A metà tra il melò, un territorio straziato dai rifiuti alla foce del Volturno e il riscatto sociale.
A metà tra il desiderio di proclamare la propria indipendenza e l’esercizio di un diritto primigenio quello alla vita contro la logica pietistica di “fenomeni da baraccone”, il tempo necessario per una suonata al matrimonio o a un ballo in una festa in piazza di paese.
A metà tra il comportamento passivo che nasconde condiscendenza, amara accettazione dello status quo e l’ansia di provare emozioni nuove, in poche parole: una nuova vita.
Il titolo tra tante metà che nel film giocano un ruolo dicotomico e da una volontà di ”separazione” , per antifrasi, è ineluttabile e perentorio: Indivisibili.
Indivisibili di Edoardo de Angelis descrive drammaticamente la vicenda di due ragazze siamesi (interpretate dalle bravissime Angela e Marianna Fontana), Viola e Dasy e il loro legame simbiotico e incomprensibile agli occhi di chi nulla del genere ha mai provato, della loro esistenza, una vita come cantanti neo-melodiche sul litorale domizio con un carrozzone guidato dal “dickensiano” padre e dalla ferita (quanto bizzarra) madre (e zii al seguito) nel girotondo circense di nani, guitti e ballerine.
Non sono “cattivi” i genitori di Viola e Dasy; sono persone asservite alla vita, che cercano di arrangiarsi sfruttando la disabilità delle figlie. Conducono un’esistenza appartata in una villetta disadorna non priva delle necessarie avanguardie tecnologiche, a parte cinici ma capaci della generosità necessaria per dividere i frutti della loro “fatica” conservando parte della somma in un libretto intestato alle due figlie.
Dal sogno di spostarsi a Los Angeles per condurre una vita diversa da quella attuale, Viola e Dasy, apprendono quasi per caso, di poter essere separate e che l’intervento con buona probabilità di successo, permetterà a entrambe (in particolare a una di queste che vorrebbe ubriacarsi, ridere, fare l’amore con una decisa indipendenza) di essere libere e indipendenti secondo i rischi che tale libertà potrà comportare a chi ha sempre vissuto ogni momento quotidiano in “doppio”.
In fuga da una famiglia che non ha mai loro permesso per cupidigia e accidia un intervento medico e accecate dall’illusione di un guadagno facile (i ventimila euro necessari all’operazione) lavorando per uno “pseudo” talent scout di donne di spettacolo che non si fa scrupolo di circondarsi di freaks, “mostri”, in uno yacht ormeggiato al largo di CastelVolturno, Daisy e Viola comprenderanno la difficoltà di una scelta in un mondo “brutto, sporco e cattivo” che non si fa scupolo di oltraggiarle per i loro scopi, un mondo che li allontanerà prepotentemente dall’infanzia perduta verso una maturità amara e crudele.
In questo contesto anche la fede pare non fornire alcuna risposta secondo De Angelis. Il ruolo del prete che imbastisce una commedia nella commedia per convincere disperati extracomunitari del miracolo di Cristo (con tanto di canti gregoriani e stimmate alle due giovani protagoniste), è il sintomo di un’umanità marcia, metaforicamente ripresa alla foce di fogna del fiume Volturno, in un universo di pattume e immondizia che cela nel proprio profondo, cinismo e mancanza di ogni speranza.
Indivisibili di De Angelis muove con sicurezza la macchina da presa all’altezza delle due ragazze. Non si fa scrupolo di cercare un parallelismo con il Pinocchio collodiano ( con molteplici riferimenti nella scena dello yacht a Mangiafuoco e alle facili illusioni di una vita agiata, ricordano l’ingenuità del burattino di legno) ma procede oltre nel tentativo di denunciare con un film accorato e corale le inquietudini di un territorio in mano a camorristi e crocevia di rifiuti e miseria.
La stessa che le due protagoniste dovranno vivere, la stessa che in un climax le condurrà per converso a quell’agognato quanto illusorio traguardo che una volta raggiunto sarà il prefazio a una salita senza fine.
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