renato volpone
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venerdì 29 marzo 2013
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là dove essere terra
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La vita ti colpisce duro e ti si aprano di fronte due possibilità: rinchiuderti nel tuo guscio in un doloroso silenzio oppure “un giorno devi andare”, lontano, il più lontano possibile. Due donne, una madre e una figlia, la madre resta, chiusa nella dignità del silenzio e della rinuncia, la figlia parte e va dall’altro capo del mondo, là dove “tutto è così grande, così potente e maestoso, così violento”. Giorgio Diritti ci porta dal gelido inverno della provincia italiana alla calda e umida estate delle favelas di Manaus in Brasile.
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La vita ti colpisce duro e ti si aprano di fronte due possibilità: rinchiuderti nel tuo guscio in un doloroso silenzio oppure “un giorno devi andare”, lontano, il più lontano possibile. Due donne, una madre e una figlia, la madre resta, chiusa nella dignità del silenzio e della rinuncia, la figlia parte e va dall’altro capo del mondo, là dove “tutto è così grande, così potente e maestoso, così violento”. Giorgio Diritti ci porta dal gelido inverno della provincia italiana alla calda e umida estate delle favelas di Manaus in Brasile. Un’altra storia raccontata con la stessa delicata fermezza a cui ci aveva abituati con “l’uomo che verrà” e “il vento fa il suo giro”. Un grande regista e un grande film. Immagini spettacolari che fanno nascere il desiderio di esserci, nell’una e nell’altra parte, il desiderio di partecipare alla vita degli indios e alla preghiera e al disegno. Augusta, la figlia, arriva nelle terre di missione dove uomini e donne di fede si donano per aiutare un popolo povero e vessato, ma Augusta non capisce e chiede alla suora “cosa ti dice che Dio è al nostro fianco”. La suora più tardi dirà: “quello che hai detto mi ha fatto pensare molto”. E anche lo spettatore poi ha molto da pensare, qualche piccolo rimorso per il “non esserci”. Là vive una religione e un messaggio che sono lontani dalle Cattedrali, più vicini alla gente, dove vive il compromesso tra sopravvivenza e teologia, dove si insegna ad usare il preservativo. Augusta ha una fede molto piccola e incerta, ora “deve essere terra” e dimenticarsi di Dio, perché lì non c’è, non si sente, non dice niente. Lì si vedono i bambini, quei bambini che vengono dal mare, che sanno sorridere, che sanno fare festa, che sono la festa, ma lì si vendono anche i bambini, per pochi soldi. Lì si spezzano i cuori delle madri e il mondo è indifferente, vuole crescere, cambiare esplodere e non conta chi paga. Augusta si rifugia al confine del mondo, dove nulla esiste più se non una mano innocente e amica che deposita un po’ di cibo di fronte alla sua capanna. Dall’altra parte la vecchiaia, un mondo antico e freddo che si antepone alla grandezza dell’essere. Il piccolo convento dove le donne si raccolgono in una unione pacifica di preghiera, dove la gente fuori è fredda e distaccata. Arriva la ragazza indios a fare la badante dalla nonna di Augusta. In ospedale vede morire la compagna di letto della nonna e recita una preghiera meravigliosa, il grazie al corpo: grazie alle gambe che ti hanno portato, grazie ai piedi che ti hanno sorretto, grazie alle mani che hanno costruito, grazie al cuore e all’anima che ti hanno permesso di amare. Due mondi contrapposti e ciascuno può scegliere da che parte stare, una scelta non facile, come non facile è fare i conti con la propria coscienza. Un film che ti rimane impresso e che non si farà dimenticare, come la scena dei bambini che fotografano la casa che cade nell’acqua, quella casa, quelle case costruite sul niente, ma dove palpita il cuore della gente vera.
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(di eusebio abbondanza )
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fabiofeli
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lunedì 1 aprile 2013
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obrigado (grazie): una splendida orazione funebre
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Un giorno devi andare di Giorgio Diritti
Vediamo una giovane donna, Augusta (Jasmine Trinca, già nel cast di L’uomo che verrà dello stesso regista) assieme a una amica di sua madre, Suor Franca (Pia Engleberth), che è impegnata in Amazzonia in un apostolato missionario di stampo tradizionale, distribuzione di santini compresa. Ad accenni apprendiamo che Augusta sta elaborando una tripla perdita: un figlio in gestazione, la possibilità di averne un altro ed il marito. La giovane non comunica più con sua madre Anna (Anne Alvaro) che risiede in Val di Non con la nonna di Augusta, Antonia (Sonia Gessner), una vera capofamiglia energica e pratica nonostante l’età avanzata.
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Un giorno devi andare di Giorgio Diritti
Vediamo una giovane donna, Augusta (Jasmine Trinca, già nel cast di L’uomo che verrà dello stesso regista) assieme a una amica di sua madre, Suor Franca (Pia Engleberth), che è impegnata in Amazzonia in un apostolato missionario di stampo tradizionale, distribuzione di santini compresa. Ad accenni apprendiamo che Augusta sta elaborando una tripla perdita: un figlio in gestazione, la possibilità di averne un altro ed il marito. La giovane non comunica più con sua madre Anna (Anne Alvaro) che risiede in Val di Non con la nonna di Augusta, Antonia (Sonia Gessner), una vera capofamiglia energica e pratica nonostante l’età avanzata. Nel battello con la suora si naviga con i tempi necessari a cercare e trovare una nuova dimensione, una fede, uno scopo nella vita. Con la necessaria lentezza e circospezione.
Suor Anna dice di sé e della scoperta della propria vocazione: “Un giorno devi andare”. Anche Augusta è già ‘andata via’ una volta, e abbandona anche la compagnia della suora per cercare se stessa. Comincia a ritrovarsi in una favela di Manaus, accolta da una famiglia poverissima, nella quale particolarmente significative sono le donne, Arizete e sua figlia Janaina (Armanda Fonseca Galvao). Sguardi e timidi sorrisi appena accennati dicono di più dello scarno dialogo in lingua portoghese, ancora più dolce nella pronuncia brasiliana. Il valore della solidarietà cementa la comunità della favela ai margini di Manaus: Augusta inizia i primi passi di una nuova vita; sembra sbocciare perfino un amore.
Ma anche le cose belle, costruite in modo sofferto e laborioso, sono destinate a cadere, come una baracca di legno ai margini del fiume, sotto l’implacabilità dell’interesse di pochi individui senza scrupoli dediti al profitto. Ricomincia il viaggio di Augusta in Amazzonia e contemporaneamente Janaina, colpita a sua volta nell’affetto più caro, compie un percorso simmetricamente inverso in direzione della Val di Non, a colmare il vuoto lasciato da Augusta nella vita di Anna e Antonia. E’ solo una breve illusione il sogno di una nuova maternità di Augusta, mentre Janaina, con l’antica saggezza di un popolo ‘selvaggio’, recita una delle più belle orazioni funebri mai pronunciate: Obrigado (grazie) a tutte le parti del corpo, della mente e dei sentimenti umani.
Un piccolo-grande capolavoro da non perdere, con recitazione e fotografia di eccellenza; i ripetuti piani sequenza lenti e meditati aggiungono valore, invece che toglierlo. Giorgio Diritti si conferma definitivamente nel grande Cinema italiano con il suo modo di narrare sincopato, per sottrazioni. Una scena in meno piuttosto che una in più, un’espressione in meno piuttosto che una in più, come faceva il grande Eduardo o come hanno fatto i grandi Registi italiani: echi del Cinema di Pasolini si ravvisano nella descrizione dei disperati della favela, assediati dalla natura distruttiva e dalla città spietata che le incombe vicino, in un destino di ribellione e morte, ma con una risorsa in più: Obrigado!
Valutazione ****
FabioFeli
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gabriele marolda
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domenica 7 aprile 2013
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la ricerca di se stessi tra gli ultimi del mondo
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Augusta è abbattuta dal dolore per aver perso, quasi in un colpo solo il figlio non nato e il compagno della sua vita, che l'abbandona per avere lei perso la fecondità. Nell'intento di ritrovare un senso alla propria vita, va a trovare in Brasile un'amica della mamma, suor Franca, che da decenni svolge opera di evangelizzazione nei villaggi sperduti dell'Amazzonia e nelle favelas addossate alle moderne città.
Insieme alla sua guida percorre in barca le grandi e maestose vie fluviali dell'immenso paese, condividendo disagi e gioie dell'aiuto spirituale, e anche materiale e culturale alle popolazioni, perlopiù primitive dei tanti precari insediamenti sperduti nell'immensa foresta amazzonica e conoscendo le condizioni di difficile sopravvivenza degli indios accampati nelle favelas su palafitte della città di Manaus.
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Augusta è abbattuta dal dolore per aver perso, quasi in un colpo solo il figlio non nato e il compagno della sua vita, che l'abbandona per avere lei perso la fecondità. Nell'intento di ritrovare un senso alla propria vita, va a trovare in Brasile un'amica della mamma, suor Franca, che da decenni svolge opera di evangelizzazione nei villaggi sperduti dell'Amazzonia e nelle favelas addossate alle moderne città.
Insieme alla sua guida percorre in barca le grandi e maestose vie fluviali dell'immenso paese, condividendo disagi e gioie dell'aiuto spirituale, e anche materiale e culturale alle popolazioni, perlopiù primitive dei tanti precari insediamenti sperduti nell'immensa foresta amazzonica e conoscendo le condizioni di difficile sopravvivenza degli indios accampati nelle favelas su palafitte della città di Manaus.
Abbiamo tutti sentito parlare di queste misere e precarie abitazioni, credendole solo luoghi da sfuggire: il film di Giorgio Diritti ci fa sentire con potenti immagini coinvolgenti la sensazione di vivere anche noi spettatori qualche momento della vita che scorre tra quelle lamiere che fanno da tetto, alle tavole di legno che sono le pareti assemblate alla bell'e meglio da tanta povera gente. Promiscuità, dolore, difficoltà a trovare sufficiente alimentazione sopratutto per i figli piccoli, che non di rado vengono venduti a coppie sterili e in grado di pagare somme che consentono un miglioramento della sopravvivenza degli altri familiari.
Eppure lì, nella favela di Manaus la giovane Augusta decide di rimanere sola tra gli ultimi, partecipando non come missionaria, ma come essere umano che cerca nella comprensione di quel mondo povero e semplice, ma profondamente umano. E partecipa ai loro sforzi di resistere ai tentativi delle autorità di smantellare le fragili abitazioni per dar loro una più ordinata esistenza. Quando le piogge torrenziali portano via una di quelle povere case e con essa un bimbo lasciato dalla madre che lavora in città, la nostra giovane protagonista, dopo aver partecipato al dolore dell’intera comunità che sente il rischio di sgretolarsi, riprende il suo vagare per le immensità delle terre bagnate dal Rio Nero, dove è tentata di lasciarsi morire, ma è richiamata prepotentemente alla vita dall'incontro con il bimbo che credeva inghiottito dalle acque, e che forse invece era solo stato venduto.
Splendida la fotografia, lodevole l'interpretazione della giovane Jasmine Trinca.
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leolotti
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sabato 17 maggio 2014
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il senso della vita
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Inizio di una vita, poi interrotta, e ritorno alla vita grazie alla gioia di vivere di un bambino. E' questo il filo conduttore di questo bel film che rappresenta in tutta la sua crudezza la ricerca del ritorno alle origini da parte della protagonista dopo l'evento tragico della perdita del figlio. Ritorno alle origini basate su una fede ad un certo punto messa in discussione. Bella la contrapposizione della vivacità ed allegria regnante in un mondo in forte degrado e governato da speculatori senza scrupoli e la monotonia della vita in una realtà governata dal benessere. Commoventi alcune scene e positivo l'alternarsi di situazioni ed ambienti che, a mio parere, servono a rendere lo spettatore soggetto attivo e non passivo.
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Inizio di una vita, poi interrotta, e ritorno alla vita grazie alla gioia di vivere di un bambino. E' questo il filo conduttore di questo bel film che rappresenta in tutta la sua crudezza la ricerca del ritorno alle origini da parte della protagonista dopo l'evento tragico della perdita del figlio. Ritorno alle origini basate su una fede ad un certo punto messa in discussione. Bella la contrapposizione della vivacità ed allegria regnante in un mondo in forte degrado e governato da speculatori senza scrupoli e la monotonia della vita in una realtà governata dal benessere. Commoventi alcune scene e positivo l'alternarsi di situazioni ed ambienti che, a mio parere, servono a rendere lo spettatore soggetto attivo e non passivo. Bello il messaggio lanciato che esalta il valore della comunità.
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minnie
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lunedì 1 aprile 2013
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dolore estetizzato
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Augusta ha un grande dolore, Augusta ama i bambini ma non può averne...sbarca in una favelas dove la gente è tanto buona, tanto accogliente; lei si adatta a tutto, forse perché è stata cresciuta in modo monastico, trova buono un cibo condiviso con altri che non si sa come sia stato preparato, si adatta a fare la cameriera; tutto appare idilliaco pur nelle difficoltà finché non vediamo il cattivo padre che si vende un figlio...addirittura la madre, credendo a tutto, viene portata in Italia a fare la badante, ma per Augusta non è ancora abbastanza, resta su una sponda derelitta, novella Robinson Crusoe ma con spesa che le viene recapitata a domicilio, manco fosse una contessa o una principessa, come in effetti la chiamano.
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Augusta ha un grande dolore, Augusta ama i bambini ma non può averne...sbarca in una favelas dove la gente è tanto buona, tanto accogliente; lei si adatta a tutto, forse perché è stata cresciuta in modo monastico, trova buono un cibo condiviso con altri che non si sa come sia stato preparato, si adatta a fare la cameriera; tutto appare idilliaco pur nelle difficoltà finché non vediamo il cattivo padre che si vende un figlio...addirittura la madre, credendo a tutto, viene portata in Italia a fare la badante, ma per Augusta non è ancora abbastanza, resta su una sponda derelitta, novella Robinson Crusoe ma con spesa che le viene recapitata a domicilio, manco fosse una contessa o una principessa, come in effetti la chiamano...ci si chiede se Augusta non sia uscita fuor di senno. Certo, la protagonista ha un volto dolente, Jasmine Trinca è cresciuta da quando era sbarazzina nei film di Moretti, però non convince fino in fondo, non si vede questo dolore e soprattutto non commuove, perché il regista, mentre allo sconcerto del pastore Thierry partecipava, qui resta piuttosto incantato dai paesaggi, si distrae in modo da fare l'Herzog della situazione...Resta certo lo sguardo desolato, quasi da vecchio, del piccolo che ci guarda, noi spettatori del mondo ancora (non si sa per quanto) benestante, che il giorno dopo viene allontanato dalla sua mamma, una madre allontanata dalla favelas finora buona in realtà crudele come tutto il mondo...La trama logica sarebbe stata che alla fine la madre ritrova in Italia il suo bambino adottato da chissà chi e che gli si riunisce, mentre la povera Augusta la finirà di guardare con invidia i figli degli altri perché i figli sono una faccenda troppo privata, sono dei genitori...Ho grande rispetto per Diritti ma che cosa voleva essere questo film? Un documentario? In effetti sembra un documentario, si analizzano inoltre con freddezza le conseguenze dell'amore, davvero disastrose---In una natura ostile, grande, indifferente, magnifica, come la vita!
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flyanto
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lunedì 1 aprile 2013
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una ricerca di sè a cui non sempre si arriva
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Film in cui si racconta di una giovane donna di trent' anni che lascia dopo alcune struggenti vicende personali il proprio paese, l'Italia, per recarsi in Brasile o, più precisamente, presso alcuni villaggi situati nella Foresta Amazzonica, al fine di ritrovare se stessa o, per lo meno, un senso alla propria esistenza ormai completamente svuotata ed annichilita. Il cammino della donna nel corso delle varie vicende si verificherà però lungo ed arduo e non così scontato come potrebbe sembrare. Quest'ultima pellicola di Giorgio Diritti risulta molto suggestiva e non può che non fare riflettere sul tema dell'esistenza e del suo significato in generale, contrapposto anche ad una natura così presente ed immensa, e sul tema soprattutto del dolore e della miseria morale o meno umana con cui la protagonista viene a contatto.
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Film in cui si racconta di una giovane donna di trent' anni che lascia dopo alcune struggenti vicende personali il proprio paese, l'Italia, per recarsi in Brasile o, più precisamente, presso alcuni villaggi situati nella Foresta Amazzonica, al fine di ritrovare se stessa o, per lo meno, un senso alla propria esistenza ormai completamente svuotata ed annichilita. Il cammino della donna nel corso delle varie vicende si verificherà però lungo ed arduo e non così scontato come potrebbe sembrare. Quest'ultima pellicola di Giorgio Diritti risulta molto suggestiva e non può che non fare riflettere sul tema dell'esistenza e del suo significato in generale, contrapposto anche ad una natura così presente ed immensa, e sul tema soprattutto del dolore e della miseria morale o meno umana con cui la protagonista viene a contatto. Una miseria umana, comunque, che, sia pure in forma diversa, la si può incontrare anche nella vita quotidiana delle città del mondo occidentale e non solo in quello lontano delle squallide favelas della città di Manaus. Ma qualsiasi tipo di incontro e scontro con un ambiente ed una società così lontani dalla nostra vita maggiormente più agiata può sicuramente aiutare, sembra voler dire il regista, a farci maggiormente riflettere, ma non sempre trovare una soluzione od una motivazione alla propria esistenza. Ed il finale aperto apportato al film sembra voler proprio sottolineare ed imprimere tutto ciò. Intensa ed efficace la recitazione di Jasmine Trinca nella parte della giovane donna profondamente in crisi.
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