni, Benigni, Philppe Noiret, Fiorenza Marchigiani, Giuliana De Sio, Francesca Neri, Maria Grazia Cucinotta, e qualcun altro che avrò dimenticato. Si chiude con la premiata colonna sonora di Louis Bacalov per il Postino.
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figliounico
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lunedì 20 febbraio 2023
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un sentito omaggio
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Martone vorrebbe sfuggire allo schema del classico biopic tentando piuttosto, attraverso pochi essenziali elementi biografici, di ricostruire la storia non dell’uomo bensì dell’artista Troisi, a partire dagli spettacoli parrocchiali messi su con gli amici e dalle prime farse-cabaret allestite nel teatro garage di San Giorgio a Cremano dei primi anni ’70, che portate sul piccolo schermo qualche anno dopo faranno la fortuna sua e del trio La Smorfia, fino alle ultime scene de’ Il postino di Radford del 1994. In questo senso risulta preziosa l’intervista ad Anna Pavignano, coautrice con Troisi delle sceneggiature dei suoi film, forzata, invece, la similitudine con Truffaut, come a volergli fornire una patente autoriale postuma che probabilmente lo stesso Troisi non avrebbe voluto, inspiegabilmente mancanti le interviste ad Arena e Decaro, banali ed ovvie oppure meramente omaggianti quelle a Scola, Fofi e Sorrentino, che appesantiscono inutilmente il film interrompendo la riflessione di Martone su Troisi, che avrebbe potuto assumere l’aspetto di un poetico immaginario dialogo a distanza tra due autori così diversi e tuttavia accomunati dall’amore straziato che soltanto un napoletano può avere per la propria città.
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Martone vorrebbe sfuggire allo schema del classico biopic tentando piuttosto, attraverso pochi essenziali elementi biografici, di ricostruire la storia non dell’uomo bensì dell’artista Troisi, a partire dagli spettacoli parrocchiali messi su con gli amici e dalle prime farse-cabaret allestite nel teatro garage di San Giorgio a Cremano dei primi anni ’70, che portate sul piccolo schermo qualche anno dopo faranno la fortuna sua e del trio La Smorfia, fino alle ultime scene de’ Il postino di Radford del 1994. In questo senso risulta preziosa l’intervista ad Anna Pavignano, coautrice con Troisi delle sceneggiature dei suoi film, forzata, invece, la similitudine con Truffaut, come a volergli fornire una patente autoriale postuma che probabilmente lo stesso Troisi non avrebbe voluto, inspiegabilmente mancanti le interviste ad Arena e Decaro, banali ed ovvie oppure meramente omaggianti quelle a Scola, Fofi e Sorrentino, che appesantiscono inutilmente il film interrompendo la riflessione di Martone su Troisi, che avrebbe potuto assumere l’aspetto di un poetico immaginario dialogo a distanza tra due autori così diversi e tuttavia accomunati dall’amore straziato che soltanto un napoletano può avere per la propria città. Poco approfondito risulta il confronto con Eduardo, eppure, fatte le debite proporzioni, i due autori si somigliano nel portare sulla scena la vita familiare come specchio della società, nell’utilizzare le piccole cose del quotidiano di ognuno per rappresentare, dalla prospettiva piccolo borghese, il dramma universale dell’uomo. Troisi, del resto, come attore guarda a Eduardo, aspira ad esserne l’erede, fino allo sforzo immane e sublime e riuscito, che peraltro gli costerà la vita, della superba interpretazione del Postino, il suo testamento spirituale e la metafora della sua esistenza di autodidatta che da ragazzo avrebbe voluto essere Pasolini, come il suo personaggio, che voleva scrivere metafore belle come quelle di Neruda. Nelle ultime sequenze, abbandonata l’analisi cerebrale e cinefila dell’opera del Troisi regista, sfiorato il paragone con Eduardo del Troisi attore, Martone si contraddice e si rifugia nel più classico dei biografici affrontando la pagina più dolorosa della malattia e della morte dell’artista con i toni patetici propri del biopic drammatico. Il ricorso alla musica di Pino Daniele, che giustamente non poteva mancare per l’amicizia e la collaborazione artistica con Troisi, come colonna sonora è strumentale a rafforzare l’emotività del finale ottenendo facilmente la partecipazione empatica dello spettatore. Alla fine il film è un sentito omaggio a Troisi, in cui la cosa migliore sono le scene tratte dai suoi film e le immagini di repertorio delle interviste rilasciate da lui stesso nel corso della sua vita, al contempo è un’occasione mancata per Martone che avrebbe potuto fare di meglio.
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