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Quando la notte, arriva il film che spacca il Lido

Il lavoro di Cristina Comencini accolto in sala da applausi e fischi.
di Ilaria Ravarino

L'arrivo al Lido del cast di Quando la notte di Cristina Comencini.
Filippo Timi (50 anni) 27 febbraio 1974, Perugia (Italia) - Pesci. Interpreta Manfred nel film di Cristina Comencini Quando la notte.

mercoledì 7 settembre 2011 - Incontri

Un’accoglienza turbolenta, un po’ da stadio, con tifoserie di colori diversi che in sala stamattina si sono scontrati con applausi e fischi sulla pelle di un film, Quando la notte di Cristina Comencini, che ha diviso e fatto discutere le umane categorie: donne contro uomini, perché per la regista «la maternità è un tema che le donne sono disposte ad affrontare, gli uomini un po’ meno», critici contro spettatori, perché «l’idea di abolire la proiezione riservata esclusivamente alla stampa – ha detto il produttore Riccardo Tozzi – ha permesso a un gruppetto sparuto di rovinare la visione a tutti gli altri», detrattori contro sostenitori, «perché il cinema è anche questo – ha detto la sceneggiatrice Doriana Leondeff – rispettare le opinioni degli altri». In sala a fine ottobre, in concorso, e con la partecipazione di Claudia Pandolfi e Filippo Timi, Quando la notte ha messo tutti d’accordo su una cosa: è il primo film italiano a spaccare, violentemente, il pubblico del Lido.

Nel suo film emerge un’idea di maternità poco rassicurante, anzi pericolosa: perché ha scelto di raccontare la storia di una madre apparentemente così fuori dal comune?
Cristina Comencini: Fuori dal comune? Le donne sanno benissimo cosa sia veramente la maternità: un legame che, talvolta, le può strozzare. Un sentimento forte, ma anche complicato: sotto al cappello dell’istinto materno finiscono davvero molte cose. La maternità è anche limitazione della propria libertà e acquisizione del rapporto con l’altro, temi che appartengono all’esperienza comune delle donne. Esistono bellissimi romanzi sull’argomento, che al cinema è un tema meno frequentato: questo è un film sull’ambivalenza dei sentimenti e sulla fatica che si fa per emergere dalle situazioni di solitudine. A completamento della risposta vorrei aggiungere che non è un film esclusivamente sulla maternità: un’altra cosa di cui non si parla mai, è che i bambini sono delle madri, ma anche dei padri. E in questo senso ho cercato di rimettere l’uomo al centro del rapporto tra madre e bambino.

Nella scelta di ambientare la storia in montagna, c’è un riferimento al caso di Cogne?
Comencini: Se c’è stato, non è stato intenzionale. L’idea di ambientarlo in montagna è nata dalla considerazione che tutte le mamme prima o poi si son sentite dire che “se il bambino non sta bene, devi portarlo in montagna”: ho immaginato la solitudine di una madre per un mese sola con il suo bimbo, nell’isolamento e nel silenzio. La montagna può essere durissima, sembra fatta per portare alla luce i problemi. Una madre in quella situazione vive un’esperienza di vita normale, e insieme terribile e straordinaria: ogni volta che riesce ad andare in bagno senza che suo figlio si ammazzi, beh è una piccola vittoria che ne fa un’eroina.

Claudia Pandolfi, da poco madre, come ha vissuto l’esperienza sul set?
Pandolfi: È stata un’esperienza travolgente, e lo dico da mamma. Questo sentimento l’ho vissuto sulla mia pelle. Mi chiedevo: dov’è il mio istinto materno, quello che riconosco alle altre? Nessuno ti insegna ad essere genitore, e l’esperienza è dura. Per me è stato un film molto intimo e difficile, per certi versi. Anche a me una volta è capitato di avere con mio figlio una reazione inappropriata, capita a tutti: e fare questo film, parlarne, è stato liberatorio. Tutti ti dicono: sei perfetta, ti si addice, e invece spesso non è così, non sei proprio preparata. Nel nostro paese matriarcale, una mamma ha il compito di allevare il proprio figlio: ma come puoi proteggere gli altri, se non sai proteggere te stesso?

È anche un film sull’assenza degli uomini?
Comencini: Credo che nel rapporto quotidiano tra uomo e donna, anche quando le persone si vogliono bene, forse un po’ d’assenza c’è. Non penso che l’uomo possa capire veramente cosa affronti la donna in maternità. Esserci significa esserci come padre, ma anche come essere che divide la madre dal bambino, che la stacca dal figlio.

Cescon e Pandolfi, due tipologie di madri e di donne molto diverse nel film....
Cescon: Il mio personaggio è tutto in una scena molto bella, quando lei, con la semplicità con cui affronta la vita, dice al personaggio di Claudia che senza un uomo accanto non avrebbe mai fatto tre figli. Un uomo che non dà per scontato quel che fai, un uomo che sa che sei madre, ma che ogni secondo che passa potresti anche aprire la porta e andartene.
Pandolfi: Le due donne sono meno diverse di quel che sembra. Hanno storie e uomini diversi, ma il senso di inadeguatezza è lo stesso.
Cescon: E poi a me poi piace molto questa accoglienza femminile, questa intesa fra loro due, la voglia di dirsi le cose che funzionano ma anche quelle che non funzionano.

Timi e Pandolfi, una coppia atipica: come avete lavorato?
Timi: Coppia atipica, dite? Non credo. Tra me e Claudia è scattata subito una forte appartenenza, abbiamo la stessa ruvidezza emotiva. Sapevo che se Cristina ci avesse presi, ci avrebbe presi insieme. La difficoltà vera è stata quella di tornare a casa, in albergo, là fra le montagne con tutti questi non detti interni che continuavano a lavorarti dentro...
Pandolfi: Per me sì, sono una coppia atipica. Sono due personaggi così opposti... lei sembra che abbia una famiglia che funzioni, lui invece ha un dramma che lo mette evidentemente a disagio.

Alcune battute del film suonano letterarie: perché questa scelta?
Comencini: In realtà nel film i personaggi parlano davvero poco, c’è un grande silenzio e sintesi nell’immagine. Quanto al libro, non ci sono battute ma monologhi interiori. Alcune battute sono emozionanti: non sempre ai festival l’emozione è accettata. Rispetto comunque il parere di ognuno.
Leondeff: Forse sarebbe stato tutto più semplice, e banale, se avessimo reso i dialoghi più naturalistici. Avremmo potuto farlo. Invece abbiamo scelto di ridurre all’osso le battute, per renderle più efficaci. Dal mio punto di vista la scommessa non era trasporre la trama di un bel romanzo, ma riprodurre una suggestione e farla passare attraverso uno stile secco, asciutto, nervoso. Per questo la strada che abbiamo scelto è stata quella della sottrazione.

Nei primi 40 minuti il film sembra quasi un horror: una scelta consapevole?
Comencini: Certamente. Per me il thriller nasce dalla vita quotidiana. C’è la pioggia, la solitudine, un bambino di due anni che piange e con il quale non puoi parlare. Questa situazione è già un thriller, all’80 %.

Il film è girato a Macugnaga: Come è nata la collaborazione con la Regione Piemonte?
Tozzi: Quando la notte era un film molto impegnativo dal punto di vista produttivo, e la scelta artistica di Cristina richiedeva la quiete di una montagna non rassicurante ma dura, forte e drammatica. Abbiamo scelto il Monte Rosa e ottenuto una risposta molto positiva dalla Regione.

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