Drammatico,
durata 83 min.
- Italia 2013.
- Bim Distribuzione
uscita giovedì 29agosto 2013.
MYMONETROLa variabile umana
valutazione media:
2,53
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Milano. L’ispettore Monaco (Silvio Orlando) è rintanato da tempo nel suo ufficio. Ha perso la moglie e rifiuta qualsiasi contatto umano. Alla strada, in compagna dell'amico poliziotto Levi (Giuseppe Battiston), preferisce le carte e i faldoni della sua scrivania. Un omicidio però lo costringe a rimettersi in gioco. Una notte, la stessa notte in cui Linda (Alice Raffaelli), sua figlia, sbandata, viene pescata dai suoi colleghi con una pistola. Fatti pubblici e affetti privati si intrecciano. In gioco la sopravvivenza di due vite e un assassino da scoprire.
In un’intervista recente Bruno Oliviero, regista con trascorsi nel documentario, ha citato una frase di Eduardo De Filippo - “Se cerchi lo stile trovi la morte, se cerchi la vita trovi lo stile” - come suo manifesto di intenzioni nonché approccio per la scoperta della realtà.
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Milano. L’ispettore Monaco (Silvio Orlando) è rintanato da tempo nel suo ufficio. Ha perso la moglie e rifiuta qualsiasi contatto umano. Alla strada, in compagna dell'amico poliziotto Levi (Giuseppe Battiston), preferisce le carte e i faldoni della sua scrivania. Un omicidio però lo costringe a rimettersi in gioco. Una notte, la stessa notte in cui Linda (Alice Raffaelli), sua figlia, sbandata, viene pescata dai suoi colleghi con una pistola. Fatti pubblici e affetti privati si intrecciano. In gioco la sopravvivenza di due vite e un assassino da scoprire.
In un’intervista recente Bruno Oliviero, regista con trascorsi nel documentario, ha citato una frase di Eduardo De Filippo - “Se cerchi lo stile trovi la morte, se cerchi la vita trovi lo stile” - come suo manifesto di intenzioni nonché approccio per la scoperta della realtà. Con La variabile umana (2013), suo esordio nel cinema di finzione, quelle intenzioni rimangono tali. La realtà (dei fatti, dei sentimenti, dei personaggi) resta in ombra svilita dalla ricerca formale. Le pause narrative, necessarie per conferire il giusto respiro al racconto, diventano nello sguardo del regista delle occasioni per esercitare le sue velleità autoriali. Armato di flashback riempitivi, inquadrature sghembe, macchina a mano, sfocature, si abbandona a digressioni retoriche slegate dal flusso vitale del film. Sospensioni pretestuose del tempo della storia che dilatano oltre modo gli ottanta minuti del tempo del racconto. La coerenza tematica e stilistica è assente. L'esperienza cinematografica, quale attimo di verità in cui la macchina da presa e la realtà percepita si confondono e si assorbono a vicenda, non si palesa.
Il respiro si fa corto fino a spegnersi tra i rivoli di una sceneggiatura esigua. Preoccupata di sbrogliare le matasse emotive dei personaggi, trascura e banalizza i risvolti dell’intreccio investigativo. L’indecisione tra generi (melò, noir, poliziesco) si cronicizza: la sintesi è un miraggio. Una città, Milano, assiste stranita all’opacità dei personaggi che la abitano e allo sguardo che la attraversa.
Lasciati soli da un padre che divaga e si compiace, privi di un’idea forte di realtà, gli attori si arrangiano come possono. Alice Raffaelli, esordiente, tra tutti, avrebbe avuto bisogno di una guida e una mano sicura. Dignitosa finché silente, frana nei dialoghi (per tempi, intonazioni, pause) e non basta il soccorso di Silvio Orlando a sottrarla ad un’interpretazione della quale saranno entusiaste le unità cinofile della Polizia di Stato. Se Battiston è impalpabile, Silvio Orlando più che portare il disagio del personaggio, esprime tutta la solitudine dell’attore. Eroico si immola per sottrarsi alla pochezza del copione. Tra silenzi e grida, il suo sacrificio scomposto (non per sua colpa) anticipa una resa inevitabile. Lo spaesamento, per tutti, è servito.
Lo spettatore, orfano della "Verità della finzione" (Eduardo), guadagna mestamente l’uscita sulle note di Gianna Nannini con la sua "Tornerai" (?). No, grazie.
Nico Carrato
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(In collaborazione con Orietta Anibaldi)
Oltre l'Antonioni della trilogia sulla Milano borghese, noios'e annoiata, affetta da un'incomunicabilità parallel'alla pochezza delle cose da dire. "L'avventura" (1960), "La notte" (1961) e "L'eclisse" (1962), col loro pedante didascalismo ch'era già maniera, vengono spazzate via da uno sguardo che della metropoli coglie con pochi folgoranti guizzi gl'incolmabili vuoti e silenzi della sua "folla solitaria", quella che "vista dall'alto è fredda, quas'immobile, mentre dal basso è spudorat'e vivida nei colori". Il debutto nella fiction del documentarista Bruno Oliviero parte come un noir sull'"ennesima parabola di decadenz'e perversione" urbana e prosegue come un dramma familiare tra padr'e figlia, "ma si tratta di false piste, poiché quello ch'interessa verament'al regista è la storia del tracollo d'un uomo", la cui "Odissea" è rappresentativa della nostra crisi epocale.
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(In collaborazione con Orietta Anibaldi)
Oltre l'Antonioni della trilogia sulla Milano borghese, noios'e annoiata, affetta da un'incomunicabilità parallel'alla pochezza delle cose da dire. "L'avventura" (1960), "La notte" (1961) e "L'eclisse" (1962), col loro pedante didascalismo ch'era già maniera, vengono spazzate via da uno sguardo che della metropoli coglie con pochi folgoranti guizzi gl'incolmabili vuoti e silenzi della sua "folla solitaria", quella che "vista dall'alto è fredda, quas'immobile, mentre dal basso è spudorat'e vivida nei colori". Il debutto nella fiction del documentarista Bruno Oliviero parte come un noir sull'"ennesima parabola di decadenz'e perversione" urbana e prosegue come un dramma familiare tra padr'e figlia, "ma si tratta di false piste, poiché quello ch'interessa verament'al regista è la storia del tracollo d'un uomo", la cui "Odissea" è rappresentativa della nostra crisi epocale. "Resterebbe dunque deluso chi s'aspettasse un'indagine dal ritmo serrato, piena d'azion'e colpi di scena. L'inchiesta procede lenta, riflessiva, e ai movimentati carrelli e dolly esterni si sostituisce la macchin'a spalla che negl'interni scruta […] rinchiudendos'in spazi sempre più piccoli: la questura, un appartamento, una stanza d'albergo" e infine l'abitacolo d'un'automobile. L'ispettore Monaco [!] è prigioniero d'una perdit'assoluta ancor'irrisolta, metaforizzata dalla propria vedovanz'appen'accennata e dalla scen'ambientat'in chiesa, la minimalistica rarefazione d'atmosfer'e psicologismi serv'a eliminare ogni diversivo per concentrarsi sull'unico punto topico del film: lo stallo e l'impasse costanti del protagonista dovuti al venir meno postmoderno d'un purchessia criterio di discernimento. Non sa scegliere, non può più saperlo fare, e resta paralizzato davanti a qualunque decisione, annichilito, disorientato, res'inetto da un problema smisuratamente più grande di lui. Finale tragicament'apertissimo, con "la variabile umana" del tutt'imprevedibil'e fuori controllo. Esordio indimenticabile, 83 minuti di cinem'a livello dei miglior'autori francesi indipendenti dai "Cahiers". Incompreso, sottovalutato, snobbato? Sai che novità.
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...e la maschera non è quella di un noto e pregiudicato leader politico,bensí quella dolorosa e impassibile di Silvio Orlando, ispettore di polizia vedovo , che nemmeno riesce a perfezionare l'elaborazione del lutto, che viene precipitato nell'orrore più confuso e incomprensibile.Poco a poco si materializza , nella fine testa del detective,la ricostruzione di un mosaico alla quale nemmeno lui riesce a credere.In una Milano sbilenca e sfocata il poliziotto sprofonda nell'abisso dell'abiezione indagando sulla morte di un costruttore nel corso di un festino a base di minorenni e cocaina.Diviso tra una linea gerarchica che gli chiede discrezione e sobrietà e il suo istinto disincantato,Silvio prosegue la sua personale discesa agli inferi che lo condurrà all'atroce risveglio: il costruttore lo ha ucciso sua figlia ,servendosi della pistola d'ordinanza che lui stesso aveva lasciato incustodita in un cassetto.
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...e la maschera non è quella di un noto e pregiudicato leader politico,bensí quella dolorosa e impassibile di Silvio Orlando, ispettore di polizia vedovo , che nemmeno riesce a perfezionare l'elaborazione del lutto, che viene precipitato nell'orrore più confuso e incomprensibile.Poco a poco si materializza , nella fine testa del detective,la ricostruzione di un mosaico alla quale nemmeno lui riesce a credere.In una Milano sbilenca e sfocata il poliziotto sprofonda nell'abisso dell'abiezione indagando sulla morte di un costruttore nel corso di un festino a base di minorenni e cocaina.Diviso tra una linea gerarchica che gli chiede discrezione e sobrietà e il suo istinto disincantato,Silvio prosegue la sua personale discesa agli inferi che lo condurrà all'atroce risveglio: il costruttore lo ha ucciso sua figlia ,servendosi della pistola d'ordinanza che lui stesso aveva lasciato incustodita in un cassetto.La ragazza era stata adescata dall'uomo,cocainomane e pedofilo, fuori da una discoteca e per difendersi aveva usato l'arma del padre che aveva preso per una bravata tra amici.La progressione di questa personale via crucis termina con il dubbio che arrovella il detective, un onesto servitore dello stato, incerto sul da farsi, consegnare o no la figlia alla giustizia.Un film girato con poche risorse, qualche pretesa e molti, troppi e troppo veri, riferimenti alla vita reale e alla sua cruda verità.Restano una fotografia che fa dell'opaco sullo sfondo la sua cifra stilistica e dello sfocato un espediente per rimediare alla scarsitå delle scenografie, la faccia monumentale di Silvio Orlando, dolente e disperato, forse il miglior attore italiano del momento,Battiston che fa Battiston, e la title track di Gianna Nannini.Merita comunque di essere visto ,al giorno d'oggi in Italia si vede poco di meglio.
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Milano. Un noto imprenditore viene assassinato e i sospetti si concentrano immediatamente sulla moglie. A indagare sul delicato caso viene richiamato in servizio attivo un ispettore che si è volontariamente messo da parte dopo la scomparsa della moglie. Il quadro si complica quando la figlia dell'ispettore viene arrestata.
Il film gioca su diversi piani ma alla fine non riesce a trovare una propria identità. Infatti si passa dal noir al dramma esistenziale con puntate sui drammi familiari e la denuncia di un certo tipo di società milanese e non solo. Il tutto è narrato con ampi silenzi ma soprattutto con una terribile monotonia che sfocia quasi nella noia.
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Milano. Un noto imprenditore viene assassinato e i sospetti si concentrano immediatamente sulla moglie. A indagare sul delicato caso viene richiamato in servizio attivo un ispettore che si è volontariamente messo da parte dopo la scomparsa della moglie. Il quadro si complica quando la figlia dell'ispettore viene arrestata.
Il film gioca su diversi piani ma alla fine non riesce a trovare una propria identità. Infatti si passa dal noir al dramma esistenziale con puntate sui drammi familiari e la denuncia di un certo tipo di società milanese e non solo. Il tutto è narrato con ampi silenzi ma soprattutto con una terribile monotonia che sfocia quasi nella noia. A nulla può Silvio Orlando che regala una grande interpretazione nel ruolo del padre devastato dalla scomparsa della sua amata compagna e che però ha perso il contatto con la realtà lavorativa e familiare. Sinceramente è poi un vero peccato che ad un attore come Battiston sia stato ritagliato un ruolo poco più che marginale e ancora peggio va alla giovane Alice Raffaelli alle prese con un ruolo decisamente più grande di lei che finisce per schiacciarla. In tutto questo i buoni propositi del regista finiscono per naufragare. Troppa carne al fuoco per altro per un film dalla brevissima durata; probabilmente anche una scelta più oculata del cast avrebbe aiutato. [-]
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Che si fa, che succede se la responsabile di un delitto è la propria figlia diciassettenne? L’ucciso è un imprenditore noto in città, un certo Ullrich, per il quale il prefetto esprime “stima e affetto”, come si conviene ai morti importanti da parte di cariche importanti (ogni riferimento alla nostra società è puramente casuale), uno “molto attivo la notte”, che reclutava “lolite ambiziose” alla discoteca Odissea di Milano, le portava a casa sua, ben attrezzato di droghe e intenzionato ai piaceri che i suoi soldi compravano.
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Sì
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No
50%
Che si fa, che succede se la responsabile di un delitto è la propria figlia diciassettenne? L’ucciso è un imprenditore noto in città, un certo Ullrich, per il quale il prefetto esprime “stima e affetto”, come si conviene ai morti importanti da parte di cariche importanti (ogni riferimento alla nostra società è puramente casuale), uno “molto attivo la notte”, che reclutava “lolite ambiziose” alla discoteca Odissea di Milano, le portava a casa sua, ben attrezzato di droghe e intenzionato ai piaceri che i suoi soldi compravano. Nel dipanarsi dell’inchiesta sulla vita di costui, e su chi egli ha incontrato quella notte, si apprende dalla moglie (Sandra Ceccarelli) – si tratta di un’“elegante” coppia di separati in casa – che era ancora vivo quando lei è rientrata, ma che l’ha lasciato a terra a dissanguarsi, e che ha avvertito la polizia solo quando era morto. Si apprende pure che la moglie ormai non sentiva più dolore per quei passatempi dello stimato imprenditore, che si erano lasciati trasportare dalla mancanza di sentimenti e che da parte sua la stima per quell’uomo non esisteva da tempo.
Nelle nostre città dunque e in questi delitti è difficile – o forse troppo facile – dire chi è la vittima e chi veramente l’assassino. La 17enne è incidentalmente figlia dell’ispettore di polizia Monaco (Silvio Orlando), ma non vediamo il poliziotto, vediamo un papà rimasto vedovo, con la figlia che si perde un po’ per strada priva di attenzioni adulte, la cui madre lei vedeva soprattutto come una che “parla e giudica”, una ragazza che cercava una “notte brava” o con qualche esperienza particolare, e la pistola del padre era sempre lì, nel solito cassetto. “Questa città mi sembra cambiata” dice il poliziotto Monaco al collega-amico Levi (Battiston), ma è lui in realtà a non riconoscere più i ragazzi ogni tanto in cerca di sballo, sua figlia soprattutto, è come l’avesse perso di vista pure se abitano assieme.
In questa specie di thriller psicologico è la figlia Linda (Alice Raffaelli, credibile 17enne, per la prima volta sullo schermo) che “rivede” o ritrova suo papà, almeno ne capta le attenzioni, in tanti momenti se lo gode, ad esempio quando è in auto accanto a lui che guida e appoggiata sul cruscotto lo guarda. Milano scorre nei finestrini durante i numerosi spostamenti in auto, specie il suo cielo e suoi alberi. Il film non è banale, è un padre e una figlia, cosa volere di più, misurato come i gesti timidi di Orlando, non ci sono concessioni a spettacolarità poliziesche e tantomeno a “montalbanate”.
Dunque, che fare se la responsabile di un delitto è la propria figlia? Ciò che fa l’ispettore Monaco, la accompagna alla stazione di polizia ma non la sveglia ora che si è addormentata sul sedile posteriore, la aspetta ed è un momento tenerissimo: pure consegnandola alla giustizia – ma chi è vittima e chi carnefice? – “Tornerai perché perdersi non è possibile”, canta Gianna Nannini nella bella canzone di coda.
Film in cui si narra di un ispettore di polizia, interpretato da Silvio Orlando, notevolmente in crisi e disamorato dopo la morte della moglie e per il conseguente e difficile rapporto con la figlia, il quale deve svolgere l' indagine sull'omicidio di un uomo anziano, trovato morto in casa propria dalla moglie, al ritorno da una festa. Nel corso delle indagini, sino alla risoluzione del caso, l'ispettore dovrà affrontare così tante problematiche legate sia al lavoro da svolgere che, soprattutto, al suo ambito familiare tali da uscirne praticamente distrutto moralmente. La trama di questa pellicola che parte dall'indagine su di un'uccisione, in realtà costituisce solo un pretesto per raccontare le vere tematiche del film, e cioè la dilagante dissolutezza della società di oggi ed il difficile rapporto esistente tra tra un padre ed una figlia fortemente in crisi.
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Film in cui si narra di un ispettore di polizia, interpretato da Silvio Orlando, notevolmente in crisi e disamorato dopo la morte della moglie e per il conseguente e difficile rapporto con la figlia, il quale deve svolgere l' indagine sull'omicidio di un uomo anziano, trovato morto in casa propria dalla moglie, al ritorno da una festa. Nel corso delle indagini, sino alla risoluzione del caso, l'ispettore dovrà affrontare così tante problematiche legate sia al lavoro da svolgere che, soprattutto, al suo ambito familiare tali da uscirne praticamente distrutto moralmente. La trama di questa pellicola che parte dall'indagine su di un'uccisione, in realtà costituisce solo un pretesto per raccontare le vere tematiche del film, e cioè la dilagante dissolutezza della società di oggi ed il difficile rapporto esistente tra tra un padre ed una figlia fortemente in crisi. Un rapporto, appunto, alquanto straziato da entrambe le parti e molto difficile da ricostruire, non tanto per mancanza di volontà, ma di forza morale per affrontare le varie e numerose problematiche susseguenti. Al di là, appunto della trama assunta come pretesto e molto simile, inoltre, a quelle di altri films o sceneggiati del genere, il pregio dell'opera di Bruno Oliviero è determinato proprio dall'interpretazione, eccellente come sempre, di Silvio Orlando. Gli altri attori, da Giuseppe Battiston a Sandra Ceccarelli, risultano purtroppo solo di contorno. Da menzionare, invece, alla sua prima interpretazione, la giovane Alice Raffaelli, molto ben calata nel suo personaggio di ragazza sbandata e tormentata e pertanto molto credibile.
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[+] film in cui si narra (di angelo umana)[ - ] film in cui si narra
A. Pasterius: Un commento a “La variabile umana”, di Bruno Oliviero
Sappiamo bene come le opere prime rappresentino sempre un grande problema per l’autore. Infatti l’apparizione nella realtà dell’oggetto creativo reificato porta con sé un coacervo di fattori drammaticamente contraddittori.
“Sarò apprezzato? ma soprattutto la filosofia della costruzione cinematografica sarà compresa? Sarà un grande successo planetario ! Emergeranno nella coscienza dei fruitori i significati latenti che la pellicola contemporaneamente esprime e nasconde ? Riuscirò a farne un altro ? Temo un flop assoluto ! La mia poetica creativa potrà essere colta ? Ci farò un bel po’ di soldini ! Coglieranno - critica e pubblico - le mie difficoltà e le traversie di tutti i componenti di questa squadra che, per la prima volta assieme, hanno dovuto assieme affrontare?”
Questo tipo di pensieri (“Angosce di stile” li avrebbe definiti Giorgio Manganelli) potrebbe avvicinarsi al pensato del neoregista di ogni primo film e quindi anche alle oscillazioni del mondo interno di Bruno Oliviero, autore de “La variabile umana”.
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A. Pasterius: Un commento a “La variabile umana”, di Bruno Oliviero
Sappiamo bene come le opere prime rappresentino sempre un grande problema per l’autore. Infatti l’apparizione nella realtà dell’oggetto creativo reificato porta con sé un coacervo di fattori drammaticamente contraddittori.
“Sarò apprezzato? ma soprattutto la filosofia della costruzione cinematografica sarà compresa? Sarà un grande successo planetario ! Emergeranno nella coscienza dei fruitori i significati latenti che la pellicola contemporaneamente esprime e nasconde ? Riuscirò a farne un altro ? Temo un flop assoluto ! La mia poetica creativa potrà essere colta ? Ci farò un bel po’ di soldini ! Coglieranno - critica e pubblico - le mie difficoltà e le traversie di tutti i componenti di questa squadra che, per la prima volta assieme, hanno dovuto assieme affrontare?”
Questo tipo di pensieri (“Angosce di stile” li avrebbe definiti Giorgio Manganelli) potrebbe avvicinarsi al pensato del neoregista di ogni primo film e quindi anche alle oscillazioni del mondo interno di Bruno Oliviero, autore de “La variabile umana”.
Ma, in parallelo, la visione d’un’opera prima fa insorgere anche nel fruitore una serie di problemi di responsabilità e di non facile soluzione. Bisogna guardare agli eventuali pregi o alle possibili carenze, alla realtà o alle potenzialità, all’oggi o al futuro ?
Ci vorrebbe un grande equilibrio, un equilibrio difficile da raggiungersi, che dovrebbe essere in grado di contemperare una serie di valutazioni tra di loro opposte e difficilmente conciliabili.
Ma sappiamo bene quanto sia asssolutamente chimerico rincorrere “il giudizio perfetto” !
In queste situazioni ci si può affidare unicamente ad un’attenta valutazione della risposta emotiva che la visione dell’opera prima ha attivato in noi. In altre parole, per comprendere il film si deve ricorrere (come direbbe uno psicoanalista) alla lettura e alla decodificazione del nostro “controtranfert” di spettatore.
Il metodo, di ordine assolutamente affettivo e soggettivo (ma nell’arte moderna non esiste che la soggettività) risulta corretto qualora si consideri che il cinema - non meno della realtà e del sogno - altro non è che una grande fabbrica di emozioni
Ma, più in generale e detto in altro modo, un commento ad un film è più pertinente a chi lo scrive che all’oggetto che tenta di definire.
Trangugiate queste doverose note introduttive, passiamo allo specifico di questa interessante opera prima.
“La variabile umana” è un film sostanzialmente etico e umanamente attento a considerare con sguardo imparziale le vicissitudini morali della nostra epoca.
Questi travagli vengono descritti come “generazionali” in quanto appartenenti unicamente al protagonista, un Commissario di Polizia, peraltro assolutamente depresso.
La tematica tradizionale del conflitto tra bene e male è invece priva di presenza e di Senso per la meno che ventenne deuteragonista.
La qualità dell’esistere di questa inconsistente figura femminile è nettamente caratterizzata dall’assoluta assenza di ogni senso di colpa. E l’attrice che la interpreta, non produce da parte propria alcun compensatorio senso di polpa.
Ricco di ambizioni, opulento nell’insistita sottolineatura calligrafica dei particolari (ben inattinenti alle vicende d’un giallo dichiarato), dotato d’una fotografia a dir poco perfetta, questa “variabile umana”, va decisamente definita come un’elogio della lentezza (leggi staticità).
Il titolo è buono, ma dopo la visione del film, può venir fatto di pensare ad un alternativo “Un dramma della vedovanza” o anche, per essere più chiari, a “Padri e figlie”, con buona pace di Turgheniev.
La sceneggiatura - limpida, ma non priva di alcune valide astuzie concettuali - ha scelto come location una milanodistriscio e la sua periferia borghese, ristretta ad una modesta villetta unifamiliare.
Questi luoghi ospitano, oltre ai due protagonisti, padre e figlia, un ipotetico quanto improbabile orientale: compare a sprazzi nella tessitura della storia e partecipa per apparizioni alla parte certa delle vicende. Come a dimostrare che l’incomunicabilità non è imputabile alla babele delle lingue.
L’incipit della storia connette temporalmente e visivamente l’inizio delle indagini d’un delitto ad una “ragazzata” della giovanissima Linda, la figlia del Commissario. (Ed è subito chiaro che la ragazza non abbia alcuna connessione filiale con il ben più celebrato Mastro Lindo !).
L’accostamento tra le due scene, in nome della succitata limpidezza, decapita però le possibili e agognate indagini private dello spettatore. Che non potrà che attendere la soluzione già spiattellata dagli autori nei primi minuti di proiezione, confidando soltanto nella comodità della poltrona per trascorrere gli ottanta minuti residui della pellicola. (Durata totale del film: 83’)
Dunque, è una questione di tempo e di tempo inattivo: il tempo - e non già le bolsamente corrotte e prodromiche atmosfere delle discoteche milanesi - è il protagonista occulto di queste umane mutevolezze. Tanto da proporsi addirittura come titolo ulteriore, “Il tempo perduto”. (Se si entra nel gioco di massacro silenzioso, allora lo si può fare anche tramite l’involontario Proust)
Il casting ha visto giusto nella scelta del protagonista, il Commissario Monaco (evidentemente monaco agnostico di chiusura anche nella vita) interpretato da un ottimo Silvio Orlando, che si prende tutto il film sulle spalle, offrendosi allo sguardo degli spettatori come fosse il sosia d’un magnifico e ipotetico attore francese.
Ma non si può dire lo stesso per lo sfortunato Bruno Battiston che qui viene ampiamente sottoimpiegato, con danno evidente per il film e per gli spettatori che, a ragion veduta, lo apprezzano e lo amano.
La caduta del casting (o, meglio, il suo sprofondamento) è invece centrata dalla scelta dell’esordiente Alice Raffaelli quale copro-tagonista.
La giovane ballerina diviene qui un’attrice senza una faccia, ma sempre - docilmente - non credibile. Brava al contrario, e ben in parte, Sandra Ceccarelli, maestra nel suo ruolo.
I movimenti di macchina non posseggono alcun rapporto di qualsivoglia significato con le situazioni relazionali che riprendono. Le frequenti riprese dall’alto (come fossero tutte riprese da fotocamere di sorveglianza) risultano fuorvianti ma stucchevoli.
Manca dunque l’assimilazione delle invenzioni di ripresa d’un Tornatore, dove i movimenti di macchina non sono mai gratuiti ma anzi completano la scena filmica.
Il montaggio sembra rifarsi un po’ a quello tragicamente famoso di Mullholland Drive di Lynch: tagliuzza avanti e dietro, spezza e neoconnette la storia senza nulla aggiungere alla drammaticità del testo.
Sempre dalla parte dello spettatore, le emozioni partecipative sono raggrinzite ed anguste e vengono suscitate non tanto dal pathos del commissario quanto dalla sporca insensibilità di Linda (destino contraddetto d’un nome!) da tempo adusa alle proprie insensatezze.
Le musiche del film si fanno apprezzare per la loro quasi totale assenza; grazie a questo particolare tipo di presenza possiamo scoprire come le sottolineature o le sfumature o le anticipazioni delle colonne sonore possano, a volte, distrarre l’attenzione dello spettatore.
In conclusione, nonostante le facili critiche, non si può dire che “La variabile umana” sia un film raté; con il suo esordio, Bruno Oliviero ha senz’altro esagerato, ma ha saputo in ogni caso condurre a termine una sua prima esperienza, che certamente gli sarà preziosa per l’avvenire.
Quando abbandonerà le sue precedenti esperienze documentaristiche, il suo amore inconfessato per Antonioni e quando saprà imbrigliare la smisuratezza delle proprie forse involontarie ambizioni, potrà diventare davvero una bella speranza per il cinema italiano.
Dunque: ‘bbona la… seconda, forse.
30 agosto 2013 Antòn Pasterius [-]
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