franco barbagallo
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lunedì 1 aprile 2019
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storia straordinaria per un film eccellente
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Non ero certo di voler vedere questo film dopo la recensione ufficiale. Poi ho letto quelle dei lettori e, a parte un paio dei soliti cinepanettonari che non sono in grado di vedere altro, mi hanno convinto ad andare: non me ne sono affatto pentito, anzi. Questo film non sarà un capolavoro ma è un ECCELLENTE film, su una storia vera straordinaria, realizzato benissimo, con attori che hanno dato il meglio di se. Ma ve lo ricordate Mel Gibson? Raramente si è rivelato poco più di un buon attore di film di azione e di commedie. Qui, dove il suo viso è nascosto dalla folta barba, recita con gli occhi, la postura, l’atteggiamento, rendendo il suo personaggio assolutamente credibile.
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Non ero certo di voler vedere questo film dopo la recensione ufficiale. Poi ho letto quelle dei lettori e, a parte un paio dei soliti cinepanettonari che non sono in grado di vedere altro, mi hanno convinto ad andare: non me ne sono affatto pentito, anzi. Questo film non sarà un capolavoro ma è un ECCELLENTE film, su una storia vera straordinaria, realizzato benissimo, con attori che hanno dato il meglio di se. Ma ve lo ricordate Mel Gibson? Raramente si è rivelato poco più di un buon attore di film di azione e di commedie. Qui, dove il suo viso è nascosto dalla folta barba, recita con gli occhi, la postura, l’atteggiamento, rendendo il suo personaggio assolutamente credibile. Che dire poi di Sean Penn nella parte del pazzo: davvero grandioso, questa si una interpretazione da oscar. Tutto è ricostruito con estrema fedeltà e verismo. Qualcuno del pubblico all’uscita obiettava: “troppo lento”: ma quando mai. Il film aveva i tempi giusti di quell’epoca, anzi nel secondo tempo tende a correre un pò troppo. E' un film dove sono protagoniste, incredibilmente, le parole e poi l’amore, l’amicizia, la forza di volontà, l’abnegazione, il perdono, il sogno, l’eccellenza. Andate subito a vederlo, non ve ne pentirete neanche voi se, come me, non … amate i cinepanettoni (io non ne ho mai visto nemmeno uno).
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fabio
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lunedì 1 aprile 2019
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una storia avvincente ben interpretata
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Il film presenta diversi temi interessanti: la possibilità di redenzione, la fiducia tutta positivistica nel lavoro e nell'impegno individuale, i cambiamenti epocali della seconda metà dell'ottocento. L'eccellente interpretazione di Sean Penn è il valore aggiunto di questo film che merita attenzione anche per il tentativo, riuscito solo in parte, di cogliere l'aspetto politico della vicenda. Il dramma riesce ad essere intenso e coinvolgente: cosa niente affatto scontata per un un film che parla della creazione di un vocabolario. Da menzione anche la colonna sonora e le scenografie che contribuiscono molto al risultato finale.
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loland10
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sabato 30 marzo 2019
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linguaggi e lunghe barbe
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“Il professore e il pazzo” (The Professor and the Madman, 2018) è il primo lungometraggio dello sceneggiatore-regista di Teheran Farhad Safinia (noto come P. B. Shemran).
Opera prima, sceneggiatura statuaria, ambienti silenti e voci altisonanti.
Storia vera che parte dal 1872 in quella Oxford simbolo di bella cultura, rigorosità, onore e rivalità con altri e alti mondi accademici.
La verità di ciò che si vede pare diluirsi in trucchi dei visi, in barbe allungate, in corpi poco sinuosi e in una consorte sagace che tira avanti il cruccio di un marito stupito dalle sue forze innate.
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“Il professore e il pazzo” (The Professor and the Madman, 2018) è il primo lungometraggio dello sceneggiatore-regista di Teheran Farhad Safinia (noto come P. B. Shemran).
Opera prima, sceneggiatura statuaria, ambienti silenti e voci altisonanti.
Storia vera che parte dal 1872 in quella Oxford simbolo di bella cultura, rigorosità, onore e rivalità con altri e alti mondi accademici.
La verità di ciò che si vede pare diluirsi in trucchi dei visi, in barbe allungate, in corpi poco sinuosi e in una consorte sagace che tira avanti il cruccio di un marito stupito dalle sue forze innate.
Incontro tra un professore pazzo e un pazzo professore: il discernimento tra corpi e vite, borghesi e pezzenti, linguaggio e pochezze, volumi e miserie.
È la corsa fuori tempo di un duo anomalo: un letterato senza laurea e uno straniero senza dimora. Due opposti che coincidono in una ‘Università’ fatta di parrucche, aforismi massimi, lezioni dirompenti e sapere per pochi. Ma per raggiungere l’impero di tutti i paesi dove l’inglese è la lingua madre si può e si deve scrivere il voluminoso vocabolario di tutte le parole, i termini e i linguaggi conosciuti. Lettera per lettera, rigo per rigo e tomo per tomo. I sette anni sono il limite massimo: tutto va oltre e le didascalie finali spiegano ciò che è avvenuto e quando il tutto è stato concluso.
Film classico, impostato, statuario, parlato e intriso: pieno di rapporti, umori e tantomeno di livori e fermenti letterari.
Una pellicola dove il gusto al piacevole e al dilettantismo viene, peraltro si soggiunge che la composizione della storia appare coinvolgente negli argomenti, un po’ nella successione episodica e nella regia non sempre avvolgente e piena delle cose raccontate.
Una finezza di composizioni e di alfabeti che si perdono in dicotomie lunghe e riprese aggiustate; pare qualcosa di troppo racchiuso, contenuto, glassato e freddino. Sbavature e scompensi, finezze e lungaggini si notano e non aggiustano il tiro.
Nonostante l’argomento manca la spinta verso l’alto, di film a posteriori, di slancio e di morbidezza narrativa. Tutto appare bello ma mal costruito o, meglio, tutto appare bloccato e non ben amalgamato. Si legge della produzione faticosa e della volontà di Mel Gibson (lui australiano) di fare il film (donato al suo fidato sceneggiatore di ‘Apocalypto’). I volti, le barbe allungate e molti musi paiono faticosamente duri sul set: si saranno divertiti a farlo ma oltre lo schermo non si ‘gusta’ pienamente.
L’inglesismo, la beltà dell’impero, il colonialismo, la Regina, i modi e il vezzo ad ogni costo giocano un ruolo pieno di intenti, ma il sarcasmo, l’ironia, il raccontare la storia universitaria più prestigiosa tende al compiacimento fine a se stesso e alla lungaggine melensa di rivalità meste e minime
Mel Gibson (James Murray): appare troppo in se, voluminoso archetipo, lettu(e)ra incompleta e originalità trattenuta, fin troppo dentro il personaggio quasi da non essere credibile. Pur tuttavia rimane il volto corrugato e una barba finta nel bel mezzo di un visionario mondo da scrivere in ordine alfabetico (cosi in ‘arte’ da bloccare tutto il linguaggio che ne consegue).
Sean Penn (William Chester Minor): irrequieto e irriconoscibile, sconquassato e scheletrico, umido e poco salutare. Il vile gioco della peluria facciale scansa ogni destino per un bacio di amore incompreso (mentre il passo d’addio rimane un disegno già scritto tra il professore dotto e lo scribano pazzo).
Da dire che il cast è ben variegato ma lo sviluppo non apre alla ribalta personaggi importanti (dispiace dire che la presenza di John Boorman nella scrittura non risolleva il tutto).
Regia: liscia e levigata, patinata e oziosa, parsimoniosa come nelle vite a due di pazzi angosciati.
(e si legge dopo le diatribe legali di produzione anche la regia ha avuto problemi e passaggi).
Voto: 6,5/10 (***). -voto per l’idea centrale-
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michelecamero
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venerdì 29 marzo 2019
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due storie in un unico film
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Buon film che racconta una storia vera all'interno di un’altra storia vera che è, quest’ultima, l’avventura dell’Oxford English Dictionary. La storia è quella del rapporto epistolare e poi di amicizia tra il curatore del Dizionario, il professor Murray, scozzese, ed un medico americano internato in un manicomio criminaleinglese per aver ucciso un uomo innocente confondendolo per il demone che gli torturava la mente disturbata a seguito delle atrocità che aveva dovuto vedere nel corso della guerra di secessione. W.C. Minor, come si firmava il medico-pazzo, diventerà, per un certo periodo, il più assiduo, il più utile, il più prolifico ed il più prezioso dei collaboratori volontari ai quali Murray si era rivolto per mandare avanti quell’opera monumentale.
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Buon film che racconta una storia vera all'interno di un’altra storia vera che è, quest’ultima, l’avventura dell’Oxford English Dictionary. La storia è quella del rapporto epistolare e poi di amicizia tra il curatore del Dizionario, il professor Murray, scozzese, ed un medico americano internato in un manicomio criminaleinglese per aver ucciso un uomo innocente confondendolo per il demone che gli torturava la mente disturbata a seguito delle atrocità che aveva dovuto vedere nel corso della guerra di secessione. W.C. Minor, come si firmava il medico-pazzo, diventerà, per un certo periodo, il più assiduo, il più utile, il più prolifico ed il più prezioso dei collaboratori volontari ai quali Murray si era rivolto per mandare avanti quell’opera monumentale. La pellicola esalta i valori della cultura, della caparbietà, dell’amicizia che nasce per affinità culturali e forse anche caratteriali, dove meno uno se l’aspetta, dell’espiazione del proprio senso di colpa, della potenza del perdono, della famiglia, quella del professore e quella della povera vedova rimasta con sei orfani di padre. Molto apprezzate le ricostruzioni d’ambiente, più che buone le interpretazioni non solo quelle dei due protagonisti, ma anche quelle dei personaggi di contorno, ottimo il doppiaggio, a conferma di quello che si dice a proposito della bravura dei doppiatori italiani.
MICAM
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franco barbagallo
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venerdì 29 marzo 2019
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mi avete convinto
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dopo aver letto le prime tre recensioni mi sono convinto di andare a vederlo.
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lbavassano
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domenica 24 marzo 2019
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quanto mi piacerebbe...
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Disciplina quanto mai affascinante la lessicografia, per gli amanti delle parole, altrettanto difficile da rendere spettacolare, da tradurre in immagini. Riesce nell'azzardo Farhad Safinia, puntando tutto sulla storia, sui retroscena, sui loro eccessi, anche troppo, oltre che sul carisma degli interpreti.
Da un altro punto di vista non si può che rimanere ancora una volta stupefatti di fronte alla sovrumana energia di chi, con mezzi artigianali, soprattutto di fronte alle straordinarie possibilità oggi offerte dall'informatica, si proponeva imprese titaniche.
Quanto mi piacerebbe che un regista italiano potesse trovare le risorse, e il coraggio, per proporre un'opera analoga dedicata, chessò, ad un Bruno Migliorini, che pazzo non era, ma che in condizioni impossibili riuscì a condurre a termine un'opera ancor oggi insostituibile per la conoscenza della lingua italiana.
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Disciplina quanto mai affascinante la lessicografia, per gli amanti delle parole, altrettanto difficile da rendere spettacolare, da tradurre in immagini. Riesce nell'azzardo Farhad Safinia, puntando tutto sulla storia, sui retroscena, sui loro eccessi, anche troppo, oltre che sul carisma degli interpreti.
Da un altro punto di vista non si può che rimanere ancora una volta stupefatti di fronte alla sovrumana energia di chi, con mezzi artigianali, soprattutto di fronte alle straordinarie possibilità oggi offerte dall'informatica, si proponeva imprese titaniche.
Quanto mi piacerebbe che un regista italiano potesse trovare le risorse, e il coraggio, per proporre un'opera analoga dedicata, chessò, ad un Bruno Migliorini, che pazzo non era, ma che in condizioni impossibili riuscì a condurre a termine un'opera ancor oggi insostituibile per la conoscenza della lingua italiana.
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inesperto
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domenica 24 marzo 2019
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la cultura è vita, la vita è cultura.
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Questo film biografico, per nulla piatto ma anzi molto vario nell'arco della sua narrazione, riempie gli occhi ed il cuore. La volontà del professore autodidatta che insegue un'impresa titanica (per usare un eufemismo) spinge l'animo a schierarsi dalla sua parte, contro i parrucconi meglio titolati. Il costante ed incessante sostegno della moglie e l'allegria contagiosa dei suoi figli lo accompagnano ininterrottamente, donandogli serenità e forza. La figura del pazzo è alternativamente caratterizzata da una lucida consapevolezza, che lo costringe a provare un profondo e potentissimo senso di colpa per l'uccisione di un uomo innocente, a delle acute crisi schizofreniche.
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Questo film biografico, per nulla piatto ma anzi molto vario nell'arco della sua narrazione, riempie gli occhi ed il cuore. La volontà del professore autodidatta che insegue un'impresa titanica (per usare un eufemismo) spinge l'animo a schierarsi dalla sua parte, contro i parrucconi meglio titolati. Il costante ed incessante sostegno della moglie e l'allegria contagiosa dei suoi figli lo accompagnano ininterrottamente, donandogli serenità e forza. La figura del pazzo è alternativamente caratterizzata da una lucida consapevolezza, che lo costringe a provare un profondo e potentissimo senso di colpa per l'uccisione di un uomo innocente, a delle acute crisi schizofreniche. Queste ultime vengono momentaneamente sconfitte grazie alla lettura di numerosi libri che egli richiede al direttore del manicomio, allo scopo di contribuire all'opera del succitato letterato. Infine, il personaggio più complesso dell'intera vicenda, la vedova della vittima assassinata dal folle: è colei che attraversa, forse, il maggior cambiamento interiore. Dall'intenso odio al più tenero amore per colui che la privò del consorte, lasciandola coi figli in condizioni di povertà assoluta. Ebbene, la trama, tenuta insieme in maniera splendida, è tutta da seguire con partecipazione; Sean Penn è entusiasmante nella sua interpretazione e conferma di essere uno dei migliori attori in circolazione (se non il migliore, ma è opportuno evitare sbilanciamenti); superbo anche Mel Gibson, nelle inedite vesti del dotto e bravissima, altresì, la sempre bellissima Natalie Dormer.
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cesare signoretti
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domenica 24 marzo 2019
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se ci si vuole inquietare.....
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Dopo una settima di lavoro/studio è proprio quelle che ci vuole....... Pessimo!
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vanessa zarastro
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domenica 24 marzo 2019
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quale la follia?
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Tratto dal libro The Surgeon of Crowthorne: A Tale of Murder, Madness and the Love of Words) di Simon Winchester del 1998, il film racconta la nascita dell’Oxford English Dictionary iniziato nel 1879 ad opera di Sir James Murray (Mel Gibson).
“Il Professore e il pazzo” è un ennesimo biopic, sembra che ormai la fantasia non abbia più spazio nelle sceneggiature, che invece si concentrano a romanzare una realtà vissuta, anche se al limite del verosimile.
Ciò che emerge dal film è soprattutto l’importanza delle parole, come esse abbiano cambiato significato nei secoli, come siano state usate dai grandi poeti, ed è strano che ciò debba essere sostenuto proprio da un mezzo che si esprime con le immagini. Nel film però ci sono molte altre cose (troppe?): sensi di colpa, dolore, perdono, redenzione, e amicizia. Quest’ultima si riscontra nel rapporto tra uno scozzese e un americano, dove il primo è un colto filologo nonostante sia figlio di un sarto e non abbia neanche finito le scuole secondarie. Il secondo, William Chester Minor (Sean Penn), è ex chirurgo rinchiuso in manicomio dopo aver ucciso per errore un uomo innocente. Nel film c’è anche spazio per un j’accuse sui metodi violenti e alienanti della psichiatria inglese della fine dell’Ottocento. Il grande merito di Murray è di essersi inventato il crowdsourcing, e grazie a ciò di aver trovato la assurda collaborazione di un assassino americano. Mi chiedo se per gli Oxfordiani dell’epoca era peggio che fosse americano o assassino.
C’è, inoltre, una storia parallela che in qualche modo interferisce con quella delle definizioni delle parole: Minor in cerca di redenzione e di perdono gira a Eliza Merrett (Natalie Dormer), la vedova dell’uomo che ha ucciso, la sua pensione di militare. Lei lo va a trovare in manicomio e, nonostante il suo odio iniziale, man mano nasce un incredibile rapporto di amore tra di loro. Eliza gli porta dei libri da leggere e lui, scoperto che lei è analfabeta, le insegna a leggere e a scrivere. “Quando leggo nessuno mi dà la caccia, ma sono io che inseguo” le dice e anche “Imparate a leggere è la libertà”.
Alla fine Sir James Murray, nonostante sia ostacolato da alcuni dello staff di Oxford, continuerà il suo lavoro e l’Enciclopedia si farà, mentre il dott. William Chester Minor sarà rimesso in libertà ed estradato in America. Anche se il film non lo mostra, il dizionario sarà concluso nel 1928, composto da 12 volumi, con 414.825 definizioni e 1.827.306 citazioni ed esempi per illustrarne il significato.
Il film si regge prevalentemente sull’ottima interpretazione degli attori. Mel Gibson è stranamente contenuto in una parte, a tratti, al limite dell’under statement, e il cui amore per il lavoro lo porta a trascurare Ada (Jennifer Ehle ), la sua fantastica moglie e i suoi quattro figli. Sean Penn, che da sempre ama impersonare personaggi alternativi, in qualche misura “diversi” - Sam Dawson in “Mi chiamo Sam”, del 2001, Harvey Milk in “Milk” del 2008, la rockstar Cheyenne in “This must be the place” del 2011 -mostra un’interpretazione strepitosa che, se possibile, ogni volta supera se stesso. Stavolta nessuno dei due attori è il regista, le cui ultimissime performance non sono particolarmente riuscite, però è stato Mel Gibson, sempre alla ricerca di uomini capaci di fare la storia - William Wallace di “Braveheart - Cuore impavido” del 1995, Benjamin Martin in “Il patriota” del 2000, o la controversa “Passione di Cristo” del 2004 - a leggere e appassionarsi al libro, già da tempo. La direzione del film è stata affidata al suo collaboratore Farhad Safinia, noto anche con lo pseudonimo di P. B. Shemran, produttore e sceneggiatore al suo esordio nella regia.
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goldy
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sabato 23 marzo 2019
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finalmente un feuilleton ma non solo
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Il film esce in sordina con un modesto interesse mostrato dai recensori più quotati. Uno di quei film che nessun cinefilo ammetterebbe mai di andare a vedere: meglio farsi del male con film da festival. E invece è una di quelle sorprese che ormai sempre più raramente ti capita di scoprire al cinema. Narrato nel solco della grande tradizione britannica possiede tutti gli ingredienti del grande “feuilleton” che hanno contribuito alla popolarità del cinema. L’ambientazione :Londra di metà Ottocento. Due storie separate che poi si incrociano dando vita a una terza.
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Il film esce in sordina con un modesto interesse mostrato dai recensori più quotati. Uno di quei film che nessun cinefilo ammetterebbe mai di andare a vedere: meglio farsi del male con film da festival. E invece è una di quelle sorprese che ormai sempre più raramente ti capita di scoprire al cinema. Narrato nel solco della grande tradizione britannica possiede tutti gli ingredienti del grande “feuilleton” che hanno contribuito alla popolarità del cinema. L’ambientazione :Londra di metà Ottocento. Due storie separate che poi si incrociano dando vita a una terza. Il fascino di apprestarsi alla realizzazione di un progetto arduo quasi impossibile : scrivere l’Oxford English Dictionary. Personaggi solidi, mossi da saldi principi che sembrano ormai liquefatti nel nostro tempo. Istituzioni (Manicomio criminale) dirette da funzionari capaci e non da burocrati ottusi. Tutti questi ingredienti compongono la storia, peraltro vera, senza scadere in strategie narrative inutilmente complicate. Si apprezza la linearità esemplare aggiornata da un montaggio rapido e essenziale. Così il film si lascia gustare attimo dopo attimo, in un crescendo coinvolgente con la piacevole sorpresa di un recupero di modalità narrative che si pensavano ormai perse nel passato. Sarebbe stato auspicabile concentrarsi maggiormente sull’aspetto affascinante della compilazione del dizionario e ridurre l’approdo amoroso del pazzo con la vedova ma in un film come questo ci sta
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