ragindo
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domenica 1 settembre 2024
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quando gli attori diventano effetti speciali
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Una storia intensa e ricca di emozioni Un film apparentemente semplice teatrale, ma dove gli attori sono gli effetti speciali. Come dovrebbe essere in ogni film di valore. Da gustare ogni momento dall'inizio alla fine.
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erika
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martedì 21 dicembre 2021
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logorroico e cattivo
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Denzel Washington non mi piace. Lo trovo pieno di se' e logorroico. Ma qui è decisamente troppo. Brutto personaggio, cattivo e che si parla addosso. Qui la questione razziale c'entra poco. Se all'inizio lo si può "giustificare" e capire, alla fine si meriterebbe un pugno in faccia. Se lo usate come sottofondo mentre fate le pulizie ok, ma da seguire è impossibile.
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carloalberto
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martedì 6 ottobre 2020
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la questione razziale non merita questo
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Trasposizione cinematografica claustrofobica di una piece teatrale. Il film è girato quasi tutto nel piccolo giardino sul retro di una villetta, realizzato ad uso e consumo della performance attoriale drammatica di Denzel Washington, che se la canta e se la suona autoproducendosi e autodirigendosi. I ripetuti, insistenti, compiaciuti primi piano uniti alla prorompente e irrefrenabile logorroicità del protagonista, soprattutto nell’interminabile monologo iniziale, che il doppiatore Pannofino, con tono di voce monocorde e stucchevole, non fa nulla per rendere meno noioso, risultano al limite della sopportabilità.
Il testo di un acclamato e pluripremiato drammaturgo afroamericano, August Wilson, grondante retorica e pietismo da ogni parte, finisce per sotterrare la tematica centrale, che dovrebbe essere quella delle barriere razziali, che hanno impedito al protagonista di emergere nello sport nel quale eccelleva da giovane, sotto una caterva di situazioni drammatiche che lo coinvolgono, dal fratello handicappato, per colpa di una scheggia che gli si è conficcata in testa durante la guerra, al figlio disoccupato che lo va a trovare soltanto per spillargli qualche dollaro, fino all’amante che muore durante il parto.
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Trasposizione cinematografica claustrofobica di una piece teatrale. Il film è girato quasi tutto nel piccolo giardino sul retro di una villetta, realizzato ad uso e consumo della performance attoriale drammatica di Denzel Washington, che se la canta e se la suona autoproducendosi e autodirigendosi. I ripetuti, insistenti, compiaciuti primi piano uniti alla prorompente e irrefrenabile logorroicità del protagonista, soprattutto nell’interminabile monologo iniziale, che il doppiatore Pannofino, con tono di voce monocorde e stucchevole, non fa nulla per rendere meno noioso, risultano al limite della sopportabilità.
Il testo di un acclamato e pluripremiato drammaturgo afroamericano, August Wilson, grondante retorica e pietismo da ogni parte, finisce per sotterrare la tematica centrale, che dovrebbe essere quella delle barriere razziali, che hanno impedito al protagonista di emergere nello sport nel quale eccelleva da giovane, sotto una caterva di situazioni drammatiche che lo coinvolgono, dal fratello handicappato, per colpa di una scheggia che gli si è conficcata in testa durante la guerra, al figlio disoccupato che lo va a trovare soltanto per spillargli qualche dollaro, fino all’amante che muore durante il parto. Per non parlare del suo vissuto tragico, la fuga da casa a 14 anni a causa di un padre violento, trascorsi di vagabondaggio e di rapine e, dulcis in fundo, il carcere duro per un omicidio. Non mancano spunti shakespeariani con dialoghi immaginari del netturbino di colore addirittura con la Morte.
Il finale strappalacrime, coi fratellastri che cantano la canzonetta stonata che amava canticchiare il padre, appena defunto, ovviamente, nel giardinetto dietro casa mentre si allenava con una mazza da baseball, completa il quadro.
Il cast dignitoso, con Viola Davis, nella parte della moglie, premiata con l’Oscar quale migliore attrice non protagonista, non è sufficiente, tuttavia, a risollevare le sorti di una pellicola che sconta l’errore di aver messo in scena un soggetto, intriso di un sentimentalismo melenso e autocommiserativo, che non soltanto non rende giustizia alla causa dei neri in America, ma anzi denota un’inconscia omologazione alla cultura popolare bianca riproponendo i tipici topoi hollywoodiani dei buoni sentimenti e dei valori familiari che alla fine prevalgono sul male.
La questione razziale non merita questo.
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masaria24
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lunedì 14 gennaio 2019
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la vita di un uomo
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Non conoscevo il film. Non conoscevo la storia. Mi è stato regalato e per curiosità ho visto. Mi ha lasciato senza parole..credo di averlo visto in apnea..la storia di un uomo alle prese con la sua insoddisfazione, della sua incapacità di accettare la sua relatà, sebbene sembra dimostrare tutto il contrario. Affettuosissimo con la moglie ma alla ricerca di chi potesse colmare il suo vuoto internoe la tradisce..la bambina che nasce sarà sicuramente la figlia più amata..il rapporto conflittuale con il figlio che in modo inconscio riconosce migliore di lui..lei che gli dice che la bimba ha trovato una mamma ma lui ha perso una donna..
le barriere.
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Non conoscevo il film. Non conoscevo la storia. Mi è stato regalato e per curiosità ho visto. Mi ha lasciato senza parole..credo di averlo visto in apnea..la storia di un uomo alle prese con la sua insoddisfazione, della sua incapacità di accettare la sua relatà, sebbene sembra dimostrare tutto il contrario. Affettuosissimo con la moglie ma alla ricerca di chi potesse colmare il suo vuoto internoe la tradisce..la bambina che nasce sarà sicuramente la figlia più amata..il rapporto conflittuale con il figlio che in modo inconscio riconosce migliore di lui..lei che gli dice che la bimba ha trovato una mamma ma lui ha perso una donna..
le barriere..come dice l'amico non per escudere gli altri ma per evitare che ciò che dentro vada fuori..e lui lo fa volontariamente..manda fuori..
Il finale molto happy end ma ci sta..è giusto così..
Lo consiglio, di cuore
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aiace
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giovedì 25 ottobre 2018
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bellissimo film
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Film magnifico. Dal primo all'ultimo monologo, intriso di sentimenti, rabbia e miseria. Denzel Washingron è una garanzia
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eusts
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lunedì 2 ottobre 2017
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caotico con dialoghi traboccanti
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Occasione persa...film noiso ed eccessivo con dialoghi che stordiscono e non arrivano al dunque... troppi "bla bla bla" (citando Iggy Pop a proposito di Bob Dylan)...fin dai primi minuti ho avvertito una sensazione di fastidio ... non mi è piaciuto nulla, recitazione, dialoghi, fotografia, trama.... Denzel Washington generalmente è una garanzia ma anche sforzandomi non ho trovato nessun appiglio per recensire positivamente questo film... in bilico tra cinema e teatro non si capisce dov'è il punto di incontro.... so che questa critica non troverà il gradimento di molti .... ma le sperimentazioni sono pericolose...mi sono fidato del forum di Mymovies ma evidentemente sono io che non sono riuscito a capire questo film .
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Occasione persa...film noiso ed eccessivo con dialoghi che stordiscono e non arrivano al dunque... troppi "bla bla bla" (citando Iggy Pop a proposito di Bob Dylan)...fin dai primi minuti ho avvertito una sensazione di fastidio ... non mi è piaciuto nulla, recitazione, dialoghi, fotografia, trama.... Denzel Washington generalmente è una garanzia ma anche sforzandomi non ho trovato nessun appiglio per recensire positivamente questo film... in bilico tra cinema e teatro non si capisce dov'è il punto di incontro.... so che questa critica non troverà il gradimento di molti .... ma le sperimentazioni sono pericolose...mi sono fidato del forum di Mymovies ma evidentemente sono io che non sono riuscito a capire questo film ... De gustibus non est disputandum
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vanessa zarastro
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venerdì 29 settembre 2017
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come un blues
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Barriere è un film intenso, molto parlato, ben recitato ma irrimediabilmente teatrale. Infatti, il film è tratto dall’opera teatrale Fences di August Wilson, uno dei maggiori autori del teatro afroamericano e vincitore per quest’opera del premio Pulitzer del 1983. Denzel Washington è l’interprete maschile principale e, per la terza volta anche alla regia e Viola Davis è sua moglie Rose che vince anche l’Oscar per la sua interpretazione.
Tutto si svolge negli anni ’50 nel giardino della modesta casa Maxson nell’Hill District, il quartiere nero dove è cresciuto anche August Wilson, di Pittsburgh, la famosa “Smoky ol’ Town” cantata da Pete Seeger, città simbolo delle acciaierie e delle fabbriche del secolo scorso.
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Barriere è un film intenso, molto parlato, ben recitato ma irrimediabilmente teatrale. Infatti, il film è tratto dall’opera teatrale Fences di August Wilson, uno dei maggiori autori del teatro afroamericano e vincitore per quest’opera del premio Pulitzer del 1983. Denzel Washington è l’interprete maschile principale e, per la terza volta anche alla regia e Viola Davis è sua moglie Rose che vince anche l’Oscar per la sua interpretazione.
Tutto si svolge negli anni ’50 nel giardino della modesta casa Maxson nell’Hill District, il quartiere nero dove è cresciuto anche August Wilson, di Pittsburgh, la famosa “Smoky ol’ Town” cantata da Pete Seeger, città simbolo delle acciaierie e delle fabbriche del secolo scorso. Lì Troy ha appeso una palla di baseball a un albero. Era stato un ottimo giocatore ma per questioni razziali aveva dovuto giocare in una squadra secondaria nella Negro League. Ha lavorato e lavora ancora come netturbino per il Comune insieme a Jim Bono che è il suo unico amico e con cui ogni tanto si fa qualche bevuta (di troppo). Troy Maxson è un uomo onesto che tutti i venerdì consegna la sua paga alla moglie. Il fratello Gabe, a causa della guerra, non ci sta più con la testa e Troy si prende cura di lui cercando di tenere in piedi tutta la sua famiglia, anche se in modo un po’ troppo autoritario. Troy e Rose sono, infatti, i genitori di Cory e Gabriel, mentre suo figlio Lyons è nato da una relazione precedente. I figli hanno fatto scelte diverse da ciò che lui avrebbe voluto: Lyons suona ed ha una sua band mentre Cory vorrebbe giocare professionalmente a football. A entrambi Troy cerca di imporre il lavoro fisso come modello dell’unico modo di guadagnare onestamente e star lontano dai guai.
Dopo diciotto anni di duro lavoro e matrimonio felice, Troy comunica alla moglie di aspettare un figlio da Alberta, una trentenne con cui da un po’ di tempo ha un rapporto. Ciò fa scatenare una inequivocabile ribellione nei componenti della famiglia a cominciare, ovviamente dalla moglie tradita, e perderà perciò il rispetto dei figli. Cory se ne andrà di casa dopo un litigio furibondo con il padre e si arruolerà nella Marina. L’Alberta successivamente morirà dando alla luce una bambina che Troy chiederà a Rose di crescere. Lei lo farà con grande amore e generosità, ma contemporaneamente allontanando per sempre dal suo cuore Troy.
Questa in sintesi tutta la storia narrata: splendidi sono i monologhi di Rose sul senso dell’amore e del matrimonio e degni di nota gli animati scambi di opinione tra il padre e i suoi figli. Il film mostra il cambiamento sostanziale nel rapporto tra genitori e figli e nel lento inserimento dei neri nel sociale. Troy e Rose diventano il simbolo di due persone che, per trovare una seppur modesta sicurezza sociale, rinunciano alle proprie personali aspirazioni. Denzel Washington propone una regia minimalista a servizio del testo come un blues, e al posto di Viola Davis sembra di vedere Billie Holiday con la sua immancabile gardenia bianca tra i capelli.
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elgatoloco
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venerdì 29 settembre 2017
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grande film teatrale
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"Fences"di Denzel Washington(2016), trasposizione del dramma di August Wilson (scritto 33 anni prima) è in qualche modo un film perfetto, nel senso dell'"Ontologie du cinéma"di André Bazin. In effetti , appunto in coerenza con quanto affermato, il film di Washington non nega mai, anzi dichiara la propria origine teatrale, esibendola: scene nel giardino, in casa, pochissimi esterni ma tutti assolutamente coerenti con la scena teatrale, assolutamente afferenti alla stessa. Nella migliore tradizione del "film teatrale"(pensiamo a"A Streetcar named desire"di Elia Kazan dall'assolutamente formidabile omonimo dramma di Tennesse Williams, ma anche ai film shakespeariani di autori come Orson Welles, Tony RIchardson, Franco Zeffirelli, Lawrence Olivier, Tom Stoppard, Kenneth Branagh etc.
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"Fences"di Denzel Washington(2016), trasposizione del dramma di August Wilson (scritto 33 anni prima) è in qualche modo un film perfetto, nel senso dell'"Ontologie du cinéma"di André Bazin. In effetti , appunto in coerenza con quanto affermato, il film di Washington non nega mai, anzi dichiara la propria origine teatrale, esibendola: scene nel giardino, in casa, pochissimi esterni ma tutti assolutamente coerenti con la scena teatrale, assolutamente afferenti alla stessa. Nella migliore tradizione del "film teatrale"(pensiamo a"A Streetcar named desire"di Elia Kazan dall'assolutamente formidabile omonimo dramma di Tennesse Williams, ma anche ai film shakespeariani di autori come Orson Welles, Tony RIchardson, Franco Zeffirelli, Lawrence Olivier, Tom Stoppard, Kenneth Branagh etc.. Nessun orpello"accattivante", nessuna zeppa, ma l'essenziale, incentrato soprattutto(oltre che sul blues e il baseball, temi forti del dramma e del film, ovviamente, oltre all'amore, al sesso, alla morte, semb) sulla recitazione e l'interpretazione, con Washington e Viola Davis che danno una straordinaria"prova d'attore"(e attrice, ça va de soi...), Stephen Hendersohn, l'amico mulatto che era"thera di rientrare in Bataille e in Marcuse, comunque non ne siamo molto lontani...), other"già ne dramma di Wilson, ossia era Wilson stesso trasposto in scena non come protagonista ma come"secondo", confidente, amico etc.. Una sfida importante che Washington vince senza problemi, potremmo dire, coronando il sogno di una vita, potremmo dire senza troppo timore di essere smentiti. El Gato
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nalipa
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martedì 25 aprile 2017
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troppo teatrale e poi
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Il regista e protagonista mi e' parso un po' troppo sopra le righe .
Ora dire che si tratta di un brutto film sarebbe un peccato, ma non e' nemmeno un capolavoro. La vicenda del razzismo gia' molto portata al cinema interessa sempre ma .....
Le storie scritte per il teatro ..portarle al cinema non sempre si rivela una scelta felice.
Gli attori ottimi ma il film ... molto pesante!
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aldiquadeisogni
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mercoledì 12 aprile 2017
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l'unica vera barriera è in noi
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...la storia di quest' uomo è la storia di ciascuno di noi... Celate dietro il lieve velo delle discriminazioni palpitanti, ancora vivide nel dopoguerra di metà secolo scorso, questo film parla delle BARRIERE che ognuno di noi costruisce fuori e dentro di sé, mentre percorre i contorti viali della propria vita. Non valuteremo né gidicheremo la qualità dell'interpretazione dei due protagonisti Viola Davis e Denzel Washington, poiché non "interpretano" i personaggi principali del Film, essi VIVONO letteralmente le vite di questi ultimi; ne assimilano le emozioni ed i sentimenti rendendoli propri ed esternandoli a noi con tutta la loro fragilità e con le paure dalle quali essi rifuggono. Il fatto è che ciascuno di noi ritroverà qualcosa di sé in quei sorrisi, nelle risate, nella sofferenza.
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...la storia di quest' uomo è la storia di ciascuno di noi... Celate dietro il lieve velo delle discriminazioni palpitanti, ancora vivide nel dopoguerra di metà secolo scorso, questo film parla delle BARRIERE che ognuno di noi costruisce fuori e dentro di sé, mentre percorre i contorti viali della propria vita. Non valuteremo né gidicheremo la qualità dell'interpretazione dei due protagonisti Viola Davis e Denzel Washington, poiché non "interpretano" i personaggi principali del Film, essi VIVONO letteralmente le vite di questi ultimi; ne assimilano le emozioni ed i sentimenti rendendoli propri ed esternandoli a noi con tutta la loro fragilità e con le paure dalle quali essi rifuggono. Il fatto è che ciascuno di noi ritroverà qualcosa di sé in quei sorrisi, nelle risate, nella sofferenza...nelle vite descritte così magistralmente dallo stesso regista, ancora lui...Denzel Washington. Il fatto è che questo film ci costringe a chiedere a noi stessi quanti e quali comportamenti siano stati davvero giusti, inevitabili o errati, nella nostra vita, e se l'amore, il vero amore, quello che si prova per un figlio, ad esempio, possa davvero giustificare la sofferenza che spesso generiamo negli altri, col pretesto di aver agito per il loro bene o in nome dei sentimenti che proviamo verso chi abbiamo al nostro fianco... Spesso ignoriamo però, accecati da noi stessi, più o meno inconsciamente, che dietro tutto ciò, può nascondersi un narcisistico senso di egoismo, l'amor proprio, il bisogno di attestare sé stessi dinanzi al cospetto del mondo e che, tutto ciò si traduce in un irrefrenabile "desiderio di evasione, di libertà..."nella ricerca sfrenata della felicità, di qualcosa o di qualcuno che invece abbiamo già accanto e di cui, ci accorgiamo solo quando ormai può essere troppo tardi. È la morte a donarci la serenità ricercata, quella pace a cui da sempre abbiamo anelato nel corso della nostra esistenza... Sarà solo la morte a renderci felici, se non avremo imparato ad amare gli altri con maggiore altruismo, comprendendo che le vite di chi ci sta a cuore...NON CI APPARTENGONO. Nel momento in cui riusciremo a lasciar percorrere ai nostri cari le proprie strade, con le difficoltà e le cadute che ne conseguono, liberi da ogni vincolo e costrizione, bhé...in quello stesso momento essi avranno amato, ricambiati per davvero e saranno divenuti Nostri, per Sempre. (AdQdS) By F.
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