zoom e controzoom
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venerdì 9 novembre 2012
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ghiaccio torbido
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I 155 minuti del film, trascorrono in un’atmosfera glaciale e come ambiente e come stato d’animo. Sacro e profano si fondano in un torbido che si annuncia già all’inizio, ma che rimane secondario e lieve rispetto alla più profonda tematica sulla quale si regge il film.
La fede come alternativa possibile ad una vita senza calore umano, è sottoposto qui a tutte le pieghe amare delle bassezze umane di chi frustrato, deluso, abbandonato dalla civiltà contemporanea come modalità di confronti autocritici, crede nella sofferenza come resurrezione e credito per il futuro nel bene. Non c’è nulla nella scenografia che dia un barlume di speranza, in un cambiamento dell’esistenza del momento: non un colore vivace, ne un’espressione sorridente nei volti, ne una frase allegra nel copione, o un gesto o un avvenimento.
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I 155 minuti del film, trascorrono in un’atmosfera glaciale e come ambiente e come stato d’animo. Sacro e profano si fondano in un torbido che si annuncia già all’inizio, ma che rimane secondario e lieve rispetto alla più profonda tematica sulla quale si regge il film.
La fede come alternativa possibile ad una vita senza calore umano, è sottoposto qui a tutte le pieghe amare delle bassezze umane di chi frustrato, deluso, abbandonato dalla civiltà contemporanea come modalità di confronti autocritici, crede nella sofferenza come resurrezione e credito per il futuro nel bene. Non c’è nulla nella scenografia che dia un barlume di speranza, in un cambiamento dell’esistenza del momento: non un colore vivace, ne un’espressione sorridente nei volti, ne una frase allegra nel copione, o un gesto o un avvenimento. L’ottusità caparbia di salvare l’unica cosa bella della vita, è affidata ad una ragazza dai lineamenti smussati, smorti, ma forse proprio questa sua ottusità di lineamenti e di comportamenti, è la forza che non le fa mai desistere dal cercare di ottenere la ricostruzione di un rapporto che dia il senso alla vita.
Se Voichita è ottusamente persistente e pronta a qualsiasi compromesso per ottenere quanto ricerca, così Alina, ormai già inserita nel contesto del monastero, persegue ottusamente il suo percorso altalenante tra dovere monasteriale e il non agire deciso in modo da spingere al suo destino allontanando l’amica Voichita. Anche Alina è ottusa e per questo ha scelto il rifugio del monastero, non ha coraggio, si nasconde dietro ad una scelta pur intuendo che non può abbracciarla totalmente. E’ questo il torbido ghiaccio che regge il film: l’ineluttabilità del suo procedere nonostante li dubbi che tutte le adepte hanno. Solo il “padre”, l’unico uomo alla guida del monastero, alla fine rivelerà più che cattiveria o maniacale ideologia religiosa, rivelerà ingenuità, vera o fasulla per l’occasione, non è dato da sapere anche se il guizzo della scena finale – dopo un tempo di attesa che mal coincide con i precedenti ritmi - è molto indicativo per la sua secca repentinità concettualità. Film intenso e non facile e magistrali interpreti le due ragazze. Le scenografie mantenute sui toni del nero e bianco, richiamano a volte la pittura naif per la composizione immersa sia nel paesaggio che negli interni; molto studiata la fotografia che spesso si distingue in due ordini le scene: in alcune contrappone ad uno sfondo sovraesposto - che annulla i particolari, lo sguardo che vada oltre - le figure già nere con i soggetti che appaiono ancor di più macchie nere senza forma mentre il viso che ne emerge è galleggiante su di un mare cupo, in altre accade viceversa: lo sfondo è predominate e viene cancellata la figura principale che rimane sì una macchia nera piatta e informe ma spesso perchè ripresa di schiena. Molto innovativo l'immettere l'affetto lesbico come imput, pretesto per la vera tematica che è poi quella di una fede, del suo essere motivo di pace o di drammi ancora esistenti in luoghi poco distanti dagli avvenimenti contemporanei in luoghi del mondo non del tutto isolati.
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taxidriver
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mercoledì 7 novembre 2012
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un'opera d'arte estetica e (auto)erotica
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E' difficile giudicare un'opera di questo spessore, un film che somiglia a una lunga ed estenuante pratica di autoerotismo mentale del regista, un viaggio psichico malato, e anche un tortuoso e torturante esercizio di stile. Difficile anche per il regista misurarsi con quest'opera, un atto di coraggio ma al tempo stesso uno sprofondamento in schemi stereotipizzati. Insomma, questo film potrebbe valere niente o tutto. Di sicuro, però, vale qualcosa: le scenografie dal taglio iperrealista e realizzate nei minimi dettagli, perchè qui i dettagli fanno più o meno la differenza, e non è cosa da poco. La fotografia è magnifica, claustrofobicamente intrisa di freddezza sia marmorea, quella del monastero, sia paesaggistica, quella della neve sulle colline.
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E' difficile giudicare un'opera di questo spessore, un film che somiglia a una lunga ed estenuante pratica di autoerotismo mentale del regista, un viaggio psichico malato, e anche un tortuoso e torturante esercizio di stile. Difficile anche per il regista misurarsi con quest'opera, un atto di coraggio ma al tempo stesso uno sprofondamento in schemi stereotipizzati. Insomma, questo film potrebbe valere niente o tutto. Di sicuro, però, vale qualcosa: le scenografie dal taglio iperrealista e realizzate nei minimi dettagli, perchè qui i dettagli fanno più o meno la differenza, e non è cosa da poco. La fotografia è magnifica, claustrofobicamente intrisa di freddezza sia marmorea, quella del monastero, sia paesaggistica, quella della neve sulle colline. I personaggi fanno il resto: il sacerdote ortodosso con tanto di barba lunga, un uomo che vive di dio e null'altro, le due ragazze; e la storia in fondo non è il fulcro del film, anche se affronta argomenti serissimi come la fede e quindi il senso stesso della vita. Ma non è la storia quello che conta; come in ogni opera d'arte, è la forma a fare la differenza rispetto al contenuto, o meglio a penetrare nel contenuto fino ad assorbirlo e renderlo quasi superfluo. Ciò che conta è il dettaglio, l'estetica. Questo è un film per amanti dell'estetica e dell'arte.
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fabrizio dividi
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lunedì 5 novembre 2012
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sulle metastasi del sistema
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Il cinema di Mungiu colpisce per la sua potenza espressiva fatta di inquadrature lunghe e ipnotiche e da una recitazione realistica dominata da dialoghi che diventano parossistici contraddittori. Dopo l'asciutto "4 mesi, 3 settimane e 2 giorni" e il sarcastico "Racconti dell'età dell'oro" il suo ultimo lavoro premiato a Cannes come migliore sceneggiatura e migliori attrici, compie un passo verso un cinema più spiccatamente europeo, meno intriso di gusto localistico e più incline a prerogative autoriali di grande respiro.
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Il cinema di Mungiu colpisce per la sua potenza espressiva fatta di inquadrature lunghe e ipnotiche e da una recitazione realistica dominata da dialoghi che diventano parossistici contraddittori. Dopo l'asciutto "4 mesi, 3 settimane e 2 giorni" e il sarcastico "Racconti dell'età dell'oro" il suo ultimo lavoro premiato a Cannes come migliore sceneggiatura e migliori attrici, compie un passo verso un cinema più spiccatamente europeo, meno intriso di gusto localistico e più incline a prerogative autoriali di grande respiro.
Una comunità ortodossa femminile guidata da un austero sacerdote ospita una laica, amica (vecchia compagna di orfanotrofio) di una delle monache del monastero. Le dinamiche tra le due e verso l'esterno sono distruttive e porteranno alla dissoluzione di un microcosmo votato, per sua natura, al rifiuto del mondo esterno ma che da questo mondo non ha nulla da imparare in materia di etica. È proprio questa la tesi, coraggiosa, onesta intellettualmente dobbiamo riconoscerlo, che supera la facile critica ad una struttura religiosa di stampo medievale e fondamentalmente priva di alcun senso sociale, con la sua totale chiusura alla modernità, le sue regole, i suoi metodi che puzzano di superstizioni e soprusi; la supera, dicevamo, facendoci intravedere la devastante realtà esterna, le istituzioni di uno Stato che si suppone laico e moderno per capirci, e nella fattispecie ospedali, questura e orfanotrofio, ma che in realtà non è in grado di sopperire alle carenze culturali e alle istanze sociali del Paese.
Nella clinica i malati vengono legati, dormono in due in un letto, in stanze simili alle celle del monastero, con le stesse icone alle pareti e gli stessi riti, più psico-magici (per dirla come Jodorowskj) che scientifici. Il medico è uno stregone che chiede preghiere in cambio di una ricetta e che pone domande intrise di inutile burocrazia. In questura, analogamente, l'automatica successione di domande si mescola a discorsi di superstizione che poco hanno anche fare con la auspicabile professionalità di un servitore dello Stato. Nell'orfanotrofio si perpetrano stupri, abusi di ogni genere e le poche adozioni sembrano piuttosto assunzioni di aiutanti domestiche che investimenti affettivi. E lo stesso monastero mescola il sacro (il misticismo, la preghiera, l'espiazione) al profano, simboleggiato dall'applicazione burocratica di regole (i 33 inchini alla madonna citano il numero che di solito è prerogativa dei medici), questionari (stimola il sorriso la geniale e ironica descrizione dei 400 peccati e più da spuntare dall'apposito quadernetto in una surreale ricostruzione di stampo almodovariano) e da esorcismi maldestri che rimandano ai periodi più oscuri del mondo occidentale.
Una chiesa intrisa di burocrazia e uno Stato pervaso da perniciosa religiosità: ecco le commistioni mortifere di una società allo sfascio che Mungiu riesce a descrivere con equilibrio e sagacia. Un film colto che si presta a letture complesse ma mai intellettualistiche, che non annoia e che colpisce per la sua lucida visione del mondo, anche se cinica e desolante. Fabrizio Dividi
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renato volpone
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sabato 3 novembre 2012
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oltre il nostro modo di pensare
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Oltrepassi le colline e ti trovi in un altro mondo, lasci dietro la città, le moderne comodità e ti ritrovi in un convento dove la vita è quella di secoli fa, niente luce elettrica, l’acqua viene raccolta dal pozzo, tanta fede e tanta superstizione. Voichita e Alina sono cresciute insieme in orfanotrofio, poi hanno scelto strade diverse, l’una all’estero a lavorare, l’altra nel convento. Alina torna per portare via con sé l’amica del cuore, un sentimento unico, forte, quasi morboso le lega, ma non ci riesce perché Voichita ormai ha donato l’anima a Dio e la sua cella è un rifugio contro i mali del mondo. Alina si ribella, si scontra con il Padre e la Madre della convivenza monastica, si fa odiare dalle altre suore, fino a diventare isterica e in preda a crisi convulsive.
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Oltrepassi le colline e ti trovi in un altro mondo, lasci dietro la città, le moderne comodità e ti ritrovi in un convento dove la vita è quella di secoli fa, niente luce elettrica, l’acqua viene raccolta dal pozzo, tanta fede e tanta superstizione. Voichita e Alina sono cresciute insieme in orfanotrofio, poi hanno scelto strade diverse, l’una all’estero a lavorare, l’altra nel convento. Alina torna per portare via con sé l’amica del cuore, un sentimento unico, forte, quasi morboso le lega, ma non ci riesce perché Voichita ormai ha donato l’anima a Dio e la sua cella è un rifugio contro i mali del mondo. Alina si ribella, si scontra con il Padre e la Madre della convivenza monastica, si fa odiare dalle altre suore, fino a diventare isterica e in preda a crisi convulsive. Una Romania vecchia, forse troppo rispetto ai nostri tempi, l’accoglie in un ospedale che crede più alla possessione demoniaca che a stati d’ansia emotivi, la famiglia adottiva dopo averne tratto ciò che poteva guadagnarne la rigetta. Alina è costretta in questa “guerra di poveri” a tornare nel convento, unico luogo ad aprirle ancora le porte, ma la spirale di ingenuità e arretratezza porterà ad un triste epilogo. E’ una storia molto lontana da noi, ma se ci guardiamo intorno la possiamo intravedere in ogni angolo di via, in ogni volto, in ogni atteggiamento di distacco e rifiuto. La povertà impera ancora e la società non fa nulla per costruire un sapere condiviso. Il film è molto lungo e lento, lento come il progresso che stenta a raggiungere traguardi nel futuro, lento come la religione che non riesce a stare al passo con i tempi, lento come la pigrizia di non andare oltre la collina per non incontrare difficoltà. E’ un grido doloroso, che ti entra dentro, un dolore che fa bene a chi si ostina a trattenere antichi retaggi nonostante tutto.
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melania
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sabato 3 novembre 2012
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ottimo film
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Nonostante sia molto lungo e si svolga soprattutto in un monastero,il film tiene desta l'attenzione fino alla fineDotato di un ritmo veloce e incalzante,presenta una trama interessante e originale,su cui c'è da riflettere molto.La chiesa presenta un duplice aspetto,di colpevolezza e buonafede,la vicenda delle due ragazze è estremamente coinvolgente.
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(di kimkiduk)
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flyanto
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giovedì 1 novembre 2012
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quando un'abnegazione religiosa porta ad esiti neg
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Film, basato su di un fatto vero di cronaca, sull' incontro tra due amiche dopo tanti anni e sulle loro scelte, discutibili o meno, di vita. Qui il regista affronta, come nel precedente "4 mesi, 3 settimane, 2 giorni" il tema della forte e solida amicizia femminile per poi passare a quello del fanatismo religioso e di come un'abnegazione totale nei confronti di un bene superiore e di un amore supremo, come quello verso Dio, possa portare soltanto ad esiti dannosi, seppur senza volontà propria. Un tema di condanna e deplorazione molto interessante ed importante ma purtroppo reso pesante dall' l'eccessiva lunghezza e ripetitività di alcune scene con cui il regista lo tratta.
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Film, basato su di un fatto vero di cronaca, sull' incontro tra due amiche dopo tanti anni e sulle loro scelte, discutibili o meno, di vita. Qui il regista affronta, come nel precedente "4 mesi, 3 settimane, 2 giorni" il tema della forte e solida amicizia femminile per poi passare a quello del fanatismo religioso e di come un'abnegazione totale nei confronti di un bene superiore e di un amore supremo, come quello verso Dio, possa portare soltanto ad esiti dannosi, seppur senza volontà propria. Un tema di condanna e deplorazione molto interessante ed importante ma purtroppo reso pesante dall' l'eccessiva lunghezza e ripetitività di alcune scene con cui il regista lo tratta. Se egli avesse risparmiato una ventina di minuti e se di conseguenza avesse condensato il contenuto, il film sarebbe risultato, seppur non all'altezza del precedente già nominato "4 mesi, 3 settimane, 2 giorni", sicuramente più apprezzabile. Peccato, un'occasione un pò sprecata!
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