roberto risi
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lunedì 3 novembre 2014
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l'inettitudine all'amore per la vita
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Con un realismo ipertrofico il regista racconta la storia di un ragazzo a seguito della perdita della madre.
La morte del genitore non sembra averlo scosso particolarmente, perché Angelino è un ragazzo apatico, demotivato, immaturo, persino disadattato, incapace di affrontare la vita e le sue insidie.
La “perfida” sorte di avere avuto una madre malata e un padre assente perché (immaginiamo) dedito al lavoro e (forse) al problema di salute della moglie, hanno fatto sìche Angelino crescesse in uno stato di grave “abbandono” affettivo, con lo svantaggio ulteriore di vivere in una città altrettanto “perfida”, dove, almeno apparentemente, sembrano non esservi “vie d’uscita”.
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Con un realismo ipertrofico il regista racconta la storia di un ragazzo a seguito della perdita della madre.
La morte del genitore non sembra averlo scosso particolarmente, perché Angelino è un ragazzo apatico, demotivato, immaturo, persino disadattato, incapace di affrontare la vita e le sue insidie.
La “perfida” sorte di avere avuto una madre malata e un padre assente perché (immaginiamo) dedito al lavoro e (forse) al problema di salute della moglie, hanno fatto sìche Angelino crescesse in uno stato di grave “abbandono” affettivo, con lo svantaggio ulteriore di vivere in una città altrettanto “perfida”, dove, almeno apparentemente, sembrano non esservi “vie d’uscita”.
Angelino non ha ancora preso nessuna decisione significativa nella sua esistenza, né per il bene né per il male: fino ad ora si è trascinato nella vita con indolenza, in una sorta di limbo dove le emozioni sono state opacizzate, la speranza si è esaurita e non si avverte più né il piacere né il dolore.
La morte della madre spinge il padre a occuparsi del figlio, per non averlo mai fatto prima d’ora: Peppino vuole “sistemare” Angelino a tutti i costi, trovargli un lavoro per la vita. È preoccupato al pensiero che, se egli morisse, il figlio rimarrebbe privo di mezzi di sostentamento. Non sappiamo se Peppino sia autentico nella sua attuale manifestazione di interesse o se voglia solo egoisticamente mettersi a posto con la coscienza, ma non importa. Ciòche conta è che, anche se per la prima volta, il padre sottopone il figlio a delle sollecitazioni positive, verso il bene, sia pure egoisticamente inteso.
Ma nonostante l’impegno del padre, il figlio continuerà a rimanere imprigionato nel suo “autismo” impenetrabile, senza accorgersi che la vita, non solo attraverso le gioie ma anche attraverso il dolore e le insidie, gli sta dando più di un’opportunità per cambiare, per svoltare.
Oltre agli stimoli provenienti dal padre, fra i suoi amici la figura di un uomo felice, che lavora ed ha una famiglia, sembra destare l’attenzione di Angelino, che lo osserva, lo scruta. Ma dall’apparente ammirazione vediamo che, improvvisamente, Angelino decide di prendere un sasso e di scaraventarlo sul parabrezza della macchina dell’amico: è il primo forte segnale di una scelta di vita imminente e definitiva.
Ma ecco un’altra imperdibile occasione di cambiamento: davanti ai suoi occhi si presenta l’Amore (per una ragazza), che, seppure sognato e anelato (memorabile la scena d’amore onirica fra i due), Angelino non è in grado di cogliere. La ragazza non reagisce con sdegno, ma è mossa da compassione nei confronti di Angelino, delusa e impotente dinanzi alla disarmante inettitudine dell’amato.
La malattia del padre è l’ennesima “intemperia” nella vita di Angelino. Ora, la scelta fra il male e il bene, quella mai presa fino ad ora, si rende finalmente necessaria.
Il regista, dopo aver immerso lo spettatore in un'atmosfera densa, sospesa, di indolente trascuratezza, di apatica attesa, attraverso l’uso magistrale di immagini, silenzi e dialoghi volutamente deboli, lo prepara al finale. In Angelino, la volontà iniziale e apparentemente autentica di accudire amorevolmente il padre lascerà ben presto il posto a un sentimento negativo, grigio e infimo, che vincerà su tutti e che porterà il protagonista a disfarsi del padre.
Angelino ha finalmente deciso, deciso di stare lìin basso, in quell’inferno apparentemente ovattato che non è al di là, ma è già qua, su questa terra; di condurre una vita indegna, ma coerente con la deriva di sentimenti oramai definitivamente occultati sotto la coltre del mal di vivere e di una città immobile e “spietata”.
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cristina 71
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martedì 11 novembre 2014
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storia di ordinario squallore
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Non lasciamoci ingannare da un incipit, in verità un po' fastidioso anche per un sassarese come me, in cui i protagonisti sembrano sapersi esprimere solo nella forma più volgare di questo dialetto. Perfidia, il film del regista Bonifacio Angius che ha avuto l'onore di partecipare al Festival internazionale di Locarno, è si' ambientato a Sassari, ma i protagonisti potrebbero risiedere in una qualsiasi città di provincia italiana. Angelo, con la sua apatia e la sua incapacità di provare emozioni e, quando le prova, di comunicarle; suo padre, assente per tanti anni e preoccupato dopo la morte della moglie, di cercare a qualunque costo una sistemazione per il figlio di cui non ricorda neanche l'età; gli "amici del bar", cinici e privi di interessi, offrono un ritratto desolante ma fedele di quanto sia squallida la vita quando si è privi dell'affetto di una famiglia, di interessi, di cultura, di curiosità e di amore, ma soprattutto quando si è totalmente incapaci di rendersene conto e, perciò, di agire.
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Non lasciamoci ingannare da un incipit, in verità un po' fastidioso anche per un sassarese come me, in cui i protagonisti sembrano sapersi esprimere solo nella forma più volgare di questo dialetto. Perfidia, il film del regista Bonifacio Angius che ha avuto l'onore di partecipare al Festival internazionale di Locarno, è si' ambientato a Sassari, ma i protagonisti potrebbero risiedere in una qualsiasi città di provincia italiana. Angelo, con la sua apatia e la sua incapacità di provare emozioni e, quando le prova, di comunicarle; suo padre, assente per tanti anni e preoccupato dopo la morte della moglie, di cercare a qualunque costo una sistemazione per il figlio di cui non ricorda neanche l'età; gli "amici del bar", cinici e privi di interessi, offrono un ritratto desolante ma fedele di quanto sia squallida la vita quando si è privi dell'affetto di una famiglia, di interessi, di cultura, di curiosità e di amore, ma soprattutto quando si è totalmente incapaci di rendersene conto e, perciò, di agire. Il regista ha dato vita a un personaggio difficile, scomodo per certi versi, esaltandone magistralmente l'inettitudine con dialoghi ripetitivi, musiche insistenti e penetranti, capaci (loro si') di insinuarsi nell'animo degli spettatori e di scuoterlo nel profondo.
Quando ho assistito alla proiezione, di sabato sera, la platea del cinema era piena come un uovo, eppure alla fine, l'uscita del pubblico è avvenuta in un silenzio tombale. Il regista ha centrato il suo obiettivo, shockare gli spettatori con un film crudo e crudele, ma realistico e perciò inquietante. Personalmente, il messaggio che ho colto, ciò che mi ha maggiormente fatto riflettere, è la consapevolezza di come, a certi livelli, non ci sia alcuna possibilità di riscatto.
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vittorio1970
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sabato 1 novembre 2014
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semplicemente bellissimo!
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Erano anni che non vedevo un film cosi' rappresentativo del nostro tempo. Perfidia è un'opera sincera, dura, ironica, amara. Un pugno nello stomaco. Un'istantanea impeccabile di una certa umanità intrappolata in silenzi che urlano dolore e disperazione. Questo film riesce a ronzarmi in testa anche dopo giorni dalla visione. Scene che ti inquietano il cuore, altre che ti fanno ridere di pancia, ma sempre con un tarlo che si insinua nella mente quando riconosci in quei personaggi, molto di te stesso. Su questo film si potrebbe dire tantissimo, ma qualunque frase risulterebbe riduttiva difronte alla lucidità con cui Angius è riuscito in una messa in scena impeccabile, densa, terribilmente scioccante.
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Erano anni che non vedevo un film cosi' rappresentativo del nostro tempo. Perfidia è un'opera sincera, dura, ironica, amara. Un pugno nello stomaco. Un'istantanea impeccabile di una certa umanità intrappolata in silenzi che urlano dolore e disperazione. Questo film riesce a ronzarmi in testa anche dopo giorni dalla visione. Scene che ti inquietano il cuore, altre che ti fanno ridere di pancia, ma sempre con un tarlo che si insinua nella mente quando riconosci in quei personaggi, molto di te stesso. Su questo film si potrebbe dire tantissimo, ma qualunque frase risulterebbe riduttiva difronte alla lucidità con cui Angius è riuscito in una messa in scena impeccabile, densa, terribilmente scioccante.
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cris59
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domenica 2 novembre 2014
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una storia vera
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Storia di provincia che rappresenta una crisi esistenziale tipica dei nostri giorni e caratterizzante di ogni paese del mondo occidentale. I violenti cambiamenti subiti dalla società “civilizzata” in questi anni hanno destabilizzato il sistema determinando mutamenti dei ruoli e dei valori individuali e familiari. Se ciò da un lato ha portato miglioramenti della condizione di vita, dall’altra hanno facilitato l’insorgenza di problematiche relative all’identità personale con sentimenti di vuoto, di incapacità di autodeterminazione e del pensiero autoriflessivo(eterna adolescenza). Cosi’ Angelino (un ottimo Stefano Deffenu) vive passivamente, senza conoscersi, senza progetti futuri, senza relazioni interpersonali vere, in una profonda solitudine che nel film appare quasi palpabile.
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Storia di provincia che rappresenta una crisi esistenziale tipica dei nostri giorni e caratterizzante di ogni paese del mondo occidentale. I violenti cambiamenti subiti dalla società “civilizzata” in questi anni hanno destabilizzato il sistema determinando mutamenti dei ruoli e dei valori individuali e familiari. Se ciò da un lato ha portato miglioramenti della condizione di vita, dall’altra hanno facilitato l’insorgenza di problematiche relative all’identità personale con sentimenti di vuoto, di incapacità di autodeterminazione e del pensiero autoriflessivo(eterna adolescenza). Cosi’ Angelino (un ottimo Stefano Deffenu) vive passivamente, senza conoscersi, senza progetti futuri, senza relazioni interpersonali vere, in una profonda solitudine che nel film appare quasi palpabile. Angelino si sente esistere solo con la sua rabbia nascosta. Riprende vita per un attimo e frantuma il vetro dell’auto dell’amico invidiato. Il rapporto padre-figlio è privo di comunicazione, e per questo vero, cristallino, mostrando l’insicurezza e il senso di colpa di un padre per troppo tempo distratto ed egoista.
Angius riprende magistralmente questa sofferenza, provocando tanta tristezza, angoscia e malinconia. Viene in mente Angelo bambino, che forse non è stato amato come avrebbe voluto. E in un crescendo emotivo si comprende il suo folle gesto, provando quasi solidarietà per l’aggressore, vittima di un mondo “perfido” e crudele. La musica, e le luci contrastano con un ambiente freddo e arido, musica che ci accompagna piacevolmente, come fosse un carillon della nostra infanzia, tra paura, dolcezza. E per un attimo ci sentiamo come Angelino, sospesi in un'altra dimensione.
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ber enike
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martedì 4 novembre 2014
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profonda sensazione di silenzio
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A me ha lasciato una profonda sensazione di silenzio. Mentre guardavo, ascoltavo e in un certo senso interagivo col film mi veniva da trattenere il fiato... avevo quasi paura di poter respirare talmente era forte la sensazione di irrequietezza che mi dava questa storia. Lascia quasi un pò storditi e senza quasi possibilità di replica. Questo film dice molto di ciò che accade intorno a noi.
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A me ha lasciato una profonda sensazione di silenzio. Mentre guardavo, ascoltavo e in un certo senso interagivo col film mi veniva da trattenere il fiato... avevo quasi paura di poter respirare talmente era forte la sensazione di irrequietezza che mi dava questa storia. Lascia quasi un pò storditi e senza quasi possibilità di replica. Questo film dice molto di ciò che accade intorno a noi. Qui c'è una fine opprimente che ha le sue radici profonde in alcune battute e brandelli di memoria che si inseriscono nel film in modo inaspettato. A momenti sembra di non poter capire alcune parti ma poi tutto ha un suo maledetto senso. Credo comunque che per poter cogliere sempre meglio il significato, anche tra le righe, questo film vada visto qualche volta più che una.
Mi sono piaciuti molto l'indifferenza e la superficialità trasmessa da alcuni personaggi in contrapposizione all'estrema sensibilità di altri e come in alcuni casi si sia dovuta invertire.
Questo è ciò che ho percepito io.
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gianleo67
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lunedì 4 gennaio 2016
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perdizione...dalle parti di sassari
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Rismasto da solo con l'anziano padre dopo la morte della madre, il 35 enne Angelino vive in uno stato di totale indolenza ed apatia, incapace di trovare un lavoro o di dedicarsi ad altre attività che non siano frequentare il bar di sfaccendati in cui passa le giornate ed il letto di casa in cui trascorre gran parte del tempo assorto nelle romantiche fantasticherie di chi non ha mai avuto una ragazza od un amico sincero. Quando anche il padre viene a mancare, colto da un ictus improvviso che lo lascia paralizzato, la sua inesorabile deriva umana e sociale diventa tragicamente irreversibile.
Qui praticamente alla sua opera d'esordio (dopo il corto 'allungato' ed autoprodotto di SaGràscia), il giovane Bonifacio Angius punta in alto con questo dramma dell'inadeguatezza e della solitudine che ci parla di un tempo e di un luogo in cui la mancanza di prospettive sociali ed economiche è diventata ormai endemica, e dove l'incomunicabilità generazionale diventa il paradigma di una pandemia demografica che disgrega le famiglie e riduce i superstiti a muti derelitti di un destino senza speranza.
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Rismasto da solo con l'anziano padre dopo la morte della madre, il 35 enne Angelino vive in uno stato di totale indolenza ed apatia, incapace di trovare un lavoro o di dedicarsi ad altre attività che non siano frequentare il bar di sfaccendati in cui passa le giornate ed il letto di casa in cui trascorre gran parte del tempo assorto nelle romantiche fantasticherie di chi non ha mai avuto una ragazza od un amico sincero. Quando anche il padre viene a mancare, colto da un ictus improvviso che lo lascia paralizzato, la sua inesorabile deriva umana e sociale diventa tragicamente irreversibile.
Qui praticamente alla sua opera d'esordio (dopo il corto 'allungato' ed autoprodotto di SaGràscia), il giovane Bonifacio Angius punta in alto con questo dramma dell'inadeguatezza e della solitudine che ci parla di un tempo e di un luogo in cui la mancanza di prospettive sociali ed economiche è diventata ormai endemica, e dove l'incomunicabilità generazionale diventa il paradigma di una pandemia demografica che disgrega le famiglie e riduce i superstiti a muti derelitti di un destino senza speranza.
Appesantito da un impianto drammaturgico che cerca di combinare le istanze del realismo sociale con i voli pindarici di una dimensione esistenziale di cupa disperazione, il film del giovane regista sassarese è un pugno allo stomaco alle convenzioni retoriche e consolatorie del recente cinema italiano, ma nello stesso tempo sembra mancare il segno proprio nella incapacità di fornire un adeguato tessuto narrativo all'ambizioso ordito del quadro sociale che vorrebbe dipingere, facendo rimbalzare il suo straniato e catatonico protagonista tra i muti santuari di una prigionia urbana di luoghi comuni, tra una casa vuota e priva di affetti ed un capolinea di esistenze derelitte sotto le luci al neon di un classico ritrovo per sfaticati perdigiorno, tra un letto dove rimuginare le sterili fantasie di un'esistenza possibile e le pendici di una falesia quali colonne d'Ercole di una dimensione geografica senza porti d'imbarco da cui prendere il largo. Più che dalle parti del nichilismo cosmico del Bela Tarr di Perdizione e non ostante l'insistenza del voice-over e dell'irruenza dei rumori d'ambiente sul grottesco non sense dei dialoghi, quello di Angius è un cinema affascinato dalla cifra politica delle sue conclusioni, un quadro di desolazione civile in cui è preclusa qualunque possibilità di un testamento etico e morale da lasciare in eredità ai propri figli e dove le miserie nepotistiche di una vita pubblica ormai ridotta al velletario teatrino di una campagna elettorale fai-da-tè sono il sintomo di un irreversibile declino di una civiltà residuale che ha smarrito non solo il significato della convivenza pubblica ma perfino il valore e l'importanza degli affetti privati. La morte (o l'uccisione) del padre quindi come testimonianza contingente della crisi civile di un Paese che ha sperperato il proprio patrimonio di tradizioni e di valori, che ha fatto terra bruciata attorno a sè ed ha abbandonato i propri figli alla inebetita insipienza di un'estistenza da buttare, gettone dopo gettone, dentro una stupida macchinetta mangiasoldi ("Sto boicottando il XX secolo. E' sopravvalutato e non mi dispiace per niente lasciarlo. Sono un vecchio uomo ateo. Un residuo tossico del modernismo...del post-Illuminismo...e ti lascio nelle mani del nuovo secolo senza averti insegnato nulla." - Attenberg -2010 - Athina Rachel Tsangari). Non ostante le già citate debolezze della narrazione ed un certo squilibrio tra la coerenza naturalistica del racconto ed alcuni spunti che divagano tra il grottesco ed il surreale, il senso complessivo di quest'opera, cupa e disturbante, basta da sola a decretarne le possibilità di successo presso chi voglia concedergli il beneficio del dubbio e dell'ingenuità di un esordio 'difficile'. Bravo Stefano Deffenu nel ruolo di Angelo e bravissimo Mario Olivieri in quello del padre Peppino. Meritato Premio giuria giovani come miglior regista a Bonifacio Angius al Festival di Locarno 2012.
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stefano capasso
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mercoledì 1 marzo 2023
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la delicata vita interiore di un uomo
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Angelo ha 35 anni, è rimasto solo a vivere con l’anziano padre dopo la morte della madre. La provincia di Sassari sembra non offrire molto al giovane che passa le sue giornate senza darle un senso, ciondolando tra uno squallido bar dove incontra amici mai troppo intimi e le possibilità di lavoro che il padre cerca di offrirgli. L’incontro con una giovane ragazza accende in lui impeti che sembrava non avere.
Bonifacio Angius nel suo primo lungometraggio disegna un ritratto tagliente e asciutto di un quotidiano disagio sociale. Il protagonista è soffocato da un padre incapace di stabilire contatti emotivi, e passa le sue giornate in un insignificante bar di quartiere insieme a un gruppo di amici che non sono mai veramente tali.
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Angelo ha 35 anni, è rimasto solo a vivere con l’anziano padre dopo la morte della madre. La provincia di Sassari sembra non offrire molto al giovane che passa le sue giornate senza darle un senso, ciondolando tra uno squallido bar dove incontra amici mai troppo intimi e le possibilità di lavoro che il padre cerca di offrirgli. L’incontro con una giovane ragazza accende in lui impeti che sembrava non avere.
Bonifacio Angius nel suo primo lungometraggio disegna un ritratto tagliente e asciutto di un quotidiano disagio sociale. Il protagonista è soffocato da un padre incapace di stabilire contatti emotivi, e passa le sue giornate in un insignificante bar di quartiere insieme a un gruppo di amici che non sono mai veramente tali. Angelo, però, a dispetto di quanto possa sembrare non è depresso, ha una vita interiore molto viva, che riserva per se, convinto di quanto non sia comprensibile alla società intorno. E quando incontra una donna che lo fa innamorare esplode la sua emotività insieme ai suoi sogni e alla sua rabbia. Ma il mondo intorno ancora una volta, non è pronto a comprenderlo respingendo il suo tentativo di emergere.
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heinzolf
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venerdì 31 ottobre 2014
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lentezza esasperante con piccole perle
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Per quanto il soggetto offrisse molti spunti interessanti, confesso che mi ha irritato ed angosciato la fissità, il vuoto pneumatico e l'analfabetismo espressivo del giovane protagonista. Per quanto deliberatamente voluto e calcato dal regista, questo aspetto rende il film troppo lento e povero di modulazioni. L'autismo esasperato di Angelino appare caricaturale e, per quanto ben rappresenti la disperata impotenza, quasi autistica, che il regista vuole rappresentare, non offre mai uno spunto o un guizzo vitale. Nessuna speranza nelle risorse umane, solo la progressiva certezza della perfidia divina, che non [+]
Per quanto il soggetto offrisse molti spunti interessanti, confesso che mi ha irritato ed angosciato la fissità, il vuoto pneumatico e l'analfabetismo espressivo del giovane protagonista. Per quanto deliberatamente voluto e calcato dal regista, questo aspetto rende il film troppo lento e povero di modulazioni. L'autismo esasperato di Angelino appare caricaturale e, per quanto ben rappresenti la disperata impotenza, quasi autistica, che il regista vuole rappresentare, non offre mai uno spunto o un guizzo vitale. Nessuna speranza nelle risorse umane, solo la progressiva certezza della perfidia divina, che non [-]
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