nicobo
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martedì 2 dicembre 2014
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deluso
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non è un film ma non è nemmeno un documentario, sembra piuttosto che Wenders accetti di filmare un'autobiografia che si avvicina a un'agiografia, a tratti noiosa, dove il fotografo è esaltato in ogni suo aspetto, professionale e umano. Delude la sponsorizzazione per la marca della macchina fotografica, esaltata nelle inquadrature. Delude l'esaltazione acritica della sensibilità umana del fotografo (nel suo ruolo di padre, marito, professionista, artista, filosofo, etc). Non convince il Salgado antropologo che immortala, con ritratti che esaltano aspetti primordiali, gli indio d'America, rappresentati con occhio 'da coloniasta'come l'etnia arretrata in estinzione.
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non è un film ma non è nemmeno un documentario, sembra piuttosto che Wenders accetti di filmare un'autobiografia che si avvicina a un'agiografia, a tratti noiosa, dove il fotografo è esaltato in ogni suo aspetto, professionale e umano. Delude la sponsorizzazione per la marca della macchina fotografica, esaltata nelle inquadrature. Delude l'esaltazione acritica della sensibilità umana del fotografo (nel suo ruolo di padre, marito, professionista, artista, filosofo, etc). Non convince il Salgado antropologo che immortala, con ritratti che esaltano aspetti primordiali, gli indio d'America, rappresentati con occhio 'da coloniasta'come l'etnia arretrata in estinzione. Poi il Salgado che denuncia le ingiustizie, non trova di meglio che commentare l'immagine cruda (e giornalisticamente banale) dell'infante morente. L'indiscutibilmente apprezzato e orignale fotografo, ne esce ridimensionato come artista e come intelettuale. Il Wenders regista mette una sull'altra le immagini e le parole senza aggiungere, come ci ha abituati, alcuna poesia e riflessione a quanto registrato dall'occhio.
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(di effepi)
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robert eroica
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domenica 12 luglio 2015
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i’m a camera
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C’è una sequenza rivelatrice ne “Il sale della Terra”, il cine-album che Wim Wenders ha dedicato ad un noto fotografo brasiliano. Ed è quella in cui Salgado, spalleggiato dal figlio, cerca di immortalare l’immagine di un gruppo di leoni marini messi in fuga da un enorme orso bianco. “Non posso scattare da questa postazione – esclama Salgado – non c’è azione qui, quello che ne risulterebbe sarebbero solo riproduzioni di leoni marini, non fotografie”. Lo spettacolo naturale, la flora e la fauna più affascinante del pianeta costituiscono l’ultima fatica di Salgado, che abbandona le fatiche degli uomini (“il vero sale della terra” confida) i loro patimenti e le loro miserie. Prima c’erano stati il Brasile del Nord, l’Ecuador, il Messico, la Bolivia e poi ancora Sarajevo, il Ruanda, la Nigeria, nel corso di una attività ormai quarantennale.
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C’è una sequenza rivelatrice ne “Il sale della Terra”, il cine-album che Wim Wenders ha dedicato ad un noto fotografo brasiliano. Ed è quella in cui Salgado, spalleggiato dal figlio, cerca di immortalare l’immagine di un gruppo di leoni marini messi in fuga da un enorme orso bianco. “Non posso scattare da questa postazione – esclama Salgado – non c’è azione qui, quello che ne risulterebbe sarebbero solo riproduzioni di leoni marini, non fotografie”. Lo spettacolo naturale, la flora e la fauna più affascinante del pianeta costituiscono l’ultima fatica di Salgado, che abbandona le fatiche degli uomini (“il vero sale della terra” confida) i loro patimenti e le loro miserie. Prima c’erano stati il Brasile del Nord, l’Ecuador, il Messico, la Bolivia e poi ancora Sarajevo, il Ruanda, la Nigeria, nel corso di una attività ormai quarantennale. Sullo schermo scorrono le fotografie di corpi deperiti, patiti dalla fame e dall’indigenza, gli ultimi tra gli ultimi, ripresi tra un monito cristiano e una imprecazione. E poi c’è la morte, che sale gelida e metallica dal bianco e nero di immagini eclatanti, una morte però non riprodotta, catturata alla vita nel suo spegnersi, ma una morte “fotografata”, quasi attesa, messa in scena di uno spettacolo. Il morboso è appena dietro l’angolo. Non per niente Salgado è diventato un mito per un regista che del compiacimento visivo ha fatto negli ultimi anni una specie di vessillo autodistruttivo per la sua credibilità di autore, costruita mirabilmente nei suoi splendidi anni 70 in cui rifletteva sulla colonizzazione dello sguardo del cinema americano nei confronti di quello europeo. Il risultato dell’operazione “Il sale della terra” non si sottrae ad un innegabile presa per lo spettatore, ma forse, anzi sicuramente, Robert Capa resta un’altra cosa.
Robert Eroica
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