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elpiezo
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lunedì 26 ottobre 2015
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intelligente!!!!!
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Un celebre quadro di Klimt sequestrato dai nazisti è conteso dalla legittima proprietaria ben quarant'anni dopo la fine della guerra. La vera storia di Maria Altamann è narrata con estrema delicatezza, facendo leva sui sentimenti umani più genuini dell'anziana signora, interpretata dall'ottima Helen Mirren. Una battaglia legale sullo sfondo di una splendida Vienna, tenuta costantemente in bilico da continui flash back tra il mondo di oggi (in realtà il 1998) ed i cupi anni dell'occupazione nazista.
Non solo un'intricata battaglia legale ma un vero proprio inno alla dignità umana, all'orgoglio di una donna che in una lontana aula di un tribunale austriaco ritrova quella parte di essa che la guerra le aveva deturpato, concedendosi il giusto riscatto dopo decenni di opprimenti ricordi.
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filippo catani
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giovedì 22 dicembre 2016
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film di genere senza particolari guizzi
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Alla fine degli anni 90 il governo austriaco decide di avviare una politica di restituzione delle opere trafugate o sottratte con la forza dai nazisti ai legittimi proprietari. L'ultima erede della famiglia che possedeva il celebre Ritratto di Adele di Klimt decide allora di far valere i propri diritti.
Un buon film che getta le radici su una pagina brutta e oscura come quella nazista e si interroga se ormai dopo decenni sia giusto riportare negli Usa quello che è diventato un autentico simbolo dell'Austria. La pellicola, avvalendosi anche di un buon cast, avrebbe di che dire ma alla fine si arrocca in quello che potremmo definire un classico film di genere senza particolare brio che si basa su salti temporali e il rapporto un po' particolare tra anziana signora (Mirren) e giovane e rampante avvocato di buona famiglia (Reynolds) alla ricerca di una scossa nella sua fino ad ora mediocre carriera.
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Alla fine degli anni 90 il governo austriaco decide di avviare una politica di restituzione delle opere trafugate o sottratte con la forza dai nazisti ai legittimi proprietari. L'ultima erede della famiglia che possedeva il celebre Ritratto di Adele di Klimt decide allora di far valere i propri diritti.
Un buon film che getta le radici su una pagina brutta e oscura come quella nazista e si interroga se ormai dopo decenni sia giusto riportare negli Usa quello che è diventato un autentico simbolo dell'Austria. La pellicola, avvalendosi anche di un buon cast, avrebbe di che dire ma alla fine si arrocca in quello che potremmo definire un classico film di genere senza particolare brio che si basa su salti temporali e il rapporto un po' particolare tra anziana signora (Mirren) e giovane e rampante avvocato di buona famiglia (Reynolds) alla ricerca di una scossa nella sua fino ad ora mediocre carriera. Resta un buon soggetto senza ombra di dubbio ma che non riesce a trasmettere tutte le emozioni che erano lecite attendersi da un'opera del genere.
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fabio silvestre
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lunedì 31 gennaio 2022
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una storia vera assolutamente da vedere!
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Il film è basato sulla storia vera di Maria Altmann (Helen Mirren) signora austriaca di origine ebraica che nel 1938, a causa dell’occupazione nazista a Vienna, fu costretta a scappare negli Stati Uniti insieme al marito. Nel 1998, alla morte della sorella, Maria recupera delle lettere di famiglia e interpella un giovane avvocato Randol Schoenberg (Ryan Reynolds) conferendogli l’incarico di ottenere dal governo austriaco la restituzione di 5 quadri che il pittore Klimt aveva fatto per la sua famiglia ed in particolare quello conosciuto come “Woman in gold” che raffigurava sua zia Adele. Da quel momento inizia una vera e propria battaglia legale che si svolge prima in Austria poi dinanzi la Corte Suprema negli USA e poi definitivamente in Austria.
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Il film è basato sulla storia vera di Maria Altmann (Helen Mirren) signora austriaca di origine ebraica che nel 1938, a causa dell’occupazione nazista a Vienna, fu costretta a scappare negli Stati Uniti insieme al marito. Nel 1998, alla morte della sorella, Maria recupera delle lettere di famiglia e interpella un giovane avvocato Randol Schoenberg (Ryan Reynolds) conferendogli l’incarico di ottenere dal governo austriaco la restituzione di 5 quadri che il pittore Klimt aveva fatto per la sua famiglia ed in particolare quello conosciuto come “Woman in gold” che raffigurava sua zia Adele. Da quel momento inizia una vera e propria battaglia legale che si svolge prima in Austria poi dinanzi la Corte Suprema negli USA e poi definitivamente in Austria. Va detto subito che questa storia affascina e coinvolge lo spettatore sin dalle prime scene sia per la interessante vicenda e sia per la magistrale interpretazione di Helen Mirren. Attraverso una serie di flaschback il regista – nella parte centrale della pellicola – con ritmo incalzante ci riporta a Vienna nel 1938 dove assistiamo alla razzia delle opere d’arte da parte dei nazisti nonché alla fuga dei 2 giovani sposi. La scenografia, la fotografia ed i costumi utilizzati rendono al meglio quanto accaduto 60 anni prima. La bella colonna sonora di Hans Zimmer infine fa da sfondo ad un ottimo film assolutamente da vedere. Voto: 8/10.
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carloalberto
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venerdì 11 febbraio 2022
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storia più adatta ad un docufilm
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Simon Curtis prende spunto da una storia vera, peraltro molto interessante, per trarne un soggetto che inevitabilmente si presta a molteplici fraintendimenti, sia per il contesto storico in cui è inserita, sia per l’approccio emotivo e non ragionato che in genere si ha verso un film in cui di solito si cerca di empatizzare con i protagonisti per restare coinvolti. Risulta assai difficile tuttavia emapatizzare per chi alla fine della controversia ha intascato una somma vicina ai trecento milioni di dollari. Per non lasciare adito ad equivocanti perplessità sarebbe stato più opportuno ricostruire la vicenda attraverso un docufilm.
Nel film di Curtis una questione giuridica particolare, consistente nella lesione di un diritto di successione, finisce per sovrapporsi impropriamente alla violazione dei principi etici universali su cui si fonda ogni umana convivenza, confondendosi la rivendicazione al legittimo possesso di oggetti di valore, da parte di un singolo individuo, al grido di dolore di un popolo straziato per sempre ferocemente dalla storia.
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Simon Curtis prende spunto da una storia vera, peraltro molto interessante, per trarne un soggetto che inevitabilmente si presta a molteplici fraintendimenti, sia per il contesto storico in cui è inserita, sia per l’approccio emotivo e non ragionato che in genere si ha verso un film in cui di solito si cerca di empatizzare con i protagonisti per restare coinvolti. Risulta assai difficile tuttavia emapatizzare per chi alla fine della controversia ha intascato una somma vicina ai trecento milioni di dollari. Per non lasciare adito ad equivocanti perplessità sarebbe stato più opportuno ricostruire la vicenda attraverso un docufilm.
Nel film di Curtis una questione giuridica particolare, consistente nella lesione di un diritto di successione, finisce per sovrapporsi impropriamente alla violazione dei principi etici universali su cui si fonda ogni umana convivenza, confondendosi la rivendicazione al legittimo possesso di oggetti di valore, da parte di un singolo individuo, al grido di dolore di un popolo straziato per sempre ferocemente dalla storia.
I nazisti tolsero ben altro agli ebrei che un quadro di Klimt valutato più di cento milioni di dollari ed un collier di pietre preziose. Come si fa a creare vero pathos e a commuovere narrando una vicenda che ruota, in buona sostanza, intorno ai quattrini? La vita, la dignità persa da milioni di persone, nella stragrande maggioranza povera gente che non possedeva niente altro se non la propria vita e la propria dignità, rischia di passare in secondo piano rispetto alla ricostruzione di uno specifico episodio, ovvero la confisca di beni subita da una famiglia viennese molto ricca, soprattutto se lo si trasforma in un comune legal thriller.
C’è il rischio, inoltre, di suscitare involontariamente beceri sentimenti antisemiti, rievocandosi in qualche modo, ed anche soltanto per assonanza con il tema trattato, la figura stereotipata dell’ebreo attaccato al danaro, utilizzata demagogicamente proprio dal regime dell’epoca per istigare l’odio generalizzato che in quel periodo storico nutriva la maggioranza dei tedeschi e degli austriaci.
La pellicola di Curtis è così, prendere o lasciare. Detto questo, il film è godibile. La recitazione della Mirren, un po’ troppo gigionesca a dire il vero, e di Reynolds fanno scivolare il film ben presto nella commedia, riducendosi al minimo necessario il patetico ed il lacrimevole del dramma vero vissuto dalla sopravvissuta all’Olocausto, sfuggita rocambolescamente per tempo insieme al marito alle ignobili, criminali persecuzioni naziste, che sicuramente avrebbe meritato un film a parte, a prescindere da collezioni di quadri famosi, oggetti preziosi e noiose controversie legali.
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flyanto
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venerdì 23 ottobre 2015
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la lunga battaglia legale per il famoso dipinto di
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Rifacendosi al famoso quadro di Gustav Klimt , "Woman in Gold" racconta la vera storia di Maria Altmann , ebrea emigrata dall'Austria negli Stati Uniti al tempo della Seconda Guerra Mondiale, la quale intraprese una lunga e difficile battaglia legale contro il governo austriaco al fine di reimpossessarsi del suddetto quadro appartenente in origine alla propria famiglia e confiscato, insieme ad altri innumerevoli capolavori artistici dall'esercito tedesco. Appoggiandosi ad un avvocato, figlio di un'amica di famiglia, giovane ed affatto famoso egli porterà avanti la propria lotta riuscendo a vincere la causa e riuscendo a trasferire il quadro a New York, presso la Fondazione Lauder, dove ancora oggi risiede e può essere ammirato.
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Rifacendosi al famoso quadro di Gustav Klimt , "Woman in Gold" racconta la vera storia di Maria Altmann , ebrea emigrata dall'Austria negli Stati Uniti al tempo della Seconda Guerra Mondiale, la quale intraprese una lunga e difficile battaglia legale contro il governo austriaco al fine di reimpossessarsi del suddetto quadro appartenente in origine alla propria famiglia e confiscato, insieme ad altri innumerevoli capolavori artistici dall'esercito tedesco. Appoggiandosi ad un avvocato, figlio di un'amica di famiglia, giovane ed affatto famoso egli porterà avanti la propria lotta riuscendo a vincere la causa e riuscendo a trasferire il quadro a New York, presso la Fondazione Lauder, dove ancora oggi risiede e può essere ammirato.
Il film, per quanto tratti un fatto ed una controversia realmente avvenuti e pertanto informi lo spettatore sul destino che ebbe il meraviglioso e famoso dipinto di Klimt, ritraente appunto un'affascinante donna in uno sfondo tutto d'oro, non presenta alcunchè di particolare e di avvincente, avvicinandosi nel suo andamento più ad uno sceneggiato televisivo che ad una pellicola dal ritmo incalzante e dotata di un approfondimento psicologico maggiore. L'intera e lunga battaglia legale, la finale e positiva risoluzione vengono rappresentate in maniera assai semplicistica al punto da apparire quasi poco aderenti alla realtà e pertanto molto romanzate e tutto ciò nell'insieme svilisce di molto il risultato e la resa dell'opera cinematografica stessa. Anche un'ottima attrice quale Helen Mirren, che interpreta la protagonista Maria Altmann, appare senza alcun dubbio sprecata per un ruolo in cui ella viene presentata solo come un'anziana signora capricciosa, determinata e a tratti assai ingenua. Ryan Reynolds, essendo sinora di per sè un attore piuttosto mediocre, risulta invece perfetto ad interpretare la parte dell'avvocato inesperto ed agli inizi della propria carriera. Gli altri attori, quali, per esempio Katie Holmes, Daniel Bruhl, ecc., rimangono tutti relegati in una posizione di contorno non distinguendosi affatto e venendo così presto dimenticati.
La resa avrebbe potuto sicuramente risultare migliore: un vero peccato!
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