astromelia
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domenica 24 gennaio 2016
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ce ne saranno altri?
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francamente mi aspettavo meno teatro e più film,la storia disteve jobs ormai si conosce anche grazie al film del 2013,da fassbender mi aspettavo forse più azione,in alcune scene l'ho trovato un pò statico,la candidatura non mi sembra da urlo,neanche quella della winslet,infine,ne esce una storia personale,quella di jobs,di un'uomo visionario e convinto della sua genialità,altrettanto fallimentare la sua vicenda umana ma che denota come tutti i più grando geni siano personalità sdoppiate,la domanda che ci si pone è:anche jobs si è perso qualcosa nella sua breve vita?
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michele
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domenica 24 gennaio 2016
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un genio per raccontare un altro genio
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Ci voleva un’idea diversa. Era necessaria una trovata geniale per metter un punto definitivo sulla biografia di Steve Jobs, uno degli uomini più importanti a cavallo tra due secoli, le cui invenzioni occupano fisicamente e mentalmente il nostro presente e saranno inevitabilmente una presenza costante anche del nostro futuro. Per raccontare un genio serviva un altro genio. Non poteva essere allora che Aaron Sorkin l’uomo più adatto per scrivere questa sceneggiatura, per scovare un punto di vista nuovo tramite il quale narrare la storia del guru visionario dell’informatica. L’idea di suddividere la vicenda in tre atti, ognuno dei quali corrisponde al momento del lancio dei tre prodotti più importanti creati da Jobs, il Macintosh, NeXT Computer e i-Mac, funziona e da vita a uno storytelling davvero originale.
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Ci voleva un’idea diversa. Era necessaria una trovata geniale per metter un punto definitivo sulla biografia di Steve Jobs, uno degli uomini più importanti a cavallo tra due secoli, le cui invenzioni occupano fisicamente e mentalmente il nostro presente e saranno inevitabilmente una presenza costante anche del nostro futuro. Per raccontare un genio serviva un altro genio. Non poteva essere allora che Aaron Sorkin l’uomo più adatto per scrivere questa sceneggiatura, per scovare un punto di vista nuovo tramite il quale narrare la storia del guru visionario dell’informatica. L’idea di suddividere la vicenda in tre atti, ognuno dei quali corrisponde al momento del lancio dei tre prodotti più importanti creati da Jobs, il Macintosh, NeXT Computer e i-Mac, funziona e da vita a uno storytelling davvero originale. La ricostruzione è fantasiosa nella forma, tutto quello che accade in quei concitati momenti che precedono le singole presentazioni, non è avvenuto in realtà in quello spazio fisico e in quel tempo così concentrato, ma in un lungo periodo che va dal 1984 al 1998, ma è proprio questa scelta così al di fuori del rigido schematismo del biopic che rende la pellicola interessante. Interessante perché si procede in maniera per così dire inversa da quanto si è solito fare e abituati a vedere, non si parte infatti dagli eventi scanditi in ordine cronologico della vita del protagonista per arrivare a scoprirne i successi e gli insuccessi, ma al contrario la narrazione prende avvio ogni volta da ciò che più rappresenta e meglio descrive l’anima di Steve Jobs, ovvero le sue invenzioni. Procedendo così dal particolare all’universale, rispettando naturalmente i tempi storici, si ricostruisce pian piano anche il ritratto della personalità dell’ingegnere di Cupertino, dapprima visto anch’esso come un prodotto che si deve vendere sul mercato per poi arrivare alla raffigurazione dell’uomo che si cela dietro tanta inventiva, un essere umano con le sue debolezze, i suoi errori e la sua discreta quantità di insuccessi.
La sceneggiatura di Sorkin è talmente possente e forte da monopolizzare anche la regia, quasi sembra non esserci traccia della mano di Danny Boyle nella pellicola, tutte le marche enunciative che riscontriamo nel testo filmico riconducono alla scrittura brillante, ficcante e dinamica dello sceneggiatore premio oscar per “The social network”. In questo marasma di parole e eventi però, dai fallimenti professionali, fino alle vicende più intime e familiari con la figlia Lisa, la sua ex compagna e con i suoi più stretti collaboratori, ogni tanto ci si smarrisce. Qualcosa si perde, qualche altro concetto viene calcato invece forse con un po’ troppa insistenza, non è facile inoltre calarsi fin da subito nell’atmosfera da pièce teatrale, a tratti eccessivamente verbosa, che viene costruita per lo spettatore e questo è senz’altro uno dei limiti della pellicola. Lentamente però la storia si riempie di tutti quegli elementi fisici e umani che più o meno sappiamo far parte della storia e che ci aspettiamo di vedere, come il famoso garage dove tutto è iniziato e le personalità con le loro varie sfumature che hanno collaborato con Jobs, facendo ritrovare l’orientamento allo spettatore. Seppur la brillantezza dell’idea iniziale non trova sempre un rispecchiamento costante nelle immagini, il film non manca di emozionare la dove la figura del Jobs uomo e del Jobs professionista finiscono per fondersi insieme. Promosso.
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(di lukemovie)
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irene
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domenica 24 gennaio 2016
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ripeto
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Dato che Mymovies non pubblica le repliche, almenon non le mie, lo dico qui.
Debboschi, grazie per quello che hai detto e per il modo perfetto in cui l'hai detto. E grazie per aver parlato dell tensione che corre lungo tutto il film, è una cosa a cui ho subito pensato, dopo, e cioè che il film ha più pathos dimolti thriller.
Maracaibo, magari si dovrebbe andare al cinema con un po' di cognizione di causa, no? Quando lo sceneggiatore si chiama Aaron Sorkin, si sa che si tratta di un film "di parole". Ma che sceneggiatura, che livelli, che intelligenza, brillantezza, che dialoghi. E se anche non si conoscono i nomi più tecnici come quello dello sceneggiatore, bastava leggere una recensione per sapere di quale film si trattava.
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(di debboschi)
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kiki86kiki
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domenica 24 gennaio 2016
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troppo parziale e negativo
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Delusione! il film ripercorre alcune tappe della vita professionale di steve jobs che ruotano in realtà attorno al rapporto con la figlia lisa! una visione estremamente parziale e tagliata male che vuole dirci quanto steve jobs fosse ricco e quindi cattivo, anaffettivo ed insopportabile! il suo talento è messo in ombra da una relazione che non incise sul suo lavoro e nè sulle sue doti, ma banalizza il personaggio riducendolo ad una persona qualunque che si riavvicina negli anni alla figlia. Ma questa non è la storia di steve jobs, ma la storia di un padre qualunque, di un piccolo aspetto della sua vita, usato per far passare un messaggio sbagliato e di definirlo, una volta per tutte, un personaggio negativo.
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Delusione! il film ripercorre alcune tappe della vita professionale di steve jobs che ruotano in realtà attorno al rapporto con la figlia lisa! una visione estremamente parziale e tagliata male che vuole dirci quanto steve jobs fosse ricco e quindi cattivo, anaffettivo ed insopportabile! il suo talento è messo in ombra da una relazione che non incise sul suo lavoro e nè sulle sue doti, ma banalizza il personaggio riducendolo ad una persona qualunque che si riavvicina negli anni alla figlia. Ma questa non è la storia di steve jobs, ma la storia di un padre qualunque, di un piccolo aspetto della sua vita, usato per far passare un messaggio sbagliato e di definirlo, una volta per tutte, un personaggio negativo. Ma sappiamo tutti che la realtà di quello che ci ha donato è ben più positiva di questo film.
Confido nella prossima uscita di un film su Bill Gates, che spero non sarà incentrato sul rapporto con sua nonna.
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[+] concordo pienamente.
(di lukemovie)
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alualupizza
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sabato 23 gennaio 2016
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bono ma salta alcuni passaggi della sua vita e tut
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Il film è bello ma salta alcuni passaggi importanti della vita di steve jobs.
Il film non va fino alla fine della vita della vita di steve jobs, infatti si ferma agli anni 2000
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debboschi
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sabato 23 gennaio 2016
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steve jobs
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“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998).
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“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
“Vuoi guaradare da dietro le quinte?”Questa è la domanda che Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, pone alla figlia Lisa, in una delle ultime scene dell’omonimo film realizzato dal regista inglese Danny Boyle. Se è vero che, guardando questo film, non si può dire di trovarsi di fronte ad un’opera di teatro, è altrettanto evidente che è impossibile non rintracciare l’influsso delle tradizioni e del repertorio teatrale in questo biopic che ha ben poco dell’impianto classico del film biografico. La suddivisione aristotelica in tre atti è stata la via scelta dallo sceneggiatore Aaron Sorkin per raccontare le tre tappe fondamentali della vita di Steve Jobs, osservandolo mentre prepara il lancio di tre di quei prodotti che hanno rivoluzionato ben più del modo di concepire la comunicazione: il Macintosh (1984), il “cubo” di Next (1988) e l’ iMac (1998). Ma è proprio quello stare “dietro le quinte”, nei momenti che precedono l’entrata in scena, in un auditorio, a suggerire il punto di vista attraverso il quale si è deciso di presentare la figura del creatore di Apple. Il film, non a caso, si situa “al di qua” del palcoscenico, come a voler rappresentare “dal di dentro” una vita vissuta lungo una linea di confine invalicabile. E’ un personaggio complesso quello che ci viene presentato da Michael Fassbender in un’altra delle sue strabilianti interpretazioni.Padroneggiando i dialoghi incalzanti della sceneggiatura di Sorking, che hanno la funzione di un flusso di coscienza, l’attore irlandese, senza mai eccedere, riesce a dirigere armoniosamente un’orchestra di emozioni contrapposte mostrandoci ciò che “sta dietro” all’immagine di Steve Jobs: un uomo che vede il mondo in modo diverso, un artista geniale e cinico, smisuratamente egocentrico e, al tempo stesso, preda della sua stessa mania di controllo, intrappolato in un sistema chiuso come i computer che crea e, proprio per questo, così profondamente “umano”. Steve Jobs è un film coraggioso, che riesce a raccontarci la vita straordinaria del suo protagonista in modo estremamente originale e senza mai scivolare nella retorica ce ne da un’immagine che potremmo riassumere in un dialogo tra Jobs e “Woz”, nel 1988, sulla musica classica, tra citazioni di Haendel, di Vivaldi e del maestro Qzawa che spiegò a Jobs come: “gli orchestrali suonano gli strumenti. Io suono l’orchestra”.
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claudiofedele93
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sabato 23 gennaio 2016
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steve jobs : think different.
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Prendete Danny Boyle, il regista di The Millionaire, del cult Trainspotting, dello struggente 127 Ore, aggiungeteci uno sceneggiatore il cui nome non passa inosservato, Aaron Sorkin, vincitore di un premio Oscar per una delle pellicole più apprezzate degli ultimi anni, The Social Network di David Fincher, e, infine, date loro tutto il tempo e lo spazio necessario per raccontare la storia di una delle personalità più emblematiche, discusse, osannate ed odiate degli ultimi decenni, un uomo capace di essere il nuovo volto dei computer e dell’informatica ed al tempo stesso l’icona di una rivoluzione nata dalla voglia di auto-imporsi come una vera e propria figura di spicco della società moderna: Steve Jobs.
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Prendete Danny Boyle, il regista di The Millionaire, del cult Trainspotting, dello struggente 127 Ore, aggiungeteci uno sceneggiatore il cui nome non passa inosservato, Aaron Sorkin, vincitore di un premio Oscar per una delle pellicole più apprezzate degli ultimi anni, The Social Network di David Fincher, e, infine, date loro tutto il tempo e lo spazio necessario per raccontare la storia di una delle personalità più emblematiche, discusse, osannate ed odiate degli ultimi decenni, un uomo capace di essere il nuovo volto dei computer e dell’informatica ed al tempo stesso l’icona di una rivoluzione nata dalla voglia di auto-imporsi come una vera e propria figura di spicco della società moderna: Steve Jobs.
Attraverso l’attenta regia di Boyle, Steve Jobs è un film che riesce ad alternare diversi momenti della vita del CEO della Apple racchiudendoli in precisi e determinati spazi, senza mai ricercare un intreccio lineare o di raccontare la storia come una biografia classica, pur attingendo in toto ad una delle più lette negli ultimi tempi, quella ufficiale scritta da Walter Isaacson; L’intero lungometraggio si svolge, infatti, in tre fasi ben precise della storia del guru dell’informatica: la prima durante la presentazione del Macintosh nel 1984, la seconda durante la presentazione del computer prodotto dalla Next nel 1988 e l’ultima, ma non meno importante, nel 1998 durante il lancio dell’iMac.
Tre date chiave e di grande valore, all’interno delle quali Sorkin da vita al suo film più personale, che in alcuni frangenti ricorda tanto un’opera teatrale, a cui riesce, tramite il linguaggio e la caratterizzazione dei protagonisti, a tratteggiare sapientemente un ritratto umano e profondo di uno degli uomini più influenti del nostro tempo. Lo sceneggiatore premio Oscar era già riuscito nell’impresa nel 2010, con The Social Network, sebbene la macchina da presa comandata da Fincher avesse limitato la potenza narrativa mettendo in primo piano quella visiva, ma stavolta, Boyle, il quale sembra aver capito appieno le intenzioni di quest’ultimo, ha optato per un’impostazione che, non a caso, si mette fin da subito al servizio della narrazione e dei dialoghi, scritti, di certo, in uno stato di grazia tale da aver messo Sorkin in condizioni adatte a scrivere la sua più brillante rivisitazione di un testo scritto, riuscendo a dare alla luce una sceneggiatura limpida, cristallina, dal ritmo sostenuto, elegante, piena di brio, intellettuale e leggera al tempo stesso.
La magia del cinema che si ritrova in Steve Jobs sta proprio nella sua particolarità, un film chiuso in se stesso, nei teatri o nelle maestose sale in cui Steve presenterà alcune delle sue creazioni più acclamate o discusse, ed a contribuire a questo ingranaggio costruito alla perfezione, incapace di incepparsi anche negli attimi più tesi e concitati vi è un montaggio certosino ed efficace, che coglie ogni sfumatura necessaria per collegare diversi momenti della crescita di un’azienda e del suo fondatore con cui da anni abbiamo dimestichezza e che è entrata nella vita di gran parte degli esseri umani.
Non fosse che il tocco di Danny Boyle è comunque avvertibile, con la sua personalità e la sua maestria tecnica, Jobs resta un progetto da lodare anche per il cast di cui è composto, ove ad avere la meglio restano Michael Fassbender e Kate Winslet, i quali riescono a dominare la scena in ogni momento e dimostrano tutta la loro infinita bravura dando vita a due delle più drammatiche e sentite interpretazioni dell’anno. Steve e la sua assistente Joanna Hoffman camminano da una parte all’altra del palco come due attori in un teatro, costantemente alla ricerca di dare una svolta all’Universo e decisi a lasciare un marchio nella Storia.
Questo Jobs, tuttavia, non vuol essere assolutamente un’operazione di mercato, non ne ha la retorica necessaria né tanto meno la volontà, è, nella sua semplice essenza, un dipinto astratto di una persona che della sua vita è riuscito a farne una leggenda, un racconto mitologico da tramandare ai posteri, rivelandosi una macchina calcolatrice infallibile ed al tempo stesso incapace di saper cogliere gran parte degli aspetti migliori a cui un uomo possa fare appello. Egoista, narcisista e spietato, Micheal Fassbender coglie tutti i particolari e le fragilità della sua controparte per conferirle un tocco delicato, ma deciso, il ritratto perfetto di un genio a cui manca qualcosa, che sente di essere diverso dagli altri ed al tempo stesso migliore.
Steve Jobs non è mai stato un programmatore, né un vero informatico, né tanto meno uno studente modello, qualcuno potrebbe azzardare a dire, magari scalfendo la superficie di una verità che in fondo non è poi così importante, ma il Jobs di Boyle e Sorkin è un grande direttore che non mostra alcun dubbio nell’aver consapevolezza delle proprie capacità e della propria visione del mondo, che non vedo l’ora di arrivare a quel momento in cui, salito sul palco, si prepara a suonare l’orchestra che lo porterà alla tanto osannata consacrazione. In questo struggente e realistico modo di vedere il fondatore della Apple, sceneggiatore e regista non si dimenticano di quello che è sempre stato accanto alla vita di quest’ultimo, a partire dal difficile rapporto con la figlia, a quello con la moglie, dai miti a cui Steve si ispirava, ai torti ed alla poca tolleranza rivolta a colleghi e amici. Spogliato di tutto il non necessario, analizzato nella sua più umana essenza, giudicato con criterio e saggezza, Steve Jobs è un lungometraggio emozionante e intelligente, un’opera capace di pensare differente dalle altre e amalgamare al suo interno elementi tipici del cinema d’autore, con altri ricercati da una cerchia di pubblico meno esigente. Un lavoro che arriva a tutti, che lascia il segno, come colui che oggi ha permesso, a chi scrive questa recensione, di avere tra le mani un oggetto che porta il marchio di una mela mangiata, simbolo per eccellenza della scienza e della conoscenza, delle favole e della vita.
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[+] la rivoluzione digitale e l'anima del suo fautore
(di antonio montefalcone)
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mario nitti
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venerdì 22 gennaio 2016
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perchè solo due candidature?
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Steve Job è raccontato attraverso i tre momenti che hanno preceduto le convention per il lancio dei suoi prodotti. Nel 1984 si inizia con il Macintosh, per proseguire con il NeXT del 1988 e chiudere con l’IMac del 1998. Osserviamo l’evoluzioni questo personaggio visionario, geniale, duro, controverso, intollerante, contraddittorio dietro le quinte, nelle relazioni con i suoi collaboratori ed amici, spesso scontri verbali duri e senza sconti di parole.
Gran film che, anche con una storia nota, grazie ad ottimi attori, in primis Fassbender e Winslet, una regia incalzante, una splendida colonna sonora e una sceneggiatura accurata riesce a catturare ed appassionare lo spettatore.
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Steve Job è raccontato attraverso i tre momenti che hanno preceduto le convention per il lancio dei suoi prodotti. Nel 1984 si inizia con il Macintosh, per proseguire con il NeXT del 1988 e chiudere con l’IMac del 1998. Osserviamo l’evoluzioni questo personaggio visionario, geniale, duro, controverso, intollerante, contraddittorio dietro le quinte, nelle relazioni con i suoi collaboratori ed amici, spesso scontri verbali duri e senza sconti di parole.
Gran film che, anche con una storia nota, grazie ad ottimi attori, in primis Fassbender e Winslet, una regia incalzante, una splendida colonna sonora e una sceneggiatura accurata riesce a catturare ed appassionare lo spettatore. Mi stupisco che non abbia avuto molte più nomination per gli Oscar.
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flaw54
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venerdì 22 gennaio 2016
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il carisma di un uomo
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Film teatrale che affronta tre momenti della vita di Jobs nel momento della presentazione di 3 nuovi prodotti. Tutto si svolge nel backstage e si mescolano motivi familizri, di amicizia e di lavoro. Ottima recitazione e pregevole sceneggiatura. Un film da vedere su di un uomo così controverso.
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no_data
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venerdì 22 gennaio 2016
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steve jobs: l'uomo...
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"Steve Jobs" ci porta nei backstage pochi minuti prima dei lanci dei tre prodotti più significativi della carriera di Jobs: il Macintosh nel 1984, il NeXTcube nel 1988, l'iMac nel 1998. E per tre volte compaiono, in questi minuti, ostacoli e difficoltà, sotto forma delle persone più importanti della sua vita, con le quali Jobs intrattiene intense discussioni, a volte più "accese" e a volte più "temperate", ma comunque mai banali.
Ma quest'opera non è il classico e prevedibile biopic come si potrebbe pensare, anzi tutt'altro, è infatti un biopic atipico e originale, in cui lo spettatore vive i tre momenti più significativi della vita di Jobs come fossero "in diretta", in tempo reale, trovandosi direttamente immerso nell'azione, e ricostruendo il suo burrascoso passato personale e professionale soltanto attraverso i brevi flashback e gli infiniti dialoghi.
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"Steve Jobs" ci porta nei backstage pochi minuti prima dei lanci dei tre prodotti più significativi della carriera di Jobs: il Macintosh nel 1984, il NeXTcube nel 1988, l'iMac nel 1998. E per tre volte compaiono, in questi minuti, ostacoli e difficoltà, sotto forma delle persone più importanti della sua vita, con le quali Jobs intrattiene intense discussioni, a volte più "accese" e a volte più "temperate", ma comunque mai banali.
Ma quest'opera non è il classico e prevedibile biopic come si potrebbe pensare, anzi tutt'altro, è infatti un biopic atipico e originale, in cui lo spettatore vive i tre momenti più significativi della vita di Jobs come fossero "in diretta", in tempo reale, trovandosi direttamente immerso nell'azione, e ricostruendo il suo burrascoso passato personale e professionale soltanto attraverso i brevi flashback e gli infiniti dialoghi. Proprio ai dialoghi è dovuta tutta l'energia di questo film: lunghi, brillanti e articolati, da recitare tutti d'un fiato, senza interruzione e a ritmo sostenuto, come a teatro. E infatti l'intera pellicola può essere paragonata a una pièce teatrale, e in quanto tale gli elementi fondamentali della sua struttura risultano essere la sceneggiatura e le interpretazioni attoriali. Elementi ai quali Danny Boyle si mette al servizio, facendo il poco indispensabile, il giusto per valorizzarli.
A tal proposito, Aaron Sorkin regala uno script formidabile, impeccabile, dal perfetto design strutturale e funzionale, confermando così di essere uno dei migliori sceneggiatori attualmente in circolazione. Egli pone l'accento sul "dietro le quinte" della vita del visionario imprenditore, concentrandosi sull'investimento umano, personale e sentimentale necessario per raggiungere il successo. Quello che emerge è dunque il Jobs-uomo dotato di insicurezze, paure e manie, testardo ed arrogante, "incompatibile" con il resto del mondo ("end-to-end", come i suoi prodotti), prima ancora del Jobs-inventore sicuro di sé, spontaneo e ambizioso, che egli stesso si sforzava di mostrare a tutti. A questo va ad aggiungersi la recitazione sublime da parte di tutti gli attori, su tutti gli strepitosi Michael Fassbender e Kate Winslet. Il primo magnetico ed ipnotico, capace di trasportare lo spettatore all'interno del "mondo", fatto di idee e circuiti, del creatore dell'iPhone; e la seconda irreprensibile e integerrima, a cui è affidato il ruolo morale di portare equilibrio e sedare gli eccessi.
In conclusione, un film di notevole fattura, pregiato e raffinato, il racconto di una delle personalità più importanti della storia recente, di un visionario che aveva la capacità di pensare in modo "differente", di un genio che è stato l'epicentro della rivoluzione digitale che ha cambiato le nostre vite, ma prima di tutto, il ritratto intimo e profondo di un uomo.
Un uomo che aveva come unico obiettivo quello di cambiare il mondo, attraverso i suoi prodotti "perfetti" (esattamente l'opposto di come si considerava lui stesso), ma che, proprio a causa di questo, ha trascurato il "mondo" in cui effettivamente era immerso, un mondo fatto di relazioni umane, un mondo in cui un abbraccio vale più di mille circuiti.
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