gabriella
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domenica 7 settembre 2014
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notte fonda
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Quando la notte sopraggiunge improvvisa come ospite indesiderato e non si ha la forza necessaria di cacciarla via, bisognerebbe avere a fianco qualcuno in grado di sostenere , di aiutare, fosse anche solo un appoggio, un supporto psicologico , sarebbe meno duro affrontare le difficoltà che un nuovo stato, quale la maternità comporta inevitabilmente. Sembra innato e naturale nella donna essere madre, come se solo pensare di essere inadeguati al ruolo appare blasmeno. Il tema di maternità difficile sarebbe stato interessante se fosse stato approfondito come prometteva l'incipt del film, invece dopo mezzora viene mollato a favore di altre tematiche.Marina è una giovane mamma in vacanza con il figlioletto di quasi due anni in un paesino alle pendici del Monte Rosa.
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Quando la notte sopraggiunge improvvisa come ospite indesiderato e non si ha la forza necessaria di cacciarla via, bisognerebbe avere a fianco qualcuno in grado di sostenere , di aiutare, fosse anche solo un appoggio, un supporto psicologico , sarebbe meno duro affrontare le difficoltà che un nuovo stato, quale la maternità comporta inevitabilmente. Sembra innato e naturale nella donna essere madre, come se solo pensare di essere inadeguati al ruolo appare blasmeno. Il tema di maternità difficile sarebbe stato interessante se fosse stato approfondito come prometteva l'incipt del film, invece dopo mezzora viene mollato a favore di altre tematiche.Marina è una giovane mamma in vacanza con il figlioletto di quasi due anni in un paesino alle pendici del Monte Rosa. Trova alloggio in uno chalet, il piano di sotto è occupato da Manfred, scontrosa guida alpina con alle spalle una relazione tormentata e la scelta della compagna di andarsene con i figli. Il piccolo di Marina dorme poco o niente , dove il pianto diventa fastidiosa colonna sonora notturna. Una notte il bambino, lasciato a giocare da solo senza il controllo dell'esasperata madre, si ferisce cadendo a terra, viene soccorso da Manfred e portato in ospedale dove se la cava fortunatamente con qualche punto di sutura. Tra Manfred e Marina si stabilisce un rapporto ambiguo, dapprima indagatorio da parte dell'uomo che la vorrebbe mettere alle strette e conoscere la dinamica dell'incidente, far ammettere alla donna di essere una cattiva madre, ma è anche attratto da lei, ricambiato. E' qui che il film si ferma e snocciola una serie di ingenuità e di apostrofi rosa che ne inquinano la visione, rendono opaca la storia che finisce avvitata su sé stessa. Il ritorno in montagna a distanza di quindici anni di Marina, l'incrocio delle due funivie, la scena di sesso che sembra un servizio per il calendario Pirelli diventa insostenibile, così i due interpreti che si arrampicano non senza difficoltà in un ruolo che convince sempre meno , privi di appigli di ancoraggio, finiscono per precipitare. Rimane solamente la sensazione di un qualcosa di inconcluso, lasciato a metà. Peccato, perchè nonostante l'impianto fin troppo televisivo avrebbe potuto raccontare in maniera più approfondita, il lato oscuro della maternità.
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ralphscott
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mercoledì 3 settembre 2014
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non ci siamo
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Film debolino. Il materiale narrativo é interessante,ma lo sviluppo langue su ritmi lenti. Il dramma della donna risulta greve poiché reso tale da pianti continui ed irritanti del suo figliolo,senza che la figura materna venga approfondita. L'allestimento é davvero minimal e si respira aria più di fiction che di cinema. La natura rimane sottotono,mancano inquadrature che la rendano protagonista.
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rita branca
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venerdì 19 luglio 2013
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una verità troppo scomoda
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Quando la notte (2011) film diretto da Cristina Comencini e ispirato al suo romanzo, con Claudia Pandolfi e Filippo Timi.
Intenso, realistico, sincero e coraggioso film sulla drammatica difficoltà dell’esser madri, sulla distanza abnorme fra il viverlo nella dura quotidianità e l’esserlo nelle descrizioni letterarie. Il tema è quello di una giovane madre, Marina, con un bambino di circa 18 mesi che si reca in montagna, in una casa isolata per fargli cambiare aria. Il bambino è come molti, vivace e piagnucoloso, soprattutto di notte, per cui sfibra la sua pur amorevole madre.
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Quando la notte (2011) film diretto da Cristina Comencini e ispirato al suo romanzo, con Claudia Pandolfi e Filippo Timi.
Intenso, realistico, sincero e coraggioso film sulla drammatica difficoltà dell’esser madri, sulla distanza abnorme fra il viverlo nella dura quotidianità e l’esserlo nelle descrizioni letterarie. Il tema è quello di una giovane madre, Marina, con un bambino di circa 18 mesi che si reca in montagna, in una casa isolata per fargli cambiare aria. Il bambino è come molti, vivace e piagnucoloso, soprattutto di notte, per cui sfibra la sua pur amorevole madre.
Il padrone di casa, Manfred, assente tutto il giorno per il suo lavoro, schivo e burbero, ne subisce i pianti notturni senza protestare, avendo egli stesso vissuto un’infanzia felice ma interrotta dall’abbandono materno: caso analogo di madre che non ce l’ha fatta a sostenere il suo gravoso ruolo fino in fondo. E’ lui, che abbattendo la porta, sentiti prima i pianti disperati e ossessivi del bambino, la voce esausta e furiosa della donna, un tonfo e poi un preoccupante totale silenzio, una notte interviene in tempo per salvare il piccolo dalla furia materna diventata inarginabile. E’ chiaro che la donna gli ricorda sua madre e quindi prova per lei sentimenti conflittuali. Marina gli restituisce il favore chiamando i soccorsi, quando dopo una furibonda discussione con uno dei fratelli, lui si incammina di notte per la montagna, cade e rimane gravemente ferito. Si amano e si rivedono dopo 15 anni.
Il tema della maternità e del necessario sostegno che la donna dovrebbe avere dal partner è sottolineato ancora una volta dal racconto della cognata di Manfred, che invece descrive e rappresenta un esempio di maternità appagante, grazie alla condivisione psicologica col marito del peso genitoriale nella primissima infanzia.
Bravissimi i protagonisti
Film indicibilmente bello dalla prima all’ultima sequenza: un must per i giovani che si preparano a metter su famiglia.
Rita Branca
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sinopis
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venerdì 29 marzo 2013
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un dramma raccontato come un pettegolezzo
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Sotto l'immensa presenza del Monte Rosa tutti i fatti umani sembrano assumere poca importanza. Io credo che la Comencini , che ho visto lavorare durante molte riprese del film, si sia fatta dominare dalla grande e severa " Mamma Rosa" che non le ha concesso di rivelare tutto il dramma che una madre riesce a creare quando è portata ai limiti della sopportazione. Quando si frquentano le case e i cuori della gente di montagna è facile ricevere in dono il raccondo di una immensa sofferenza che ha condizionato tutta la loro vita, racconto che un giorno, dopo tanti altri fatti di parole convenzionali, improvvisamente scaturisce con semplicità e ci vuole un po' prima di rendersi conto della preziosità di quanto si sta ascoltando, di quale grande dolore quelle "normali" parole stanno svelando i perché.
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Sotto l'immensa presenza del Monte Rosa tutti i fatti umani sembrano assumere poca importanza. Io credo che la Comencini , che ho visto lavorare durante molte riprese del film, si sia fatta dominare dalla grande e severa " Mamma Rosa" che non le ha concesso di rivelare tutto il dramma che una madre riesce a creare quando è portata ai limiti della sopportazione. Quando si frquentano le case e i cuori della gente di montagna è facile ricevere in dono il raccondo di una immensa sofferenza che ha condizionato tutta la loro vita, racconto che un giorno, dopo tanti altri fatti di parole convenzionali, improvvisamente scaturisce con semplicità e ci vuole un po' prima di rendersi conto della preziosità di quanto si sta ascoltando, di quale grande dolore quelle "normali" parole stanno svelando i perché. Io voglio pensare che questo fosse l'intento della Comencini. Intento che è rimasto tale, forse perché non ha saputo trasmettere la "piccolezza" degli uomini sotto l'immensità della natura che a Macugnaga, dove il film è ambientato, è in chi sa volgere lo sguardo in alto. E alla fine il film annoia come il pettegolezzo. Pettegolezzo piccante, fatto di madri che evadono per un attimo o per sempre dal loro vincolo, fatto di vite date e tolte, di patologie irrisolvibili. Pettegolezzo che resta sempre tale e mai si eleva ad urlo.
Propendo nel pensare anch'io che ci volesse molto più coraggio per descrivere quanto invece il film tocca con sguadi troppo permeati da amore che mai ha avuto la necessità di evadere o da sguardi ancora troppo offuscati dalla leggerezza di una psicologia da salotto, sussurrata quando si fa piccante. Veramente insopportabile il pianto del bambino che effettivamente diventa esasperante e fa perdere la concentrazione portando a desiderare il silenzio. Silenzio però che, quando improvvisamente c'è ed accende quel pathos che si attendeva, è anche improvvisamente rotto dalla eccessive picconate necessarie ad aprire una porta. Si intuisce che quel picco vuol essere altro e la porta pure, ma non esiste disperazione. Tutti sanno come le madri possano essere fortemente psicogene nel loro offrirsi o nel loro sottrarsi ai figli e mi dispiace che l'indiscutibile sensibilità della Comencini e la professionalità degli attori non sia bastata a dare qualche risposta a questo tema. Forse nemmeno ha aperto interrogativi.
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toty bottalla
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lunedì 25 febbraio 2013
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forti emozioni in chiave leggera!
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L'idea di partenza: i figli abbandonati dalla madre, che in qualche modo determina il carattere di manfred, si diluisce nel film fino a scomparire, la storia sembra deviare in una passione d'amore poco convincente, la pandolfi è poco incisiva e timi perde fascino parlando, schivate le fasi chiave del racconto, buone le seconde linee, audio non impeccabile. Saluti.
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gianleo67
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sabato 16 febbraio 2013
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oscuri tormenti di una difficile maternità
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Marina alle prese con una difficile maternità, si trasferisce insieme al figlio di due anni presso una località montana del Piemonte per riprendersi da un grave esaurimento nervoso. Qui conosce Manfred, il suo padrone di casa, un uomo introverso in rotta con la moglie che fa la guida alpina ed è animato da una livorosa misoginia. Tra i due sulle prime diffidenti l'uno verso l'altro, si instaura un forte legame emotivo percorso da una sotterranea attrazione fisica e rinsaldato dagli eventi drammatici che li vedono protagonisti.
La Comencini adatta per l'occasione un suo romanzo di discreto successo per condurci negli oscuri meandri di una sensibilità femminile esasperata e dolente, incapace di elaborare con equilibrio e razionalità un sentimento ambivalente di odio-amore per la sua piccola creatura e nel conciliare il suo difficile status di madre e nutrice con quello piu' natuale di donna e amante, in un gioco di rimandi e di ricorsi in cui la sua storia personale si intreccia con quella complementare e antitetica del protagonista maschile, uomo indurito da un infanzia segnata dall'abbandono materno.
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Marina alle prese con una difficile maternità, si trasferisce insieme al figlio di due anni presso una località montana del Piemonte per riprendersi da un grave esaurimento nervoso. Qui conosce Manfred, il suo padrone di casa, un uomo introverso in rotta con la moglie che fa la guida alpina ed è animato da una livorosa misoginia. Tra i due sulle prime diffidenti l'uno verso l'altro, si instaura un forte legame emotivo percorso da una sotterranea attrazione fisica e rinsaldato dagli eventi drammatici che li vedono protagonisti.
La Comencini adatta per l'occasione un suo romanzo di discreto successo per condurci negli oscuri meandri di una sensibilità femminile esasperata e dolente, incapace di elaborare con equilibrio e razionalità un sentimento ambivalente di odio-amore per la sua piccola creatura e nel conciliare il suo difficile status di madre e nutrice con quello piu' natuale di donna e amante, in un gioco di rimandi e di ricorsi in cui la sua storia personale si intreccia con quella complementare e antitetica del protagonista maschile, uomo indurito da un infanzia segnata dall'abbandono materno. Quello che tuttavia può funzionare tra le pagine di un libro non sempre trova una credibile e adeguata rappresentazione in una dimensione artistica complessa come quella cinematografica, dove i livelli di lettura e cifratura psicologica e semantica non trovano una adeguata misura in una messa in scena dove ogni riferimento simbolico rischia di scadere nel ridicolo di una 'banalizzazione degli eventi', nella forzatura di un richiamo a sentimenti ed esperienze personali che si vorrebbero radicate sul terreno comune di una reciproca comprensibilità e che invece appaiono quali improbabili espedienti per un pretestuoso melodramma di algida lontananza. L'opera della Comencini (figlia d'arte di buon mestiere ma troppo spesso sopravvalutata) oscilla continuamente tra l'involuzione di un linguaggio che ambisce a sondare i lati oscuri dell'animo umano e la banalità di soluzioni narrative che condensano in stucchevoli ralenti ed evidenti passaggi a vuoto l'evoluzione di personaggi che rimangono figure bidimensionali sullo sfondo di un paesaggio da cartolina. Sommamente inadeguati anche i due attori principali (impegnati in una duplice eleborazione del lutto) ove alla irritante prestanza da burbero tenebroso di un balbettante Timi (omaccione grande e grosso che troppo spesso si presta al ruolo improbabile di fragile e autoritaria figura maschile) si alterna la civettuola interpretazione della graziosa Caludia Pandolfi meglio a suo agio nei ruoli leggeri e brillanti delle commedie di costume che in quello più serioso e impegnato di una madre border line. Il film sembra stiracchiarsi nel finale oltre la misura consentita per assecondare un finale consolatorio sugellato da una 'censurabile' scena di sesso patinato. Stucchevole.
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ebeni
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martedì 4 dicembre 2012
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tragedia con sesso finale
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Ho visto il film, non mi è piaciuto granchè, Timi,sempre più vincolato a questi parti di uomo travagliato, complice l'espressione inquieta del suo viso , è ripetitivo mentre la Pandolfi, pur brava, non mi è sembrato sia riuscita ad esprimere in pieno la gravità dell'atto commesso. Belle le riprese ed il contesto. Incapibile la prolungata scena di sesso finale, assolutamente slegata dalla logica del film; questa è una debolezza tipica della nostra filmografia, basti pensare alla scena di sesso tanto declamata fra la Ferrari e Moretti del tutto fuori luogo e lontana a mio parere dal personaggio del protagonista; è come se si volesse a tutti i costi descrivere nalla maniera più reale ed intima posssibile un passagio sessuale di un film, ritenendolo quasi necessario se non obbligatorio, quando risulturebbe, credo, molto più intenso un semplice accenno o un particolare o una espressione del viso , lasciando poi alla propria immaginazione il resto, come si usa ad esempio nel cinema francese.
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Ho visto il film, non mi è piaciuto granchè, Timi,sempre più vincolato a questi parti di uomo travagliato, complice l'espressione inquieta del suo viso , è ripetitivo mentre la Pandolfi, pur brava, non mi è sembrato sia riuscita ad esprimere in pieno la gravità dell'atto commesso. Belle le riprese ed il contesto. Incapibile la prolungata scena di sesso finale, assolutamente slegata dalla logica del film; questa è una debolezza tipica della nostra filmografia, basti pensare alla scena di sesso tanto declamata fra la Ferrari e Moretti del tutto fuori luogo e lontana a mio parere dal personaggio del protagonista; è come se si volesse a tutti i costi descrivere nalla maniera più reale ed intima posssibile un passagio sessuale di un film, ritenendolo quasi necessario se non obbligatorio, quando risulturebbe, credo, molto più intenso un semplice accenno o un particolare o una espressione del viso , lasciando poi alla propria immaginazione il resto, come si usa ad esempio nel cinema francese.
Questa è naturalemnte la mia opinione, ringrazio per la attenzione e cordialità
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picassa
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domenica 2 dicembre 2012
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toccante
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chi va in montagna d'estate può capire sicuramente meglio tante scelte insolite ma azzeccate della regista.
sono rimasta molto toccata dalla storia e dalla voluta freddezza che il film ti comunica
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polli75
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giovedì 29 novembre 2012
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insensibilità
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ma come si fa a ridere su un film che affronta tra i vari temi, quello cosi' serio e importante come la depressione post-partum??
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chiaretta11
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giovedì 29 novembre 2012
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precarietà dell'essere umano
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Premettendo che non ho letto il libro,visto ieri sera su Sky, devo dire che mi è piaciuto. Sarà che Filippo Timi è uno per me uno degli attori più bravi del nostro cinema , però ho trovato il film coinvolgente. Sicuramente angosciante, riesce a trasmettere il senso di precarietà e di incapacità di essere felice dell'essere umano. Le stesse montagne di cui non si vede mai la vetta, concorrono a creare l'atmosfera. Unica perplessità è il distacco netto tra la prima parte, in cui il tema centrale è l'indeguatezza di essere madre e la seconda parte legata più al rapporto tra la Pandolfi e Timi.
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