uppercut
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domenica 30 aprile 2017
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inattaccabili?
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Indivisibili , perso al cinema, recuperato su sky, è innanzitutto il suo ottimo trailer: due volti gemelli che ti rimangono nella memoria, un'atmosfera cromatica e musicale molto pervasiva, un'idea narrativa di base accattivante. Il problema è il suo avanzamento nell'estensione del lungometraggio. A volte zoppica, sbanda, s'inciampa come la/le protagonista/e, costrette a un connubio a dir poco complicato. Anche il film soffre dello stesso handicap, autocostringendosi in un difficilissimo equilibrio tra realismo sociale e slancio visionario, un'impresa per geni come Zavattini o Kusturica, assai più ardua per un coraggioso regista alle prese con una produzione non certo stellare.
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Indivisibili , perso al cinema, recuperato su sky, è innanzitutto il suo ottimo trailer: due volti gemelli che ti rimangono nella memoria, un'atmosfera cromatica e musicale molto pervasiva, un'idea narrativa di base accattivante. Il problema è il suo avanzamento nell'estensione del lungometraggio. A volte zoppica, sbanda, s'inciampa come la/le protagonista/e, costrette a un connubio a dir poco complicato. Anche il film soffre dello stesso handicap, autocostringendosi in un difficilissimo equilibrio tra realismo sociale e slancio visionario, un'impresa per geni come Zavattini o Kusturica, assai più ardua per un coraggioso regista alle prese con una produzione non certo stellare. Forte dell'assunto che in una favola contemporanea in fondo tutto è concesso, il film si concede e si perdona incongruenze, buchi di sceneggiatura, battute improbabili, perdendo a poco a poco ogni credibile tensione.
Il medico che spunta dal nulla a dire la sua diagnosi rivelatrice dopo diciotto anni di vita inspiegabilmente vissuti nel più totale silenzio: la passione da parte di una ragazza di periferia del giorno d'oggi nutrita di canzonacce paterne per Janis Joplin (!); il viaggio in motocicletta, una davanti e l'altra dietro, da parte di due sorelle siamesi (che non sarebbe propriamente giuntate con una cerniera per finestre); l'imbarazzante discrepanza tra le dimensioni della barca e del suo scafo popolato come una discoteca; il tempo che ci si può mettere per trovare un cavolo di té alla pesca in una stiva mentre ti fumano i santissimi per un approccio interrotto; l'inspiegabile arrivo del padre a cercare le figlie nel luogo a loro stesse ignoto (dov'è la riva del Volturno? chiedono innocenti...); l'incomprensibile scena tra le foglie, sottotitolata da sky in modo non esattamente provvidenziale: "Parlano in napoletano stretto..."; una camminata di duecento metri in una clinica svizzera in totale assenza di lettini, infermiere, medici, carrozzine... insomma, una somma di licenze poetiche alla fine davvero insostenibile. Nonostante un finale commovente da cui davvero ci si separa a malincuore.
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gufetta76
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mercoledì 3 maggio 2017
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la sorellanza
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Nonostante il dialetto per me incomprensibile, il film è girato bene ed è molto bello. Belle le musiche e anche le location spesso sembrano non luoghi o spazi stregati. La tematica trattata è difficile e spesso scabrosa, ma la regia veloce e semplice non appesantisce la tematica.Consigliato
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eugenio
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martedì 25 luglio 2017
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il racconto di due gemelle alle foci del volturno
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A metà tra il melò, un territorio straziato dai rifiuti alla foce del Volturno e il riscatto sociale.
A metà tra il desiderio di proclamare la propria indipendenza e l’esercizio di un diritto primigenio quello alla vita contro la logica pietistica di “fenomeni da baraccone”, il tempo necessario per una suonata al matrimonio o a un ballo in una festa in piazza di paese.
A metà tra il comportamento passivo che nasconde condiscendenza, amara accettazione dello status quo e l’ansia di provare emozioni nuove, in poche parole: una nuova vita.
Il titolo tra tante metà che nel film giocano un ruolo dicotomico e da una volontà di ”separazione” , per antifrasi, è ineluttabile e perentorio: Indivisibili.
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A metà tra il melò, un territorio straziato dai rifiuti alla foce del Volturno e il riscatto sociale.
A metà tra il desiderio di proclamare la propria indipendenza e l’esercizio di un diritto primigenio quello alla vita contro la logica pietistica di “fenomeni da baraccone”, il tempo necessario per una suonata al matrimonio o a un ballo in una festa in piazza di paese.
A metà tra il comportamento passivo che nasconde condiscendenza, amara accettazione dello status quo e l’ansia di provare emozioni nuove, in poche parole: una nuova vita.
Il titolo tra tante metà che nel film giocano un ruolo dicotomico e da una volontà di ”separazione” , per antifrasi, è ineluttabile e perentorio: Indivisibili.
Indivisibili di Edoardo de Angelis descrive drammaticamente la vicenda di due ragazze siamesi (interpretate dalle bravissime Angela e Marianna Fontana), Viola e Dasy e il loro legame simbiotico e incomprensibile agli occhi di chi nulla del genere ha mai provato, della loro esistenza, una vita come cantanti neo-melodiche sul litorale domizio con un carrozzone guidato dal “dickensiano” padre e dalla ferita (quanto bizzarra) madre (e zii al seguito) nel girotondo circense di nani, guitti e ballerine.
Non sono “cattivi” i genitori di Viola e Dasy; sono persone asservite alla vita, che cercano di arrangiarsi sfruttando la disabilità delle figlie. Conducono un’esistenza appartata in una villetta disadorna non priva delle necessarie avanguardie tecnologiche, a parte cinici ma capaci della generosità necessaria per dividere i frutti della loro “fatica” conservando parte della somma in un libretto intestato alle due figlie.
Dal sogno di spostarsi a Los Angeles per condurre una vita diversa da quella attuale, Viola e Dasy, apprendono quasi per caso, di poter essere separate e che l’intervento con buona probabilità di successo, permetterà a entrambe (in particolare a una di queste che vorrebbe ubriacarsi, ridere, fare l’amore con una decisa indipendenza) di essere libere e indipendenti secondo i rischi che tale libertà potrà comportare a chi ha sempre vissuto ogni momento quotidiano in “doppio”.
In fuga da una famiglia che non ha mai loro permesso per cupidigia e accidia un intervento medico e accecate dall’illusione di un guadagno facile (i ventimila euro necessari all’operazione) lavorando per uno “pseudo” talent scout di donne di spettacolo che non si fa scrupolo di circondarsi di freaks, “mostri”, in uno yacht ormeggiato al largo di CastelVolturno, Daisy e Viola comprenderanno la difficoltà di una scelta in un mondo “brutto, sporco e cattivo” che non si fa scupolo di oltraggiarle per i loro scopi, un mondo che li allontanerà prepotentemente dall’infanzia perduta verso una maturità amara e crudele.
In questo contesto anche la fede pare non fornire alcuna risposta secondo De Angelis. Il ruolo del prete che imbastisce una commedia nella commedia per convincere disperati extracomunitari del miracolo di Cristo (con tanto di canti gregoriani e stimmate alle due giovani protagoniste), è il sintomo di un’umanità marcia, metaforicamente ripresa alla foce di fogna del fiume Volturno, in un universo di pattume e immondizia che cela nel proprio profondo, cinismo e mancanza di ogni speranza.
Indivisibili di De Angelis muove con sicurezza la macchina da presa all’altezza delle due ragazze. Non si fa scrupolo di cercare un parallelismo con il Pinocchio collodiano ( con molteplici riferimenti nella scena dello yacht a Mangiafuoco e alle facili illusioni di una vita agiata, ricordano l’ingenuità del burattino di legno) ma procede oltre nel tentativo di denunciare con un film accorato e corale le inquietudini di un territorio in mano a camorristi e crocevia di rifiuti e miseria.
La stessa che le due protagoniste dovranno vivere, la stessa che in un climax le condurrà per converso a quell’agognato quanto illusorio traguardo che una volta raggiunto sarà il prefazio a una salita senza fine.
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valterchiappa
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martedì 26 settembre 2017
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favole dal degrado: il cinema italiano risorge
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La penna di Nicola Guaglianone, sceneggiatore di “Lo chiamavano Jeeg Robot” ama osare; raccontare storie inedite, mescolare registri, reinventare generi, così come accaduto per l’acclamato film di Gabriele Mainetti. In “Indivisibili”, assieme al regista Edoardo De Angelis (“Mozzarella stories”, “Perez”), ci racconta un’altra favola, così come sa fare lui, utilizzando ingredienti in insolito accostamento, a volte in stridente contrasto, ma rivestendoli comunque con un alone di purissima poesia.
L’ambientazione, fondamentale, è sparata subito nella sequenza iniziale.
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La penna di Nicola Guaglianone, sceneggiatore di “Lo chiamavano Jeeg Robot” ama osare; raccontare storie inedite, mescolare registri, reinventare generi, così come accaduto per l’acclamato film di Gabriele Mainetti. In “Indivisibili”, assieme al regista Edoardo De Angelis (“Mozzarella stories”, “Perez”), ci racconta un’altra favola, così come sa fare lui, utilizzando ingredienti in insolito accostamento, a volte in stridente contrasto, ma rivestendoli comunque con un alone di purissima poesia.
L’ambientazione, fondamentale, è sparata subito nella sequenza iniziale. Dall’estrema periferia di Roma, andando incontro al napoletano De Angelis, si arriva all’estrema periferia della Campania, o forse d’Italia: quel litorale domizio, territorio devastato dal degrado più totale, dai rifiuti tossici, dall’abusivismo edilizio, ormai propaggine d’Africa e di ogni terzo mondo possibile. Ma se Enzo Ceccotti, pur nella sua solitudine, si inseriva perfettamente nella sua Tor Bella Monaca, fra le case fatiscenti di Castelvolturno Guaglianone colloca due angeli: le gemelle Viola e Daisy (Marianna e Angela Fontana).
Le ragazze sono siamesi, unite all’altezza del bacino (il loro nome è una citazione delle sorelle Daisy e Violet Hilton di “Freaks”). Dotate di una voce melodiosa, si esibiscono nei ricevimenti trash della zona cantando le canzoni neomelodiche scritte dal padre (Massimiliano Rossi), che gestisce e sfrutta il loro talento. La loro menomazione fisica fa da richiamo, ma non sono dei fenomeni di baraccone. Si presentano con un abito argenteo, i visi puliti e luminosi; freaks appaiono piuttosto i grotteschi personaggi che le circondano. In quel coacervo multietnico dalla religiosità paganeggiante, attorno alle loro figure si è addirittura costruita un’aura mistica. La pura bellezza e quella insolita caratteristica fisica sono viste come segni del Soprannaturale e le ragazze venerate come sante; un sordido prete (Gianfranco Gallo) alimenta il culto spontaneo per governare il suo colorito gregge.
La descrizione iniziale è così tutto un giocare fra estremi opposti: fra pura bellezza e squallore senza rimedio, fra candore e aberrazione morale. Ma anche le due ragazze, sin dalla prima sequenza, in cui una si tocca mentre l’altra dorme placidamente, appaiono come due emisferi di un’entità che in realtà pare unica. Viola dall’animo semplice e disposta a contentarsi del suo poco, Daisy inquieta e pronta a farsi valere quando occorre. Ragione ed istinto: due anime diverse unite dal caso o un’anima sola separata fra due teste e due nomi?
Vivono così Viola e Daisy, chiuse nel loro piccolo mondo, nella loro casupola fatiscente, con un padre padrone diviso fra le velleità da artista e il vizio del gioco e una madre (Antonia Truppo) che si assenta nel fumo delle canne, davanti a quella lurida spiaggia, in mezzo a quel degrado. Ma hanno ugualmente i sogni e le pulsioni di ogni altra adolescente del mondo. Vivono così, vincolate, così come uniti sono i loro corpi, ad un destino che pare ineluttabile, finché un medico svizzero (Peppe Servillo) diagnostica, e gli accertamenti clinici lo confermano, che le ragazze possono essere divise senza rischi con un semplice intervento chirurgico.
Dividere. Questo diventa il tema dominante. Dividere: è la parola che ossessivamente Daisy cerca di inculcare nella mente della sorella in una delle scene più intense del film. Perché è ovviamente Daisy che intraprende con decisione quel cammino che rappresenta un percorso di crescita. Lo farà, sempre trascinando Viola, affrontando mille traversie. Lo farà fino alle estreme conseguenze, perché crescere comporta sempre uccidere una parte di sé. Ma ci si può dividere? In fondo ci si divide mai?
Questa la poetica favola di De Angelis e Guaglianone.
Ma c’è un aspetto, altrettanto favolistico, che contribuisce in maniera determinante a rendere “Indivisibili”, così com’è, un film bellissimo: la presenza delle gemelle Fontana, esordienti provenienti dal mondo dei talent show (sì, a volte i miracoli accadono). Innanzitutto per la presenza scenica: i volti delle sorelle napoletane colmano ed illuminano lo schermo; se ne avvede De Angelis che li insegue costantemente, confezionando inquadrature preziose (di valore pittorico la sequenza in cui sono portate in processione addobbate come Madonne pagane) o inseguendole freneticamente con la camera a mano. Ma intensa e toccante è anche la loro interpretazione, favorita dall’uso di un dialetto campano strettissimo, efficace nel rappresentare le diversità, viscerale nell’esprimere l’inestinguibile sentimento fra le due sorelle.
La regia di De Angelis è impeccabile: non solo capace di alimentarsi del materiale umano fornitole dalle protagoniste, che a sua volta valorizza col gesto tecnico; ma anche lapidaria nei piani sequenza con cui fotografa implacabilmente i desolanti scenari dell’ambientazione; e visionaria nella costruzione delle scene con cui dipinge il contrasto fra bellezza e bruttura, fra favola e realtà che è il vero leitmotiv del film. Ottimi gli interpreti secondari. Se Antonia Truppo (David di Donatello come migliore attrice non protagonista per “Lo chiamavano Jeeg Robot”) si conferma una caratterista affidabile, Massimiliano Rossi, proveniente dall’ambiente teatrale partenopeo, è volto che si impone per intensità. La colonna sonora di Enzo Avitabile, satura di contaminazioni, si sposa perfettamente col melting pot culturale rappresentato nel film.
Cosa manca allora a “Indivisibili” per essere un capolavoro? Nulla: c’è troppo. La storia di Dasy e Viola forse avrebbe avuto bisogno di più linearità, di parlare solo con la sua poeticità. Guaglianone, nella sua foga innovativa, utilizza, mescolandoli, vari linguaggi: la favola, il crudo realismo, il grottesco, la satira. Ma stavolta l’amalgama non è perfetto. Lo scenario retrostante, nella sua drammaticità, urla troppo e non si contenta di essere uno sfondo. Il grottesco è insistito forzatamente nella scena, che appare sovrabbondante, dello yacht popolato da freaks del laido impresario (che porta l’evocativo nome di Marco Ferreri) perversamente attratto dalle deformità.
Ma, nonostante questo, “Indivisibili” resta un film da vedere assolutamente. L’obiettivo di Edoardo De Angelis e la penna di Nicola Guaglianone, con tecnica e creatività, aprono nuove prospettive al nostro cinema e al cinema in generale. Questa volta non correranno verso gli Oscar. Ma la strada è aperta.
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ennio
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venerdì 27 ottobre 2017
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realismo+originalità+umorismo+surrealismo
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Una bella sorpresa che il cinema italo-napoletano riserva agli orfani del realismo. Solo la scena dello sfogo di Peppe per le spese insulse della moglie vale un Oscar alla comicità. Molto brave le due gemelle. I personaggi del prete-boss che pratica cerimonie iniziatiche neognostiche e del ricco pervertito che organizza ritrovi di mostri sessualmente deviati, sono talmente estremi da sembrare surreali, ma temo che si avvicinino molto alla realtà. Intensa anche la rappresentazione del gruppo familiare allargato e del gruppo sociale allargato composto di umanità spesso derelitte che, nonostante tutto, campano cercando di non farsi troppo male. Quattro stelle abbondanti.
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great steven
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lunedì 25 marzo 2019
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una frase a favore della sanità del nostro cinema.
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INDIVISIBILI (IT, 2016) diretto da EDOARDO DE ANGELIS. Interpretato da MARIANNA FONTANA, ANGELA FONTANA, ANTONIA TRUPPO, MASSIMILIANO ROSSI, TONY LAUDADIO, MARCO MARIO DE NOTATRIS, GIANFRANCO GALLO, GAETANO BRUNO, PEPPE SERVILLO
Viola e Dasy sono due gemelle siamesi partenopee di 18 anni che, col mestiere di cantanti (si esibiscono ai matrimoni e alle sagre di paese), mantengono tutta la loro famiglia, incassando mediamente svariate migliaia di euro ogni anno. Ma, nonostante lo strepitoso successo e l’indiscussa popolarità di cui godono nella periferia di Napoli, la loro vita famigliare è tutt’altro che idilliaca. Il padre, compositore dei brani che esse interpretano, è arrogante e ha il vizio del gioco d’azzardo, mentre la madre, che con lui si trova spesso in disaccordo, è dipendente dall’alcol.
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INDIVISIBILI (IT, 2016) diretto da EDOARDO DE ANGELIS. Interpretato da MARIANNA FONTANA, ANGELA FONTANA, ANTONIA TRUPPO, MASSIMILIANO ROSSI, TONY LAUDADIO, MARCO MARIO DE NOTATRIS, GIANFRANCO GALLO, GAETANO BRUNO, PEPPE SERVILLO
Viola e Dasy sono due gemelle siamesi partenopee di 18 anni che, col mestiere di cantanti (si esibiscono ai matrimoni e alle sagre di paese), mantengono tutta la loro famiglia, incassando mediamente svariate migliaia di euro ogni anno. Ma, nonostante lo strepitoso successo e l’indiscussa popolarità di cui godono nella periferia di Napoli, la loro vita famigliare è tutt’altro che idilliaca. Il padre, compositore dei brani che esse interpretano, è arrogante e ha il vizio del gioco d’azzardo, mentre la madre, che con lui si trova spesso in disaccordo, è dipendente dall’alcol. Quando conoscono un discografico, Marco Ferreri, che propone loro un contratto molto vantaggioso per lanciare definitivamente la loro carriera artistica, e in seguito un primario di chirurgia, il dottor Fasano, il quale sostiene che, dividendole durante un’operazione in sala, le loro esistenze migliorerebbero, Viola e Dasy patiscono infiniti dolori e per la prima volta hanno pensieri opposti: la prima preferirebbe evitare l’intervento e la seconda lo desidera più di tutte le altre cose perché desidererebbe ballare, viaggiare, bere vino senza che la sorella si ubriachi e fare l’amore («Pecché so’ femmena»). Fasano non pretende niente per l’intervento, ma Don Salvatore, il parroco che sta erigendo in onore delle due gemelle una nuova chiesa per gli immigrati poveri, sconsiglia loro quest’idea, ancor di più quando Viola e Dasy scappano di casa – scatenando l’ira del padre – e gli chiedono 20.000 euro. Dopo esser state invitate e poi cacciate dal piccolo yacht di Ferreri in seguito pure ad un breve incontro amoroso fra Dasy e il produttore, le ragazzine finiscono in mare, e, durante la processione per l’inaugurazione della summenzionata chiesa, Dasy si pugnala allo stomaco, mettendo a repentaglio la vita di entrambe. Qui il dottor Fasano interviene e in conclusione riesce a separarle. Finalmente un film drammatico dai risvolti amari e commoventi che dimostra che il cinema italiano è vivo e gode di ottima salute, nonostante incursioni verso un peggioramento stilistico e una banalizzazione narrativa che, negli ultimi anni, hanno rischiato di precipitarlo in un pericoloso baratro. Le sorelle Fontana ne sono la rivelazione inconfutabile, dacché interpretano con vigore ed eleganza il ruolo delle protagoniste assumendosi del tutto il carico del profondo significato di umanità che l’opera di E. De Angelis trasmette senza soluzioni di continuità. Lo sfondo di Castelvolturno è il contesto sociale più adeguato per descrivere le sorti, i traumi e gli entusiasmi raffreddati e delusi di una separazione che apporta dolore non soltanto sul piano fisico. Molte le sequenze in cui il pathos che permea questa vicenda originale e struggente si eleva fino al punto da divenire una cifra narrativa di espressione efficacemente autonoma, ad esempio quando, durante la fuga da casa, Dasy costringe Viola a ripetere la parola «dividere», sortendo come unico risultato il pianto dirompente della sorella, o la scena in cui esplode la rabbia del padre che erroneamente si ritiene un deus ex machina dell’intera situazione per il semplice fatto che, siccome organizza lui gli eventi musicali per le figlie e scrive le loro canzoni, può spendere a proprio esclusivo piacimento gli introiti che ne derivano. C’è anche la speranza di vivere, da parte di Viola e Dasy, una vita che non si dovrebbe mai e poi mai definire banalmente normale, poiché, come una delle due afferma con veemenza, le cosiddette persone normali non beneficiano dei talenti che loro due possiedono e nemmeno di tutto ciò che ne consegue parlando delle soddisfazioni materiali e anche spirituali. Un’adolescenza da completare è lo scopo che ambedue si prefiggono, benché le modalità d’attuazione e il pensiero medesimo per giungervi differiscano in profondità fra loro. E in più s’aggiunge la paura smodata dell’ignoto: cosa dovrebbe succedere se l’operazione chirurgica non andasse per il verso giusto e le ragazze morissero sotto i ferri? Oppure cosa accadrebbe se si lasciassero le cose così come stanno e quali conseguenze elaborerebbero Viola e Dasy con un marcato nulla di fatto? La morale finale, non così positiva come suggeriscono le apparenze, apre comunque uno spiraglio ai desideri ancora da esaudire giacché possiamo vedere Viola che abbraccia la sorella da cui s’è separata fisicamente poche ore prima e, nel tepore e nella tenerezza del contatto corporeo, la invoglia a intonare un brano di Janis Joplin, amata alla follia da tutt’e due. M. Rossi e A. Truppo si danno da fare interpretando i loro ambigui ed iperprotettivi genitori, senza eccedere in superbia e, pur con un filo di autocompiacimento, con una meritevole distinzione che allieta il pregio della loro recitazione. Una robusta sceneggiatura in napoletano stretto con sottotitoli è anch’essa un ingrediente trionfante per un piccolo capolavoro che, negli anni, senza ombra di dubbio non mancherà di fare scuola ai cineasti a venire, per come l’orchestrazione delle parti non sia una loro mera somma, bensì una partitura ben schematizzata e complice di una ricerca stilistica che agguanta a piene le mani la più soave precisione. Presentato in concorso a Venezia 2016.
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guazza da semifonte
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giovedì 3 novembre 2016
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va visto!
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:"Indivisibili" di De Angelis va visto. E' decisamente al di sopra della media e non si presta in maniera lineare ad essere veicolato per il tramite della parola scritta suscitando come fa emozioni e riflessioni a getto continuo dal connubio inscindibile delle immagini con le crude ma eufoniche sequenze verbali in stretto, strettissimo dialetto campano. Come un film in lingua straniera e' sottotitolato ma bisogna cercar di ascoltarlo se lo si vuole apprezzare a tutto tondo perché la distanza fra quel che si legge e quel che si ode e' abissale: tante di quelle che uno della mia generazione , per una certa cultura sedimentata dal tempo ed oramai difficile da scalfire, continua a chiamare male parole anche se da molto hanno ottenuto il passaporto ed il visto d'ingresso nel lessico familiare, nella musicalità del dialetto napoletano sciolgono gran parte della loro carica semantica originaria, smussano gli angoli più acuti della volgarità , rimodellandosi in semplici interiezioni, in sottolineature cromatiche del parlato.
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:"Indivisibili" di De Angelis va visto. E' decisamente al di sopra della media e non si presta in maniera lineare ad essere veicolato per il tramite della parola scritta suscitando come fa emozioni e riflessioni a getto continuo dal connubio inscindibile delle immagini con le crude ma eufoniche sequenze verbali in stretto, strettissimo dialetto campano. Come un film in lingua straniera e' sottotitolato ma bisogna cercar di ascoltarlo se lo si vuole apprezzare a tutto tondo perché la distanza fra quel che si legge e quel che si ode e' abissale: tante di quelle che uno della mia generazione , per una certa cultura sedimentata dal tempo ed oramai difficile da scalfire, continua a chiamare male parole anche se da molto hanno ottenuto il passaporto ed il visto d'ingresso nel lessico familiare, nella musicalità del dialetto napoletano sciolgono gran parte della loro carica semantica originaria, smussano gli angoli più acuti della volgarità , rimodellandosi in semplici interiezioni, in sottolineature cromatiche del parlato.
E' storia di un mondo di confine, marginale, alla periferia della periferia di Napoli, Castelvolturno, dove tanti emarginati dai centri pulsanti della società , giorno dopo giorno, devono inventarsi una vita per riuscire a sopravvivere. Così quella che altrove sarebbe stata, sic et simpliciter, una disgrazia, un limite invalicabile ad ogni speranza di emancipazione , li' diviene il fulcro su cui una famiglia fa perno non solo per il sostentamento ma addirittura per un possibile progresso: due gemelle siamesi, unite all'altezza del bacino indissolubilmente, due inseparabili appunto. Uno spicchio della Corte dei miracoli catapultato nello spazio e nel tempo dalla Parigi del medioevo sulle rive del Volturno dei giorni nostri. Le due guaglione so' bell'assai e ben cantando sono state trasformate , sotto la regia d'un padre-padrone, in stelle splendenti del neomelodico, il genere musicale imperante in Napoli e dintorni. La vicenda si snoda fra matrimoni, compleanni, battesimi e tutte quelle occasioni nelle quali, per renderle ora memorabili, ora più rispettabili si concorre a trasformarle in uno spettacolo dove gli ultimi, per un giorno, si fingono i primi. Particolare rilievo hanno le partecipazioni alle feste religiose: la zona interessata e' stata oggetto di insediamenti di flussi migratori dall'Africa gia' da lungo tempo che hanno fuso la loro lettura del cristianesimo con quella assai sui generis dei campani delle classi meno fortunate. Il risultato e' stato il risorgere di un neo paganesimo, una santeria nostrana, che ha bisogno di vedere il divino, in cui tutto ripone, di toccarlo con mano nelle sue rappresentazione , nei segni della sua potenza quale appunto puo' interpreterarsi il "monstrum", lo straordinario, il meraviglioso di due gemelle siamesi.
Poi il coup de foudre: un medico, occasionalmente incontrato, svela che non c'e' niente di insormontabile ad una loro separazione, nessun organo vitale hanno in comune, il che fa lievitare in un attimo le asimmetrie psicologiche delle inseparabili: l'una aspira toto corde alla propria individualizzazione, alla propria libertà, l'altra teme la separazione, ha l'incubo della solitudine ed e' sul binario di questo conflitto che il racconto prende a scorrere sino alla sua escatologica conclusione. Da non perdere.
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flyanto
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mercoledì 8 marzo 2017
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un ritorno a se stesso
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Con "Rosso Istanbul" , film dedicato alla propria madre, il regista Ferzan Ozpetek ritorna nella sua natia Turchia e fortunatamente felicemente nel mondo del cinema.
La storia, ambientata, appunto, nella città di Istanbul, ruota tutta intorno alla figura di un editore di origini turche che ritorna dopo vent'anni nella sua terra d'origine dopo aver scelto deliberatamente di trasferirsi a Londra in seguito ad una terribile disgrazia personale. Ex scrittore di successo, il protagonista ha deciso di lasciare per sempre l'attività di romanziere e di dedicarsi alla pubblicazione dei libri altrui. Poichè sta curando quella di uno scrittore turco più giovane di lui, egli ritorna ad Istanbul per definire e concordare di persona gli ultimi accordi.
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Con "Rosso Istanbul" , film dedicato alla propria madre, il regista Ferzan Ozpetek ritorna nella sua natia Turchia e fortunatamente felicemente nel mondo del cinema.
La storia, ambientata, appunto, nella città di Istanbul, ruota tutta intorno alla figura di un editore di origini turche che ritorna dopo vent'anni nella sua terra d'origine dopo aver scelto deliberatamente di trasferirsi a Londra in seguito ad una terribile disgrazia personale. Ex scrittore di successo, il protagonista ha deciso di lasciare per sempre l'attività di romanziere e di dedicarsi alla pubblicazione dei libri altrui. Poichè sta curando quella di uno scrittore turco più giovane di lui, egli ritorna ad Istanbul per definire e concordare di persona gli ultimi accordi. Quando lo scrittore in questione una sera misteriosamente scompare, il protagonista giorno per giorno comincia a venire a contatto con il suo mondo personale, conoscendone amici, amanti e conoscenti ed inizia così anche a risvegliare in se stesso nuovamente la passione ormai sopita per la scrittura. Il soggiorno turco gli servirà, dunque, per ritrovare se stesso, fare pace con il suo passato ed i suoi fantasmi ed affacciarsi alla vita con uno spirito del tutto nuovo.
Una pellicola, forse, autobiografica dal momento che anche il regista Orzpetek ha lasciato la propria patria da circa vent'anni ed ora vi è ritornato per girare questo suo ultimo film. La città di Istanbul è in realtà la vera protagonista di quest' opera cinematografica con la sua atmosfera magica e col suo potere evocativo del passato che risveglia nel personaggio principlae antichi ricordi, dolori e passioni. Orzpetek, in "Rosso Istanbul" dimostra chiaramente l'amore e l'affetto che nutre per la sua città natale, riprendendola per tutta la durata del film in maniera quanto mai suggestiva, principalmente con inquadrature notturne, e particolare. Una sorta quasi di amore e nello stesso tempo odio provato per questa città che però si tramuta presto in un sentimento sconfinato e prorompente di affetto e di forte legame ancestrale. Al di là della storia, di per sè sicuramente interessante e sugegstiva, quello che costituisce il valore del film è proprio la sua atmosfera generale, quanto mai delicata, fatta di sfumature intense e pertanto alquanto toccante. Dopo i precedenti fallimentari "Magnifica Presenza" ed "Allacciate le cinture" , Orzpetek ritorna in maniera più che positiva a raccontare storie nel cinema.
Per estimatori.
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angeloumana
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martedì 12 settembre 2017
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un ambiente che "fà scuorno"
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Protagonista del film è l'ambiente dove il regista e sceneggiatore Edoardo De Angelis ha “immaginato” la sua storia, più delle due angeliche sorelle gemelle – 18enni nei loro personaggi - letteralmente “unite per la pelle”, che cantano nelle feste di comunioni e matrimoni del circondario. Il loro agente è il padre, senza scrupoli e che non tiene nel minimo conto la volontà delle ragazze, sfrutta la loro dipendenza che è quasi schiavitù, ne accumula i ricavi per spenderli a suo modo. La vicenda è immaginata ma trae spunto abbondantemente dal sottobosco della regione: qui siamo tra Castelvolturno e Baia Domizia.
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Protagonista del film è l'ambiente dove il regista e sceneggiatore Edoardo De Angelis ha “immaginato” la sua storia, più delle due angeliche sorelle gemelle – 18enni nei loro personaggi - letteralmente “unite per la pelle”, che cantano nelle feste di comunioni e matrimoni del circondario. Il loro agente è il padre, senza scrupoli e che non tiene nel minimo conto la volontà delle ragazze, sfrutta la loro dipendenza che è quasi schiavitù, ne accumula i ricavi per spenderli a suo modo. La vicenda è immaginata ma trae spunto abbondantemente dal sottobosco della regione: qui siamo tra Castelvolturno e Baia Domizia. C'è il degrado, storie sordide di violenza e sopraffazione, vite d'espedienti, mercificazione della fede, qui rappresentata da un prete che ha fattezze e comportamenti da boss. Tutto questo ambiente si intravvede dai primi fotogrammi, quando delle prostitute tornano alle loro case in un'alba buia, è come la presentazione di un luogo e delle sue condizioni di vita.
Le immagini sono grottesche, caricatura (ma non tanto) di un mondo che esiste davvero, creature umane trasfigurate – anche per effetto delle riprese - per le caratteristiche che devono impersonare e per i modi di condurre le loro vite: viene dal padre e dal prete consigliato alle due sorelle di restare unite per le anche, di non farsi operare per la separazione – del resto per uno sono fonte di guadagno e per l'altro attrazione per eventi “religiosi” - viene detto loro che solo così possono condurre una vita agiata e di un certo successo, sfruttando la loro situazione di cantanti Indivisibili, che separate vivrebbero di stenti come i tanti attorno a loro.
E' un buon film, originale e con fantasia e molto, molto triste, arricchito da canzoni campane e dalle musiche di Enzo Avitabile. Gli appartenente al cast sono di ottimo livello e danno il carattere giusto alle loro parti: Antonia Truppo come madre delle gemelle, le sorelle Marianna e Angela Fontana, Gianfranco Gallo che è l'equivoco prete Don Salvatore, Massimiliano Rossi nella parte del papà-impresario, Peppe Servillo che è il medico e, come seduttore circondato da donne e ricchezze, Gaetano Bruno.
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(di angeloumana)
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musetta
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domenica 22 settembre 2019
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sorelle da oscar, peccato il dialetto, cmq bello.
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Sinceramente per dare un vero giudizio avrei avuto bisogno dei sottotitoli... avrei preferito un italiano con accento partenopeo, capisco ad ogni modo la scelta verista e neorealista, ma mi rammarico pensando che il 90% degli italiani avrà solo una misera infarinatura del potenziale di questa pellicola intensa, scomoda e coraggiosa, peccato. Le ragazze una vera rivelazione, straordinarie.
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