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lisa costa
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mercoledì 21 gennaio 2015
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l'unione (fra diversi) che fa la forza
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1984. Gran Bretagna.
Un gruppo di persone viene stigmatizzato dal governo, viene infangato dai media, viene ostracizzato , lasciato in disparte a anche ingiuriato dal resto del popolo.
Questo si unisce, allora, scende in piazza a manifestare e a tenere salda la sua posizione, a gridare e inveire contro la signora Thatcher.
Stiamo parlando dei minatori, certo.
Ma stiamo parlando anche della comunità gay.
Due mondi che sembrano molto distanti tra loro: da una parte l'immaginario dell'uomo rude, dalle mani callose che lavora sodo, che si gode la sua pinta al pub, dall'altra un universo colorato ma allo stesso tempo drammatico, con l'accettazione di sé e della famiglia che non è affatto scontata, e con l'ombra dell'AIDS che inizia a mietere le sue vittime.
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1984. Gran Bretagna.
Un gruppo di persone viene stigmatizzato dal governo, viene infangato dai media, viene ostracizzato , lasciato in disparte a anche ingiuriato dal resto del popolo.
Questo si unisce, allora, scende in piazza a manifestare e a tenere salda la sua posizione, a gridare e inveire contro la signora Thatcher.
Stiamo parlando dei minatori, certo.
Ma stiamo parlando anche della comunità gay.
Due mondi che sembrano molto distanti tra loro: da una parte l'immaginario dell'uomo rude, dalle mani callose che lavora sodo, che si gode la sua pinta al pub, dall'altra un universo colorato ma allo stesso tempo drammatico, con l'accettazione di sé e della famiglia che non è affatto scontata, e con l'ombra dell'AIDS che inizia a mietere le sue vittime.
Questi due mondi, però, proprio nel 1984 si incontrano e si uniscono, per il caso, per il nemico comune da affrontare, per le stesse percosse e trattamenti che la polizia e i giornali intentano ai loro danni.
E' durante il gay pride di quell'anno che Mark Ashton decide di aiutare l'unione dei minatori, di fondare il gruppo Lesbians and Gays support the Miners e di raccogliere per loro dei soldi, di fare collette in modo da contribuire allo sciopero che da mesi portano avanti.
Idea semplice, sembra, ma provate voi negli anni '80 a chiamare identificandovi come membro del LGSM e vedete in quanti vi prendono seriamente.
Per disguidi, per casi fortuiti, a Onllwyn lo fanno.
Un paesino piccolo, molto piccolo, in cui un bus carico di gay e lesbiche non passa certo inosservato, e in cui riuscire a fare breccia, tra pregiudizi e bigotti non sarà così facile.
Allo scontro con mentalità tanto chiuse, che a poco a poco si aprono, va di pari passo la maturazione del giovane Joe, che inizia ad accettare se stesso, pur nascondendosi dal giudizio dei suoi genitori, tenendo segreti i suoi viaggi, la sua partecipazione.
Con il tempo che passa, i mesi che avanzano e i viaggi da e verso il Galles che si fanno più frequenti e anche più gioiosi, la situazione politica non sembra però migliorare.
La pagina inglese che ci viene raccontata è di quelle che i più giovani come la sottoscritta non hanno vissuto in prima persona, e che, se conosciuta, non lo è mai in modo approfondito.
Pride è così una lezione di storia, ma anche e soprattutto una lezione di umanità, di accettazione e solidarietà costruita tra mille difficoltà e diversità.
Gli inglesi ce la raccontano come sanno fare meglio, mescolando espedienti da commedia a quelli del dramma, facendoci ridere e commuovere, tra le note della musica disco e quelle di Bread and Roses.
Unendo personaggi realmente esistiti e ancora in vita ad altri di finzione, si costruisce un cast corale sentito e in forma, in cui spicca quel macho di tutt'altra sponda in The Affair di Domenic West e l'inimitabile Bill Nighy, più giovani promesse.
Insieme si divertono, e come non amare quelle signore anziane che scoprono le lesbiche e scoprono il veganismo? come non riconoscere che è dall'educazione e dal rispetto che tutto può cambiare?
Non si cade nel buonismo, così, e anche se la durata poteva essere un po' inferiore, con quel finale fatto di mani che si stringono e che si sorreggono a vicenda, l'essere testimoni di questa storia, di questo film, ci rende un po' tutti migliori.
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stellab
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venerdì 16 gennaio 2015
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fantastico
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fantastico, gran film ... una storia bella e tenera magistralmente raccontata
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cassiopea
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mercoledì 14 gennaio 2015
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storia d'amore e di libertà.
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Buon film basato su una storia tanto vera quanto incredibile, fatta di fatica e discriminazione ma anche di grandi conquiste. Una storia che trasmette speranza in futuri cambiamenti, commovente e che fa brillare gli occhi. Dal punto di vista tecnico non ho condiviso alcune soluzioni, avrei accorciato e velocizzato certe scene ed evitato riprese "amatoriali", questo perchè sono abituata al cinema americano caratterizzato da inquadrature, narrazione e tempi molto differenti. Nonostante questo è da vedere. Sono rimasta molto amareggiata dal fatto che questo film NON sia stato proiettato persino in grandi multisala della zona, se non me lo avessero comunicato degli amici non avrei mai saputo della sua esistenza perchè non è stato minimamente pubblicizzato.
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Buon film basato su una storia tanto vera quanto incredibile, fatta di fatica e discriminazione ma anche di grandi conquiste. Una storia che trasmette speranza in futuri cambiamenti, commovente e che fa brillare gli occhi. Dal punto di vista tecnico non ho condiviso alcune soluzioni, avrei accorciato e velocizzato certe scene ed evitato riprese "amatoriali", questo perchè sono abituata al cinema americano caratterizzato da inquadrature, narrazione e tempi molto differenti. Nonostante questo è da vedere. Sono rimasta molto amareggiata dal fatto che questo film NON sia stato proiettato persino in grandi multisala della zona, se non me lo avessero comunicato degli amici non avrei mai saputo della sua esistenza perchè non è stato minimamente pubblicizzato. Segno del fatto che, ancora una volta, qui rimaniamo indietro mentre il mondo si evolve.
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catcarlo
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venerdì 9 gennaio 2015
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pride
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E’ davvero una buona idea quella che hanno avuto alla Teodora Film distribuendo questo lavoro in pieno periodo natalizio: al contrario delle consuete, grevi commedie che affliggono il periodo, ‘Pride’ è una pellicola intelligente e a suo modo ‘impegnata’ che sa far ridere e commuovere con leggerezza ispirandosi a una storia tuttaltro che divertente. Un piccolo gruppo di omosessuali londinesi si mette in testa di aiutare i lavoratori delle miniere gallesi in sciopero contro il governo Thatcher, da cui l’acronimo Lgsm ovvero ‘Lesbiche e gay sostengono i minatori’: trascinati dall’entusiasta e carismatico Mark (Ben Schnetzer), riesce loro più facile raccogliere i fondi che farli accettare ai beneficiari.
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E’ davvero una buona idea quella che hanno avuto alla Teodora Film distribuendo questo lavoro in pieno periodo natalizio: al contrario delle consuete, grevi commedie che affliggono il periodo, ‘Pride’ è una pellicola intelligente e a suo modo ‘impegnata’ che sa far ridere e commuovere con leggerezza ispirandosi a una storia tuttaltro che divertente. Un piccolo gruppo di omosessuali londinesi si mette in testa di aiutare i lavoratori delle miniere gallesi in sciopero contro il governo Thatcher, da cui l’acronimo Lgsm ovvero ‘Lesbiche e gay sostengono i minatori’: trascinati dall’entusiasta e carismatico Mark (Ben Schnetzer), riesce loro più facile raccogliere i fondi che farli accettare ai beneficiari. Malgrado l’appoggio del sindacalista di riferimento (Paddy Considine), lo scontro con il mondo, maschilista e omofobo, del Galles rurale: non può altro che essere frontale: la passione dei ragazzi riesce però a fare breccia, prima fra le donne guidate dall’infaticabile Hefina (Imelda Staunton), poi tra i più vecchi e saggi come il Cliff di Bill Nighy e infine tra i giovanotti che trovano vie per giungere alle ragazze alle quali mai avevano pensato. Come insegna la storia, fu una guerra persa, ma i minatori mantennero la promessa di contraccambiare l’aiuto prima sfilando al Gay Pride – tutta la sequenza è accompagnata dalla sempre commovente ‘There is power in a Union’ di Billy Bragg – e poi votando a favore dei diritti civili per gli omosessuali. Warchus e lo sceneggiatore Stephen Beresford amalgamano tutti questi elementi in un racconto di due ore che conferma ancora una volta la capacità tutta inglese di narrare con levità anche i momenti più difficili della propria storia: ovviamente, per gli aspetti umoristici è ampiamente sfruttato il confronto di due mondi che più opposti non si potrebbero immaginare, ma stando ben attenti a evitare qualsiasi volgarità come, sul lato opposto, seppur tra tradimenti e divisioni, i momenti drammatici vengono affrontati a ciglio asciutto. Un difetto che, invece, si può imputare agli autori, è quello di aver avuto accumulare troppe sottotrame e personaggi, finendo così per far perdere di mordente al filone principale: ci sono il ragazzino che scopre la propria sessualità (George MacKay), il gay gallese che sono anni che non vede la madre (Andrew Scott) e molte altre figure minori, per non parlare dell’accenno superficiale al diffondersi della sieropositività. A questi aspetti solo abbozzati, si contrappongono segmenti invece tirati un po’ per le lunghe, il più evidente dei quali è la messa in scena dell’incursione delle donne dei minatori in città, anche se serve come contraltare alle prime avventure gallesi dei ragazzi del Lgsm a bordo di un pullmino da figli dei fiori. Però si tratta di punti deboli che vengono messi in evidenza più attraverso uno sguardo a posteriori: la visione del film scorre infatti in modo assolutamente piacevole, grazie anche a un cast di attori che ha lavorato come gruppo evitando le primedonne, anche se almeno è da aggiungere a quelle elencate in precedenza l’energica prova di Jessica Gunning nei panni della volitiva Sian. Il resto lo fanno la fotografia (di Tat Radcliffe) - che accentua il contrasto tra la colorata capitale e gli spenti villaggi gallesi sperduti al termine di strette stradine - e la colonna sonora che, prima del Bragg di cui sopra, infila una collana di pezzi che hanno fatto la storia del gay-pop (senza farsi mancare gli Smiths, ovviamente): sia stata più o meno romanzata la vicenda reale, il risultato è comunque godibilissimo e ha il pregio di riportare d’attualità un momento storico che ha visto la chiusura di un’epoca e l’apertura di un’altra tutto sommato peggiore.
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franciarallo
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mercoledì 7 gennaio 2015
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riconcilia con il cinema, ancor di più a natale
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Incantevole film che ancora una volta dimostra come non siano necessari grandi budget per creare un'opera meravigliosa. La storia narrata - autentica fin nei particolari - mostra come progresso e "progressismo" non siano sempre sinonimo di evoluzione positiva. Ai tempi d'oggi, temo, sarebbe pressoché impossibile il verificarsi di tali accadimenti, ma lì si era nei primi anni '80, all'inizio della rivoluzione "reaganiana e thatcheriana" (che a noi hanno regalato il ventennio berlusconiano) e l'atmosfera sa tanto di anni '60/'70, quando la coscienza civile e l'unità d'intenti erano ancora vivi.
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Incantevole film che ancora una volta dimostra come non siano necessari grandi budget per creare un'opera meravigliosa. La storia narrata - autentica fin nei particolari - mostra come progresso e "progressismo" non siano sempre sinonimo di evoluzione positiva. Ai tempi d'oggi, temo, sarebbe pressoché impossibile il verificarsi di tali accadimenti, ma lì si era nei primi anni '80, all'inizio della rivoluzione "reaganiana e thatcheriana" (che a noi hanno regalato il ventennio berlusconiano) e l'atmosfera sa tanto di anni '60/'70, quando la coscienza civile e l'unità d'intenti erano ancora vivi. Il film tratta argomenti serissimi e molto, molto difficili (unità di classe, diritti civili, etica morale) in maniera estremamente leggera e divertente, come solo la vita reale sa, alle volte, essere e questo è semplicemente impagabile, in specie nel cinema, dove facilmente si scade nel retorico o nel melenso più lacrimevole. Un'autentica boccata di ossigeno in questi tempi di "dispnea civile": assolutamente da non perdere, ma direi anche necessario vederlo.
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eugenio
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martedì 6 gennaio 2015
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orgoglio e lotta
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In piena era conservatorista inglese,nel 1984 sotto la scure del primo ministro Thatcher, si assiste ad un fatto poco noto qui in Italia ma dalla profonda implicazione sociale, che ci riguarda un po' tutti in tema di grande crisi: la chiusura di una miniera di carbone nello Yorkshire, con la conseguente perdita di oltre ventimila posti di lavoro.
Nel nuovo film di Matthew Warchus, Pride, questo è solo l'antefatto di una battaglia che vedrà lo sciopero dei minatori capitanati da Arthur Cargill, e le forze dell'ordine -anche qui paradossalmente un'altra dicotomia tra gli affamati e in lotta per i propri diritti, e chi il lavoro lo ha ed è costrette ad attaccare per fermare e reprimere con violenza la violenza- (vedi i morti e moltissimi feriti durante le manifestazioni).
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In piena era conservatorista inglese,nel 1984 sotto la scure del primo ministro Thatcher, si assiste ad un fatto poco noto qui in Italia ma dalla profonda implicazione sociale, che ci riguarda un po' tutti in tema di grande crisi: la chiusura di una miniera di carbone nello Yorkshire, con la conseguente perdita di oltre ventimila posti di lavoro.
Nel nuovo film di Matthew Warchus, Pride, questo è solo l'antefatto di una battaglia che vedrà lo sciopero dei minatori capitanati da Arthur Cargill, e le forze dell'ordine -anche qui paradossalmente un'altra dicotomia tra gli affamati e in lotta per i propri diritti, e chi il lavoro lo ha ed è costrette ad attaccare per fermare e reprimere con violenza la violenza- (vedi i morti e moltissimi feriti durante le manifestazioni).
Fin qui nulla di nuovo. Nel film corre parallelo pero' il filone dei diritti degli omosessuali, la cui storia, anch'essa colma di discriminazioni, è per certi versi solidale a quello dei minatori. Un gruppo di giovani attivisti gay londinesi, organizzati dal ventiduenne Mark Ashford e facenti capo alla libreria Gay's The World, si ribattezza LGSM (“Lesbiche e gay a sostegno dei minatori”) e decide, quasi empaticamente, di supportare economicamente la causa dei lavoratori delle miniere. L'entusiasmo e il forte spirito del gruppo fanno man mano breccia nella visione di pregiudizi e machismi dei minatori, che grazie all'incontro con Dai Donovan, sindacalista dei minatori di Dulais, una piccola zona rurale nel Galles, si avvicineranno lentamente a quel mondo "strano e particolare, di pervertiti anonimi" ma dalla grande umanità.
Il passo è breve e le difficoltà iniziali, caratterizzate da repressioni violente e bigottismo borghese, faranno si' che la diffidenza nell'iniziativa, si tramuti in solidarierà e lavoro comune per un'affermazione unitaria dei diritti di libertà e lavoro.
Ci vorrà tempo ma nel 1985 le unioni sindacali della categoria marciarono in prima fila al Gay Pride, in un’unione senza precedenti tra lavoratori e persone in lotta per la parità di diritti, proprio prima che il cosiddetto riflusso - accennato nel personaggio che vuole una festa e non un corteo- spazzasse via il sogno.
Questo significa fare commedia: rappresentare con garbo una storia vera romanzandola e lasciandoci divertire (perchè no) con battute salaci, balli sacatenati (come quella di Dominic West sulle note disco di Shame Shame Shame) e risate amare su storie umanemente irreprensibili.
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anna maria
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lunedì 5 gennaio 2015
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credevo fosse amore e invece era un calesse!
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Sono uscita dal cinema commossa. Avrei voluto applaudire alla fine della proiezione. Nessuna retorica, solo tanta verità e passione. Passione nella lotta dei minatori, passione dei giovani gay nell'affrontare la lotta con loro. Insieme a questo, tematiche che ancora oggi sono attuali, ovvero: lo sterminio dell'aids, l'amore omosessuale discriminato, i preconcetti sull'amore omosessuale, l'omofobia, la difficoltà a farsi accettare sia in famiglia che nella società, ecc. Tutto questo nella normalità della vita.
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homer52
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lunedì 5 gennaio 2015
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ironico orgoglio
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Film gradevole e leggero, dimostrazione di come si possano trattare argomenti delicati e facilmente strumentalizzabili, con garbo e delicatezza senza cadere nella più profonda depressione e nella più struggente drammaturgia. La chiave giusta, come al solito, è quella dell'ironia, cioè l'utilizzo di quella strabenedetta funzione mentale che ci permettere di ridere delle nostre disgrazie, dimostrando così che esistono livelli superiori di giudizio dove la priorità è l'essenza della vita e non il singolo avvenimento. D'altro canto l'omosessualità, seppure talora ancora a fatica, è fortunatamente ormai accettata dai più e solo certe bieche sub-culture continuano a combatterla come fosse la peste bubbonica.
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Film gradevole e leggero, dimostrazione di come si possano trattare argomenti delicati e facilmente strumentalizzabili, con garbo e delicatezza senza cadere nella più profonda depressione e nella più struggente drammaturgia. La chiave giusta, come al solito, è quella dell'ironia, cioè l'utilizzo di quella strabenedetta funzione mentale che ci permettere di ridere delle nostre disgrazie, dimostrando così che esistono livelli superiori di giudizio dove la priorità è l'essenza della vita e non il singolo avvenimento. D'altro canto l'omosessualità, seppure talora ancora a fatica, è fortunatamente ormai accettata dai più e solo certe bieche sub-culture continuano a combatterla come fosse la peste bubbonica. Inoltre la drastica politica thatcheriana, tanto contestata a quei tempi, ha progressivamente portato ad un indiscutibile beneficio all'economia inglese tanto che se ne sente la necessità anche nel nostro paese. Questo senza nulla togliere, naturalmente, al sacrificio di coloro che l'hanno vissuta sulla propria pelle.
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lucov
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sabato 3 gennaio 2015
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risate impegnate
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Piacevolissimo film che passa da scene molto serie a scene spassose in pochi attimi. Bello e a tratti veramente divertentissimo!
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mattiabertaina
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martedì 30 dicembre 2014
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lgsm e minatori politically (un)correct
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“Secondo te è meglio Thatcher vaffanculo o Thatcher fottiti?” - “Direi Thatcher vaffanculo, è più viscerale”. É il 1984 e siamo aldilà del Canale della Manica. Non è un periodo storico economicamente felice e la contestazione per la Lady di ferro sale di giorno in giorno con cortei ed atti di protesta. Un piccolo e sparuto gruppo di gay e lesbiche (LGSM - Lesbiche e gay sostengono i minatori) organizzano una raccolta fondi per sostenere la protesta dei minatori, dopo la notizia che diverse cave di carbone subiranno l’onta della chiusura. Ecco l’incipit, decisamente accattivante, di “Pride”, opera prima di Matthew Warchus, regista venuto dal mondo del teatro, che traspone sullo schermo uno storia vera, accaduta nella Londra degli anni ’80, avvalendosi di un cast variegato e di un registro politically (un)correct.
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“Secondo te è meglio Thatcher vaffanculo o Thatcher fottiti?” - “Direi Thatcher vaffanculo, è più viscerale”. É il 1984 e siamo aldilà del Canale della Manica. Non è un periodo storico economicamente felice e la contestazione per la Lady di ferro sale di giorno in giorno con cortei ed atti di protesta. Un piccolo e sparuto gruppo di gay e lesbiche (LGSM - Lesbiche e gay sostengono i minatori) organizzano una raccolta fondi per sostenere la protesta dei minatori, dopo la notizia che diverse cave di carbone subiranno l’onta della chiusura. Ecco l’incipit, decisamente accattivante, di “Pride”, opera prima di Matthew Warchus, regista venuto dal mondo del teatro, che traspone sullo schermo uno storia vera, accaduta nella Londra degli anni ’80, avvalendosi di un cast variegato e di un registro politically (un)correct. Ci sono Bill Nighy, Paddy Considine, Andrew Scott, Dominic West e ci sono meccanismi di narrazione rodati, che funzionano su cliché, strizzando l’occhio ora a “Full Monty”, ora a “Billy Elliott”, ma senza essere banali, condensando leggerezza e venature drammatiche; l’insolito connubio gay-minatori crea un mix potenzialmente esplosivo se si pone mente a quegli anni, agli stereotipi sociali, alle convenzioni ed ai pregiudizi che sono duri a morire ancora oggi, nel 2014. Incomprensioni ma anche solidarietà, atteggiamenti refrattari ma anche atti di grande generosità si snodano per tutta la durata della pellicola senza subire brusche sterzate e grossi colpi di scena ma ristorando lo spettatore nella narrazione di una “bella storia” che valeva la pena di essere raccontata anche sul grande schermo. “Pride” unisce con saggezza un plot narrativo già visto che però può raggiungere un largo bacino di spettatori senza lasciare delusi, salvo i cinefili più attenti ed esigenti. Una storia di diritti e di lotta che vale la visione.
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