I fantasmi d'Ismael

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Spie, segreti e citazioni ma il gioco è tutto di testa

di Emiliano Morreale La Repubblica

In molti eravamo rimasti interdetti dall'apertura dello scorso Festival di Cannes, affidata a questo Les fantomes I fantasmi d'Ismael. Certo, Desplechin è uno dei nomi più prestigiosi del cinema francese degli ultimi decenni, fin dal suo secondo lungometraggio, Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle). E il cast di richiamo, soprattutto nazionale, c'era. Ma il film era davvero poco invitante, sia per il progetto in sé sia per i risultati. L'inizio, che sembra avviare una storia di spionaggio, è in realtà una falsa pista: si tratta di un film nel film, interpretato da Louis Garrel e da una Alba Rohrwacher nelle simpatiche vesti di Bond girl (ma la sua interpretazione è rovinata nella versione doppiata). In realtà la storia principale è quella di un regista in crisi (l'autore della spy story di cui sopra), ancora ossessionato dalla scomparsa della moglie Carlotta (Marion Cotillard), avvenuta vent'anni prima. Seguiamo in flashback l'incontro del protagonista con l'attuale compagna (Charlotte Gainsbourg), la nascita e lo sviluppo della loro storia, finché Carlotta si ripresenta, ancora viva, sconvolgendo la vita di Dedalus. Le tre linee narrative (passato, presente, film nel film), più alcuni addentellati, tutte un po' sbilenche e innestate una dentro l'altra, a tratti fondendosi. La moglie che ritorna si chiama Carlotta come l'antenata del ritratto di La donna che visse due volte; il pianoforte accenna a un certo punto "Laura", leitmotiv di un altro film di donna revenant (diretto da Otto Preminger nel 1944, da noi si chiamava Vertigine), i nomi joyciani (Dedalus, Bloom) sono quelli che spesso Desplechin attribuisce ai suoi personaggi: e il protagonista ha lo stesso nome di quello di I re e la regina, sempre interpretato dal suo attore-doppio, Mathieu Amalric. Ma il gioco, pur elegante, tra noir, spy story, mélo e commedia, le metafore della sceneggiatura (dall'osservatorio astronomico a una minilezione sulla differenza tra la prospettiva della pittura nordica e quella italiana) non fanno un film, e l'idea di raccontare l'intreccio di realtà e finzione, il romanzesco come essenza dell'arte e forse fondo segreto delle vite, è un gioco tutto di testa, che sfocia prevedibilmente nell'auto-compianto dell'artista in crisi. Nei cinema italiani si vedranno due versioni: quella corta passata a Cannes, e in pochissime sale il director's cut di 25 minuti più lungo, che a quanto pare sarebbe più ipnotico, fluviale e affascinante.
Da La Repubblica, 26 aprile 2018


di Emiliano Morreale, 26 aprile 2018

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