Coinvolgente film di atmosfera che analizza il decorso psicologico di alcuni militanti ecologisti dopo aver compiuto un attentato dimostrativo, dove casualmente ci scappa il morto.
Chiunque abbia qualche esperienza di simili atmosfere non può che apprezzare la finezza analitica del regista e la recitazione di Peter Sarsgaard, uno delle rare autentiche promesse del cinema-polpettone statunitense. La lentezza del film, che per molti spettatori è fonte di comprensibile insofferenza, trasmette bene la pressione psicologica che, dopo l’azione, si impadronisce progressivamente degl’improvvisati attentatori destabilizzando le personalità più fragili, tantopiù quando come in questo caso essi non scelgano la via della clandestinità ma rientrino nei ranghi della normalità.
Si apre così un doppio registro che minuto dopo minuto toglie terreno sotto i piedi dei protagonisti, proprio a partire dalla una quotidianità che vede rovesciato il proprio consueto valore rassicuratorio. Il timore spasimodico per ogni automobile che ferma sotto casa e ogni sirena udita in lontananza; la consapevolezza dell'impossibilità di tornare indietro e del fatto che ogni domani sarà foriero di nuova trepidazione; gli sguardi di amici e colleghi che improvvisamente sembrano riempirsi di implicazioni minacciose; lo sforzo via via più arduo - e a sua volta destabilizzante - di nascondere la risultante patologia nervosa per non destare sospetti. Fino agli scrupoli di coscienza dell'unica ragazza partecipante, che non riesce a scrollarsi di dosso le fantasie umaniste inculcatele dall’ (in-) cultura dominante, e che destabilizza ulteriormente gli altri attentatori.
Purtroppo il film, attingendo anche al Dostojewskj dei ‘Demoni’ e ‘Delitto e castigo’, non è del tutto esente da una valutazione negativa dei protagonisti, anche se – sorprendentemente per una pellicola americana – non ha la volgarità di schiaffarla in prima pagina. La ricostruzione psicologica non si arresta alla constatazione dei parametri oggettivi della situazione, ma lascia intravedere, sia pure in controluce, una sorta di cogenza nel percorso disgregativo tracciato dall’anima oppressa dalla greve carico di aver leso la pregiata maestà di uno fra i sette miliardi di esemplari di bestiame umano stipati sul pianeta. Il dio giudaico, prima rarefattosi in quello cristiano e oggi secolarizzatosi nella religione laica dei diritti umani, continua a lanciare la propria ombra sui processi di autocomprensione e autorappresentazione dell'umanità europea.
Molto azzeccata la conclusione, che rimane fedele alla natura introspettiva del film evitando colpi di scena che reciderebbero il rovello del protagonista. Purtroppo gli avvenimenti immediatamente precedenti al finale vanno in direzione diametralmente opposta, e rappresentano una forzatura tanto inverosimile dal punto di vista psicologico e criminologico, quanto funzionale al filone psicoteologicizzante di cui si parlava sopra. Una brutta caduta di tono che per fortuna rimane isolata e non sottrae eccessivamente al valore di una pellicola originale e di sicuro spessore.
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