Grande canto sull'Italia perduta
di Emiliano Morreale L'Espresso
Tommaso Cestrone era un pastore che si era messo in testa di salvare un gioiello di architettura settecentesca, la reggia di Carditello, nel casertano. Morto di infarto la notte di Natale del 2013, a 48 anni, non ha fatto in tempo a veder realizzato il suo sogno. Il regista Pietro Marcello lo aveva incontrato per raccontarne la storia e da quel materiale è partito per realizzare una fiaba moderna in cui, dopo la morte di Cestrone, Pulcinella deve condurre al sicuro uno dei suoi bufali, altrimenti destinato a morte certa. Per la via incontriamo pastori, bracconieri e tombaroli: tutti veri, tutti quasi trasfigurati in allegorie. All'origine c'è dunque un incontro, come era nei film precedenti del regista: il vecchio europeista che viveva sui treni di "Il passaggio della linea", o la coppia di "La bocca del lupo". Marcello non teme di dire le cose con tono di parabola. E non teme la musica, la sua lotta e simbiosi con le immagini, perché per lui l'Italia è anche una specie di melodia di fondo. Tra i modelli dichiarati di questo sguardo religiosamente cosmico c'è Anna Maria Ortese; ma la forza viene da un occhio sensibilissimo alla fisicità delle facce e dei luoghi, che con candore si fa erede di una lunga tradizione. Ed è quasi inevitabile sentire un riverbero leopardiano nella voce sporca, di indefinibile accento, che Elio Germano regala ai pensieri del bufalo Sarchiapone, attraverso i testi di Maurizio Braucci. "Bella e perduta" è un canto bellissimo sull'Italia, un'Italia che è anzitutto il Sud, un viaggio nel tempo alla ricerca dell'utopia. Un film disperato, ma anche edificante: sulla ferocia, la grazia, il paesaggio, i morti. Sulla bellezza, appunto, e sulla perdita. Ha la forza del grande poema civile, della fiaba, del cunto, libero dalla narrazione tradizionale (straordinari il montaggio di Sara Fgaier e il lavoro sul sonoro). E si nutre di un amore fisico per il cinema, né cinico né narcisista, intriso di malinconia: il film è girato quasi tutto in pellicola, spesso vecchi stock scaduti. Pietro Marcello osa e, con la sua accorta naiveté, si inventa una maniera nuova di parlare del presente, quella dei grandi anarchici e dei savi folli, sprofondato nelle cose del mondo, che allo stesso tempo sono come viste dalla Luna. A suo modo, con un altro grande come Franco Maresco, Pietro Marcello è il regista più poeta e più politico che abbiamo. Di film così, e non solo in Italia, oggi davvero non ce ne sono tanti.
Da L'Espresso, 26 novembre 2015
di Emiliano Morreale, 26 novembre 2015