lore64
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sabato 25 agosto 2012
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fiction di livello televisivo
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E' un romanzone metà sentimentale, metà giallo che tenta di nobilitarsi coll'aggancio alla crisi. Di fatto il tema crisi viene sviluppato solo nella prima parte, di gran lunga la migliore del film. Progressivamente prende il sopravvento il tema dell'insoddisfazione da parte della moglie, tema male articolato perché il regista non riesce a stabilire un legame plausibile fra crisi dell'azienda e crisi del matrimonio.
Non si capisce di cosa sia insoddisfatta la moglie, dato che dalle risposte date alla madre sembra condividere tutte le scelte di fondo del marito (il rifiuto dei soldi facili e dei metodi di finanza creativa che hanno devastato le economie dei Paesi ex-sviluppati), che segue i suoi principi con coerenza encomiabile ed avrà pure il diritto di essere un po' depresso se un'epoca di sfacelo gli impedisce di salvare con metodi onesti la propria azienda e il lavoro dei suoi operai.
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E' un romanzone metà sentimentale, metà giallo che tenta di nobilitarsi coll'aggancio alla crisi. Di fatto il tema crisi viene sviluppato solo nella prima parte, di gran lunga la migliore del film. Progressivamente prende il sopravvento il tema dell'insoddisfazione da parte della moglie, tema male articolato perché il regista non riesce a stabilire un legame plausibile fra crisi dell'azienda e crisi del matrimonio.
Non si capisce di cosa sia insoddisfatta la moglie, dato che dalle risposte date alla madre sembra condividere tutte le scelte di fondo del marito (il rifiuto dei soldi facili e dei metodi di finanza creativa che hanno devastato le economie dei Paesi ex-sviluppati), che segue i suoi principi con coerenza encomiabile ed avrà pure il diritto di essere un po' depresso se un'epoca di sfacelo gli impedisce di salvare con metodi onesti la propria azienda e il lavoro dei suoi operai.
Il finale ci offre il peggio del film con una serie di stereotipi filmici cuciti insieme nella migliore tradizione del polpettone televisivo di quart'ordine. La moglie sta per farsi l'amante ma all'ultimo momento rimane pura, il marito che uccide l'amante rigorosamente per errore, la moglie che scopre l'accaduto proprio quando la riconciliazione sembrava avvenuta e proprio durante la festa trionfale per celebrare la salvezza dell'azienda, le luci della polizia che sceglie di venire ad arrestarlo nell'istante esatto in cui la moglie fugge nauseata. Una caterva di scemenze già poco verosimili di per sé, che diventano grottesche grottesche nel loro incastrarsi perfettamente l'una nell'altra, aprezzabili soltanto dai poveri di spirito abituati alla fruizione dei mezzi di comunicazione di massa.
Peccato per un film che avrebbe potuto dare molto nell'analisi di una società allo sfascio, e che ha invece scelto - it's the business my dear - di risoversi in un puerile e improbabile giallone.
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antonio trimarco
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domenica 22 gennaio 2012
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in un italia senza speranza non si può che perdere
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Il bianco e nero che serpeggia a volte nei colori stinti di una bellissima fotografia ci accompagna nel cuore della crisi economica italiana, a Torino, una Torino grigia e decadente che fa da sfondo al dramma di un industriale, ma al dramma anche di un uomo e di sua moglie travolti entrambi nonostante l'amore.
Un uomo e una donna ricchi quarantenni e figli d'arte, industriale il padre di lui, imprenditrice la medre di lei. Un uomo e una donna che di fronte alla crisi economica dell'industria Ranieri si perdono.
E non sarebbe stato facile il contrario, il dolore difficilmente unisce.
L'inizio è neorealistico, Nicola Ranieri, l'industriale quarantenne che dirige la fabbrica di famiglia, si reca dal Direttore di una grande banca, ha bisogno di liquidità per poter rilanciare i propri prodotti.
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Il bianco e nero che serpeggia a volte nei colori stinti di una bellissima fotografia ci accompagna nel cuore della crisi economica italiana, a Torino, una Torino grigia e decadente che fa da sfondo al dramma di un industriale, ma al dramma anche di un uomo e di sua moglie travolti entrambi nonostante l'amore.
Un uomo e una donna ricchi quarantenni e figli d'arte, industriale il padre di lui, imprenditrice la medre di lei. Un uomo e una donna che di fronte alla crisi economica dell'industria Ranieri si perdono.
E non sarebbe stato facile il contrario, il dolore difficilmente unisce.
L'inizio è neorealistico, Nicola Ranieri, l'industriale quarantenne che dirige la fabbrica di famiglia, si reca dal Direttore di una grande banca, ha bisogno di liquidità per poter rilanciare i propri prodotti. Ma la situazione è tale che la banca non rileva le garanzie necessarie, come un grande avvoltoio, l'istituto bancario, nella figura di un glaciale direttore dice no, servono più garanzie. Nicola dovrebbe chiedere alla moglie e alla suocera aiuto in tal senso. Ma qui il dramma inizia, Nicola non vuole, cerca strade impossibili, sembra non disposto a guardare in faccia la crisi.
Non può deludere il suo padre interno (quello vero non vive più), non vuole ammettere che almeno alla moglie potrebbe chiedere, non ce la fa, si sentirebbe sminuito? Forse si, ma in questo il suo asset psicologico fa, purtroppo acqua, come i suoi asset proprietari, già troppo ipotecati.
Si aggrappa a vane speranze di un accordo con un gruppo tedesco, ma in realtà il problema è che non riesce a guardare fino in fondo alla crisi in cui la sua industria si trova.
Ma la paura c'è e così si sposta dall'industria alla propria moglie, perchè anche qui la crisi è forte, la moglie Laura più volte sia a lui che ad amici dice di non riconoscerlo più.
Il loro amore vacilla, ma nessuno tradisce veramente l'altro, ma il loro amore è ugualmente tradito. Nicola ormai in preda ad uno stato che un pò è panico un pò è rabbia perde completamente il senso della realtà e non riesce a ritrovarlo. Poi tutto sembra magicamente tornare a posto ... ma senza svelarvi il finale possiamo solo dire che un dramma è un dramma. Film triste che attraversa la malinconia attuale del nostro paese, da vedere se questo non vi intimorisce.
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filippo catani
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martedì 17 gennaio 2012
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l'industriale travolto dalla crisi
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Torino. Un ingegnere è a capo dell'azienda meccanica che fu già del padre e produce nuovi pannelli fotovoltaici. Il problema è che mancano gli ordini e il magazzino è ormai pieno di giacenze e la chiusura per fallimento è dietro l'angolo. L'unica ancora di salvezza sarebbe far entrare in società la moglie o la suocera che fanno parte di una famiglia ricchissima e spregiudicata. Naturalmente i problemi sul lavoro finiranno per scaricarsi sulla storia tra moglie e marito.
Niente male questa produzione italiana che ci mette davanti ad uno spaccato assolutamente attuale. Un piccolo imprenditore disposto a tutto pur di salvare l'azienda e i dipendenti ma anche per evitare di fare brutta figura sia con la famiglia della moglie e sia nel suo club privato.
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Torino. Un ingegnere è a capo dell'azienda meccanica che fu già del padre e produce nuovi pannelli fotovoltaici. Il problema è che mancano gli ordini e il magazzino è ormai pieno di giacenze e la chiusura per fallimento è dietro l'angolo. L'unica ancora di salvezza sarebbe far entrare in società la moglie o la suocera che fanno parte di una famiglia ricchissima e spregiudicata. Naturalmente i problemi sul lavoro finiranno per scaricarsi sulla storia tra moglie e marito.
Niente male questa produzione italiana che ci mette davanti ad uno spaccato assolutamente attuale. Un piccolo imprenditore disposto a tutto pur di salvare l'azienda e i dipendenti ma anche per evitare di fare brutta figura sia con la famiglia della moglie e sia nel suo club privato. Questo puntiglio finirà per trascinare l'uomo verso un baratro profondissimo e verso quella nebbia che pare non abbandonare mai la pellicola. Ottima l'interpretazione di Favino che riesce a trasmettere al personaggio autenticità e dramma. Un film da vedere e che si presta a molte riflessioni e quindi da non liquidare con superficialità.
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russtorm
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giovedì 6 febbraio 2014
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quando manca poco per essere eccellenti
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Peccato che il "poco" in questione sia la sceneggiatura. Scritta a quattro mani dallo stesso regista Giuliano Montaldo e Andrea Purgatori manca di chiarezza e riflessione, proprio quello su cui avrebbe dovuto fare leva un film con un tema del genere.
I due protagonisti, Laura (Carolina Crescentini) e Nicola (Pierfrancesco Favino) sono fidanzati(?) e vengono entrambi da famiglie benestanti. Nicola erede dell'azienda del padre (che a quanto pare non era un esempio di persona con molti scrupoli) si trova in gravi difficoltà economiche e non vuole scendere a compromessi sporchi per salvare la situazione, ma indìce una battaglia contro la crisi per restare onesto.
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Peccato che il "poco" in questione sia la sceneggiatura. Scritta a quattro mani dallo stesso regista Giuliano Montaldo e Andrea Purgatori manca di chiarezza e riflessione, proprio quello su cui avrebbe dovuto fare leva un film con un tema del genere.
I due protagonisti, Laura (Carolina Crescentini) e Nicola (Pierfrancesco Favino) sono fidanzati(?) e vengono entrambi da famiglie benestanti. Nicola erede dell'azienda del padre (che a quanto pare non era un esempio di persona con molti scrupoli) si trova in gravi difficoltà economiche e non vuole scendere a compromessi sporchi per salvare la situazione, ma indìce una battaglia contro la crisi per restare onesto.
In questo contesto si sviluppa una crisi di coppia che viene assolutamente data per scontata dalla sceneggiatura, e, in alcuni tratti resa pure controversa. Non c'è un motivo plausibile per cui Laura cominci ad allontanarsi dal marito visto che è quasi completamente d'accordo col suo modus operandi di uomo onesto, e soprattutto le vengono fatti assumere comportamenti contradditori maldistribuiti nella trama; come quando viene rappresentata sicura e fedele al punto da rifiutare fermamente le avance dell'affascinante corteggiatore rumeno per poi trovarcisi a frequentarlo abitualmente senza che nella trama vi sia stato quel "gradno" che abbia influito su questo suo cambiamento.
La fotografia è ottima, atmosfere permeate da un celestino-grigio che a volte quasi sfocia nel bianco e nero, come a voler dare lo stato d'animo che si prova in una giornata sempre uggiosa, di quelle che ti lasciano dentro casa prigioniero. Prigioniero come un imprenditore, attanagliato dai debiti e costretto a scegliere tra la sua tenuta morale e la salvezza economica.
Magistrali le interpretazioni di Pierfrancesco Favino e di Carolini Crescentini, assolutamente credibili e naturali.
La regia non smentisce la sua firma, Montaldo gestisce bene le inquadrature e le ambientazioni sono straordinarie.
Il film salva il finale ottimamente: Lui, che nel mentre ha risolto i problemi aziendali trovando un socio, in una collutazione ha ucciso per errore il ragazzo rumeno, ma la moglie lo scopre, e lo scopre proprio durante la festa che ha indetto in occasione del salvataggio finanziario. Lei lo mette in condizioni di scegliere se costituirsi o meno. A questo punto dovrà scegliere se rimanere onesto anche con l'azienda ormai salva, o da buon borghese nascondere l'uccisione di quello che in fondo è solo un immigrato venuto qua i ncerca di fortuna e mischiarsi alla festa scialaquona, che ha tra gli illustri invitati proprio quelli contro cui ha combattuto fino a quel momento. Una profonda riflessione.
Nonostante le gravi pecche non è assolutamente un film da sottovalutare.
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salvatore scaglia
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lunedì 16 luglio 2012
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le luci della ribalta di una società vuota
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Bel film, volutamente girato da Montaldo quasi in toni da bianco e nero, in una ripetuta alternanza tra la luce del giorno (quello del lavoro in fabbrica di Ranieri, con il suo pervicace tentativo di salvataggio della sua azienda) ed il buio della notte (quella dei presunti tradimenti di Laura, degli inseguimenti e degli appostamenti di lui). Ma persino la luce del giorno ha un che di cupo, metafora dell'oscurità che attraversa l'intera pellicola, a significare la crisi non solo economica, ma anche morale della nostra epoca. Il protagonista (Favino) si affanna nell'orgogliosa ricerca di soluzioni dignitose: rifiuta l'insistente aiuto della suocera e della moglie - Crescentini -, ma si vede chiuse le porte in faccia da banche e finanziarie.
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Bel film, volutamente girato da Montaldo quasi in toni da bianco e nero, in una ripetuta alternanza tra la luce del giorno (quello del lavoro in fabbrica di Ranieri, con il suo pervicace tentativo di salvataggio della sua azienda) ed il buio della notte (quella dei presunti tradimenti di Laura, degli inseguimenti e degli appostamenti di lui). Ma persino la luce del giorno ha un che di cupo, metafora dell'oscurità che attraversa l'intera pellicola, a significare la crisi non solo economica, ma anche morale della nostra epoca. Il protagonista (Favino) si affanna nell'orgogliosa ricerca di soluzioni dignitose: rifiuta l'insistente aiuto della suocera e della moglie - Crescentini -, ma si vede chiuse le porte in faccia da banche e finanziarie. Fino a quando, alla fine, con un colpo di genio recitatorio, pare averla avuta vinta sui tedeschi, interessati a rilevare solo una quota minoritaria dell'impresa. A questo punto un sorriso spontaneo prende lo spettatore, convinto che l'onesto atteggiamento di Ranieri, di ripulsa di qualsiasi compromesso, abbia trionfato. Ma nello scorcio della pellicola, la scena è completamente capovolta e chi guarda viene assalito dall'amarezza. Il finale, pur nel buio, illumina tutta l'opera: l'imprenditore che tenta di resistere alle lusinghe delle vie di mezzo, che un po' tutti gli suggeriscono, si ritrova addirittura omicida preterintenzionale: a dover scegliere tra le luci della ribalta, dei lampadari della festa in cui ipocritamente si agitano i comprimari di una società che ha la stessa consistenza etica e spirituale del vuoto, e le luci, che si intravedono a distanza, dei lampeggianti delle macchine della Polizia, venute a scortare i vip e forse a prelevare il protagonista. Che, kafkianamente, è, sì, responsabile dell'uccisione accidentale del damerino rumeno della moglie, ma che non è più colpevole degli altri, festanti, essendo rimasto vittima dei meccanismi di quello stesso mondo rispetto al quale intendeva distinguersi.
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karlito74
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mercoledì 25 gennaio 2012
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il neoralismo del xxi secolo
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Malinconico ed attuale ritratto dell'Italia di oggi, con una crisi economica che si ripercuote nelle relazioni familiari ed in quelle sociali. Bellissima fotografia che si intona alla perfezione con la trama del film e le vicende dei personaggi. Non c'è altro da aggiungere. Il cinema italiano che vorrei sempre vedere. Il botteghino non rende giustizia ad una pellicola di grande valore (e me ne dispiace a fronte di tanti cinepanettoni campioni d'incassi) che forse sarà adeguatamente valorizzata tra qualche decennio, quando l'oggi sarà storia. Non sono un critico cinematografico di professione, e quindi non so se quello che dico è appropriato, ma la sensazione è stata quella di trovarmi alla proiezione di un nuovo genere, il neorealismo del XXI secolo.
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Malinconico ed attuale ritratto dell'Italia di oggi, con una crisi economica che si ripercuote nelle relazioni familiari ed in quelle sociali. Bellissima fotografia che si intona alla perfezione con la trama del film e le vicende dei personaggi. Non c'è altro da aggiungere. Il cinema italiano che vorrei sempre vedere. Il botteghino non rende giustizia ad una pellicola di grande valore (e me ne dispiace a fronte di tanti cinepanettoni campioni d'incassi) che forse sarà adeguatamente valorizzata tra qualche decennio, quando l'oggi sarà storia. Non sono un critico cinematografico di professione, e quindi non so se quello che dico è appropriato, ma la sensazione è stata quella di trovarmi alla proiezione di un nuovo genere, il neorealismo del XXI secolo. Ai posteri la sentenza.
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