Morto Stalin, se ne fa un altro

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L'ultima notte del dittatore diventa una farsa

di Paolo D'Agostini La Repubblica

È la sera del 28 febbraio 1953. Mentre nella sua dacia Stalin gozzoviglia con i suoi più stretti complici che fanno a gara di servilismo nell'assecondare il rozzo umorismo del capo, negli studi della radio si vive un brutto quarto d'ora perché una perentoria telefonata dai piani altissimi ha ordinato la registrazione del concerto che si è appena concluso in diretta ma non è stato registrato. Malgrado sia notte fonda tutti di nuovo ai loro posti, pubblico e orchestra. Così l'incipit della satira, o parodia, Morto Stalin se ne fa un altro diretto dallo scozzese di padre italiano Armando Iannucci sulla base della ghaphic novel francese La morte di Stalin. Tutte vere le mostruosità messe in scena. Durante quella notte, dietro l'inaccessibile porta chiusa, Stalin è vittima di un ictus ma il balletto della paura, delle rivalità, della mancanza di medici validi dopo la purga che ha decapitato i vertici sanitari sospettati di tradimento, fa sì che si tardi a intervenire. Stalin muore all'alba del 5 marzo. Al vertice del Presidium del partito siedono Malenkov, pallone gonfiato che teme anche la propria ombra e in quanto nominale braccio destro del dittatore viene promosso capo supremo; le altre comparse reciprocamente maldicenti Bulganin, Kaganovic, Mikoyan; Lavrenti Berija, padrone dell'apparato poliziesco e anima nera del potere staliniano, e l'astro nascente Nikita Chruscev arguto e caciarone, interpretato dal superbo Steve Buscemi: i due protagonisti della partita; e poi Molotov e il maresciallo Zukov, intoccabili e massimi rivali del dittatore morente. Ministro degli esteri del famigerato patto con Hitler e unico della vecchia guardia bolscevica ad essere scampato alle grandi purghe, il primo non si è invece sottratto all'umiliante accettazione dell'arresto della moglie Polina. Zukov è il popolare eroe dell'Armata Rossa, il simbolo massimo della Grande Guerra Patriottica vittoriosa, colui che ha issato la bandiera rossa su Berlino. Disprezza tutti quei cortigiani ed è determinante nel liquidare il macellaio Berjia, nel mettere a tacere gli altri pretendenti presi a spiarsi e tramare per farsi le scarpe tutti contro tutti, e nello sponsorizzare il moderato "disgelo" promosso dal nuovo leader Nikita. Il fatto che tutta questa materia venga trattata in tono farsesco lascia un po' perplessi. La chiave garantisce un esito brillante e divertente, ma può dare l'impressione che la colossale tragedia di cui si parla sia stata solo una pagliacciata.
Da La Repubblica, 4 gennaio 2018


di Paolo D'Agostini, 4 gennaio 2018

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