felicity
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martedì 28 gennaio 2025
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rosamund pike straordinaria
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A Private War si configura in primis come la narrazione della morte di Marie Colvin e degli eventi che vi hanno condotto, ma anche come un esempio pratico, non si sa quanto volontario, delle teorizzazioni sulla biograficità della narrazione.
L’impegno in prima linea viene alternato con un’attenzione anche per la vita privata, le relazioni intime e familiari, tutte subalterne comunque all’impegno professionale, analizzato con la relazione abbastanza complicata con il direttore del giornale oppure attraverso il sodalizio con Paul, un fotografo conosciuto in Iraq che le è stato vicino fino agli ultimi istanti di vita. Le inquadrature molto composte sono forse il limite di A private war, soprattutto nelle scene delle zone di guerra, che, nonostante i martellanti effetti sonori favoriscano un effetto di immersione molto realistico, restituiscono un immagine troppo idealizzata e pulita delle stesse.
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A Private War si configura in primis come la narrazione della morte di Marie Colvin e degli eventi che vi hanno condotto, ma anche come un esempio pratico, non si sa quanto volontario, delle teorizzazioni sulla biograficità della narrazione.
L’impegno in prima linea viene alternato con un’attenzione anche per la vita privata, le relazioni intime e familiari, tutte subalterne comunque all’impegno professionale, analizzato con la relazione abbastanza complicata con il direttore del giornale oppure attraverso il sodalizio con Paul, un fotografo conosciuto in Iraq che le è stato vicino fino agli ultimi istanti di vita. Le inquadrature molto composte sono forse il limite di A private war, soprattutto nelle scene delle zone di guerra, che, nonostante i martellanti effetti sonori favoriscano un effetto di immersione molto realistico, restituiscono un immagine troppo idealizzata e pulita delle stesse.
Il ritratto di Marie Colvin nel complesso ha il merito di non rinunciare ad evidenziarne insieme ad una rara abnegazione altruistica, i limiti nell’allacciare dei duraturi rapporti umani, senza per questo intaccare minimamente l’enormità di aver portato alla luce del mondo la barbarie e la crudeltà.
Rosamund Pike è straordinaria nel ricreare il tormento della giornalista, impegnata, a rischio della vita, dalla missione di raccontare la verità dei maggiori conflitti che hanno insanguinato il pianeta. Una figura che l’attrice impersona con lo stesso coraggio dell’originale facendo trasparire un altrettanto eccezionale fragilità nervosa. Il lascito della paura, che dopo aver destabilizzato la mente, ha scombussolato il corpo. Un corpo che la Pike rappresenta ad un certo punto come stesse evaporando, in una scena emblematica che la ritrae in uno specchio per assicurarsi di non essere svanita, schiava di tabagismo e alcolismo cronico.
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alessandro de felice
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giovedì 1 luglio 2021
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un film con
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Biopic di una reporter di guerra morta in Siria sotto i bombardamenti. Ottima l'interpretazione di Rosamund Pike, di maniera tutta la parte registica e lo svolgimento stesso della vicenda ( inevitabile in una narrazione di cui si sa già la fine partendo dalla prima inquadratura) eppure...
Eppure il film non può essere liquidato come un semplice film biografico su qualcuno..perché qui si punta il dito non sul personaggio di per se,ma sulla sua idea del perché è morta. La vita di una donna che forse amava talmente tanto ciò che faceva da, ormai, odiarlo...ma che riteneva il suo lavoro non un semplice lavoro ma una necessità perché il mondo doveva sapere.
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Biopic di una reporter di guerra morta in Siria sotto i bombardamenti. Ottima l'interpretazione di Rosamund Pike, di maniera tutta la parte registica e lo svolgimento stesso della vicenda ( inevitabile in una narrazione di cui si sa già la fine partendo dalla prima inquadratura) eppure...
Eppure il film non può essere liquidato come un semplice film biografico su qualcuno..perché qui si punta il dito non sul personaggio di per se,ma sulla sua idea del perché è morta. La vita di una donna che forse amava talmente tanto ciò che faceva da, ormai, odiarlo...ma che riteneva il suo lavoro non un semplice lavoro ma una necessità perché il mondo doveva sapere..anche a costo della sua vita; anzi forse la sua vita doveva essere ( perché lei lo sapeva) il tributo da pagare perché finalmente qualcuno nel modo si accorgesse delle storture che lei faceva venire a galla. Da quell uno ,poi,altri ne sarebbero arrivati. Una speranza che ha accompagnato Marie Colvin per tutta la sua esistenza e questo film ne rende un giusto tributo. Non solo alla donna o alla giornalista, ma all'idealista che albergava in lei.
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emanuele 1968
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lunedì 4 marzo 2019
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essere in prima linea
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Come si suol dire << essere in prima linea >> mentre lo guardavo mi veniva in mente Micalizzi, alla fine la domanda e sempre quella, perchè?
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flyanto
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lunedì 3 dicembre 2018
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il ritratto umano di una donna coraggiosa
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“A Private War” costituisce l’autobiografia della statunitense Marie Colvin che esercitò la professione di reporter di guerra per il quotidiano Sunday Times dal 1985 sino al 2012, anno della sua morte ad Homs, in Siria, nel corso di un bombardamento aereo. La pellicola presenta la figura di questa abile e coraggiosa donna che rischiò la propria vita molteplici volte nel corso della sua carriera di inviata speciale: sempre presente nei luoghi in cui si verificavano scontri bellici, quali quelli in Sri Lanka, Cecenia, Iraq, Afghanistan, ed ultimo in Siria, la Colvin dimostrò di avere coraggio battendosi e denunciando in prima persona con i suoi articoli le crudeltà, le violenze, ed i raggiri politici a discapito delle popolazioni inermi, vittime innocenti di guerre cruente ed inammissibili.
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“A Private War” costituisce l’autobiografia della statunitense Marie Colvin che esercitò la professione di reporter di guerra per il quotidiano Sunday Times dal 1985 sino al 2012, anno della sua morte ad Homs, in Siria, nel corso di un bombardamento aereo. La pellicola presenta la figura di questa abile e coraggiosa donna che rischiò la propria vita molteplici volte nel corso della sua carriera di inviata speciale: sempre presente nei luoghi in cui si verificavano scontri bellici, quali quelli in Sri Lanka, Cecenia, Iraq, Afghanistan, ed ultimo in Siria, la Colvin dimostrò di avere coraggio battendosi e denunciando in prima persona con i suoi articoli le crudeltà, le violenze, ed i raggiri politici a discapito delle popolazioni inermi, vittime innocenti di guerre cruente ed inammissibili. Insignita di molti riconoscimenti per il suo operato e famosa per indossare costantemente una benda ‘da pirata’ sull’occhio sinistro perso durante un attacco in Sri Lanka, in quest’opera cinematografica la Colvin viene presentata non solo dal punto di vista professionale, ma anche da quello della propria vita privata. Lo spettatore, così, viene ad apprendere della sua relazione sentimentale (poi terminata) con un collega giornalista/scrittore, dei suoi svariati incontri occasionali dovuti al suo continuo viaggiare e mai risiedere a lungo in un luogo, la sua collaborazione, ma soprattutto la sua profonda amicizia, con il britannico fotografo freelance Paul Conroy, incontrato ‘casualmente’ in Afghanistan, il suo desiderio, purtroppo per lei mai realizzato, di diventare madre e la sua propensione a bere talvolta qualche bicchiere di troppo…. Insomma, “A Private War”, come biopic, risulta, dunque, una pellicola completa e non soltanto meramente biografica, forse, probabilmente anche un poco romanzata da parte del suo regista Matthew Heineman, ma assai interessante per le molteplici sfaccettature che egli presenta sullo schermo di questo affascinante ed intelligente personaggio femminile, dal cui ritratto emerge soprattutto che, accanto alla natura ed al carattere forte e coraggioso, esisteva anche una parte profondamente umana e quanto mai reale di donna provvista di debolezze, d’ inquietudini e di saltuari scatti d’ira.
L’attrice Rosamund Pike, nel ruolo di Marie Colvin, si dimostra molto credibile ed anche gli attori che ruotano intorno a lei in ruoli più o meno secondari (Stanley Tucci, Jamie Dorman, Greg Wise, ecc…), contribuendo così tutti all’unisono alla riuscita della pellicola e, pertanto, a destarne l’interesse oltre che una giusta dose di riflessione da parte dello spettatore.
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cardclau
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venerdì 23 novembre 2018
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l'importanza della testimonianza
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Il film di Mattew Heineman, A Private War, rende giustamente omaggio, e ne rinfranca la memoria, a Marie Catherine Colvin (Oyster Bay, 12 gennaio 1956 – Homs, 22 febbraio 2012). Una giornalista statunitense, ritenuta dalla maggior parte dei suoi colleghi la più grande corrispondente di guerra della sua generazione, che fu presa di mira e uccisa il 22 febbraio 2012 dalle forze armate siriane perché aveva denunciato per prima la sofferenza della popolazione civile ad Homs, in Siria. Riporto dall’ANSA: “ "Non è importante quale esercito compia l'attacco, quello che conta è il costo umano delle persone". Era una delle convinzioni di Marie Colvin, grande inviata di guerra del Sunday Times, che a 56 anni è rimasta uccisa da un attacco a Homs in Siria, voluto probabilmente da Assad, di cui la giornalista aveva appena rivelato il bombardamento indiscriminato sulla popolazione civile.
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Il film di Mattew Heineman, A Private War, rende giustamente omaggio, e ne rinfranca la memoria, a Marie Catherine Colvin (Oyster Bay, 12 gennaio 1956 – Homs, 22 febbraio 2012). Una giornalista statunitense, ritenuta dalla maggior parte dei suoi colleghi la più grande corrispondente di guerra della sua generazione, che fu presa di mira e uccisa il 22 febbraio 2012 dalle forze armate siriane perché aveva denunciato per prima la sofferenza della popolazione civile ad Homs, in Siria. Riporto dall’ANSA: “ "Non è importante quale esercito compia l'attacco, quello che conta è il costo umano delle persone". Era una delle convinzioni di Marie Colvin, grande inviata di guerra del Sunday Times, che a 56 anni è rimasta uccisa da un attacco a Homs in Siria, voluto probabilmente da Assad, di cui la giornalista aveva appena rivelato il bombardamento indiscriminato sulla popolazione civile.” Forse però le considerazioni su quale esercito compia l’attacco potrebbero essere ampliate dagli interessi in gioco e da chi ci guadagna. Altrimenti tutto si risolverebbe inevitabilmente considerando l’essere umano come guerrafondaio per “natura”, per scrittura nel DNA. Il perché uno decida di fare il corrispondente di guerra, in continuo e drammatico contatto con la sofferenza e la distruzione, rimane avvolto comunque dal mistero, e dal nostro rispetto. Visto infatti che l’aumento della massa cranica, avvenuto circa tre milioni di anni fa, in quello che sarebbe poi diventato l’Homo Sapiens, non sempre viene utilizzato in modo appropriato dal suo possessore, è fondamentale che ci siano dei testimoni che risveglino le coscienze, e che cerchino di rischiarare l’oscurità della falsità con la luce della verità. Marie Colvin ha dato un importante contributo in questa direzione. E se la sua splendida interprete, Rosamund Pike, come il regista Mattew Heineman, cascano in certi momenti nell’agiografico e nel sentimentale, o se stanno troppo in superficie, li possiamo perdonare. Rimangono però una serie di considerazioni, altre dalla testimonianza degli orrori, e che ci fanno intuire che la guerra è cosa assai complessa. Certo da sempre, ma soprattutto dal diciannovesimo secolo, lo sforzo dell’essere umano di perfezionare la armi, si è ingigantito. Adesso possiamo procedere alla distruzione chirurgica, solo del materiale infetto. Ma chi decide cosa è infetto, e chi non lo è? La verità è che ci rimette sempre di più la popolazione civile inerme, e alla grande. Almeno a cominciare dalla prima guerra mondiale. E tu che bombardi vedi negli occhi la sofferenza che induci? I razzi, i droni, i siriani? Ma scusate i droni non erano solo americani? E come hanno fatto i siriani ad averli, questi droni? Allora a questo punto, di fronte a codeste e ad altre angosciose domande mi viene nella mente solo: … e pace in terra agli uomini di buona volontà … Marie Colvin era una di quelle.
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