In questo periodo di chiusura delle sale cinematografiche è Netflix a proporci alcune prime. “L’ultimo Paradiso” di Rocco Ricciardulli, è la storia di una famiglia - in particolare dei fratelli Paradiso - in una società patriarcale sullo sfondo del caporalato in Puglia negli anni ’50: una sorta di tragedia greca in atto in un piccolo paese pugliese (Gravina di Puglia). Molte sono le tematiche toccate dal film quali quella del richiamo del sud, della famiglia, dell’attaccamento alla terra, della violenza e del senso della giustizia commisto a quello della vendetta.
Ciccio Paradiso (interpretato da Riccardo Scamarcio) rappresenta la ribellione in un contesto omertoso e il rifiuto alla sottomissione, Antonio (interpretato sempre Riccardo Scamarcio) invece rappresenta la fuga. Siamo nel 1958 e mentre Antonio è andato a lavorare in una fabbrica vicino Trieste nel nord Italia, Ciccio continua a fare il contadino nel sud e vive con i genitori, la moglie Lucia e il figlio Rocco di 7 anni.
I due fratelli hanno caratteri molto diversi: Ciccio è uno “sciupafemmine” estroverso e passionale, Antonio invece è chiuso, quasi ombroso, ma attento e gentile con i compagni nella fabbrica.
Malauguratamente Ciccio si è invaghito di Bianca (un’affascinante Gaia Bermani Amaral) - con cui ha un’ardente relazione - la figlia di Cumpà Schettino (un bravoAntonio Gherardi), un avido proprietario terriero che abusa delle sue contadine più giovani e sfrutta i braccianti. Bianca vorrebbe affrancarsi da quel padre-padrone e i due amanti sognano di fuggire insieme per andare a Parigi a imparare il francese.
Ciccio rischia doppiamente perché incita i contadini a ribellarsi a Cumpà Schettino, oltre ad avere con sua figlia questo rapporto illegittimo, essendo già sposato.
I film diventa un melodramma rusticano dove viene raccontata la violenta esplosione di rabbia di CumpàSchettino. Ad Antonio, tornato in Puglia per i funerali del fratello, dirà a proposito di Ciccio: «Chi semina spine non può camminare scalzo».
Un altro elemento di quel mondo contadino messo in evidenza dal film è che le famiglie rivali sono intrecciate di parentele e l’adulterio maschile è vissuto come evento naturale, o almeno così lo era mezzo secolo fa.
La terra ben fotografata da Gian Filippo Corticelli in “L’ultimo paradiso” è assolata e agricola; si possono apprezzare gli ulivi di Gravina di Puglia, il Parco Nazionale dell’Alta Murgia, e il gruppo di donne che si ritrova a lavare i panni in un piccolo corso d’acqua.
Nonostante le problematiche siano di estremo interesse, e nonostante gli attori siano bravi, il film non riesce a coinvolgere più di tanto forse perché manca l’approfondimento di uno dei vari aspetti e un affondo psicologico dei personaggi che, in tal modo, rimangono appena abbozzati, rischiando di essere dei cliché. Così pure poco convincente è la scena finale come “sipario calato” in forma onirica.È probabile che la sceneggiatura di Rocco Ricciardulli, con lo stesso Riccardo Scamarcio, sia un tantino velleitaria e abbia voluto inserire un po' troppe cose.
Riccardo Scamarcio, oltre a interpretare il doppio ruolo dei fratelli, è anche il produttore del film con la sua Eusebio. È originario di Andria e torna in Puglia un’altra volta, infatti le sue caratteristiche fisiche decisamente mediterranee lo rendono adatto a interpretare film che si svolgono anche in parte nel sud d’Italia, così come ad esempio ne “Le mine vaganti” di Ferzan Özpetek del 2010 o ne “La prima luce” di Vincenzo Marra del 2015 o nel più recente “Il ladro di giorni” di Guido Lombardi del 2019.
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