E' un romanzone metà sentimentale, metà giallo che tenta di nobilitarsi coll'aggancio alla crisi. Di fatto il tema crisi viene sviluppato solo nella prima parte, di gran lunga la migliore del film. Progressivamente prende il sopravvento il tema dell'insoddisfazione da parte della moglie, tema male articolato perché il regista non riesce a stabilire un legame plausibile fra crisi dell'azienda e crisi del matrimonio.
Non si capisce di cosa sia insoddisfatta la moglie, dato che dalle risposte date alla madre sembra condividere tutte le scelte di fondo del marito (il rifiuto dei soldi facili e dei metodi di finanza creativa che hanno devastato le economie dei Paesi ex-sviluppati), che segue i suoi principi con coerenza encomiabile ed avrà pure il diritto di essere un po' depresso se un'epoca di sfacelo gli impedisce di salvare con metodi onesti la propria azienda e il lavoro dei suoi operai.
Il finale ci offre il peggio del film con una serie di stereotipi filmici cuciti insieme nella migliore tradizione del polpettone televisivo di quart'ordine. La moglie sta per farsi l'amante ma all'ultimo momento rimane pura, il marito che uccide l'amante rigorosamente per errore, la moglie che scopre l'accaduto proprio quando la riconciliazione sembrava avvenuta e proprio durante la festa trionfale per celebrare la salvezza dell'azienda, le luci della polizia che sceglie di venire ad arrestarlo nell'istante esatto in cui la moglie fugge nauseata. Una caterva di scemenze già poco verosimili di per sé, che diventano grottesche grottesche nel loro incastrarsi perfettamente l'una nell'altra, aprezzabili soltanto dai poveri di spirito abituati alla fruizione dei mezzi di comunicazione di massa.
Peccato per un film che avrebbe potuto dare molto nell'analisi di una società allo sfascio, e che ha invece scelto - it's the business my dear - di risoversi in un puerile e improbabile giallone.
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laerte
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mercoledì 5 dicembre 2012
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troppo duro
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Il tuo commento mi sembra troppo duro. E' vero che l'insoddisfazione della moglie appare un po' come un punto debole, che non viene raccontato dal film. Nell'insieme però io penso che pur non essendo un capolavoro L'INDUSTRIALE merita sicuramente di essere visto. Sembra un film di altri tempi, e forse qualche ingenuità trapela, ma l'essenza è forte. Tocca molti temi, "il male dei soldi" fra tutti, lo spaesamento di oggi, l'essere e l'avere...
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robang
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mercoledì 4 febbraio 2015
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in parte concordo
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Sono diverse le perplessità sulla trama, non é assolutamente credibile la motivazione che spinge la moglie a tradire non tradire, così come il personaggio del garagista romantico, ne tanto meno la rimozione di un crimine così grave da parte di un individuo che sembra animato dalle più nobili ambizioni. Non sono d'accordo sulle critiche ad uno stile da fiction televisiva, in quanto, mi perdonino gli esegeti che non vogliono contaminarsi con nulla che abbia qualcosa di popolare, questo stile é forse l'unica nota valida del nostro panorama cinematografico e in questo Favino ed in parte la stessa Crescentini evidenziano una buona prova. Peccato, un occasione che se avesse cercato meno di sorprendere e più di raccontare avrebbe, al netto delle metafore, offerto una serie di spunti sui quali riflettere.
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arnaco
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giovedì 24 marzo 2016
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un povero di spirito
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Pur riconoscendone i limiti, ben messi in evidenza sia laerte che da robang, ho apprezzato il film e magari sarò anche un povero di spirito, ma le assicuro che non ho mai visto una fiction televisiva in vita mia, anzi mi rifiuto di vedere comunque la tv, compresi i programmi che persone che stimo mi dicono essere validi. Preferisco vedere film, qualche volta scrivo anche dei commenti, magari un po' dissacratori, ma non ho la pretesa di essere ne' un critico ne' un esperto.
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