
Un racconto allegorico e morale ambientato nella fredda Cina del nord-est. Selezionato al FEFF e disponibile in streaming.
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di Tommaso Tocci
Xu lavora come autista in una miniera di carbone nel freddo nord-est della Cina. Senza un soldo e infelice della vita, si consola con il suo adorato cane Ruyi, che la moglie incinta cerca però di convincerlo a vendere. Xu lo affida invece a Ma, che ugualmente non se la passa granché in termini economici. L’uomo finisce per servire il cane per pranzo a degli usurai, scatenando la collera di Xu.
Apologo dai risvolti morali che si tiene ben lontano dallo scivolare nel moralistico, Manchurian Tiger conserva i tratti distintivi del cinema del suo regista. Quello di Geng Jun è uno stile basato sulle vignette e su uno humor contemplativo, che ben ricorda una certa tradizione del surrealismo europeo, in cui l’assurdità delle situazioni in cui può trovarsi un individuo è sempre causata dalle storture sistemiche della società.
Ispirato all’allegoria di un animale ammansito dalla vita nello zoo, Manchurian Tiger si chiede quanto sia automatico, giusto o perfino possibile abbandonarci a un impulso di reazione istintiva laddove ce ne viene data rara possibilità. E in questo attimo di pausa contemplativa tra azione e reazione Geng Jun trova spesso degli attimi di verità.