vervain
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mercoledì 28 dicembre 2011
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da vedere di corsa
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Si,si,si!!! Finalmente un film "vero", senza storie assurde, strabilianti o sgangherate che siano. Finalmente facce e cuori di persone come noi, che si scontrano con la vita di tutti i giorni e che credono di capire, ma in realtà capiscono e conoscono ben poco della complessità di ciò che circonda tutti noi. Argomenti caldissimi, ma trattati con una grazia e un'eleganza davvero preziosi, perchè alla fine lo spettatore esca dalla sala con l'animo un po' rinfrancato: se si resta uomini, se non si ragiona per luoghi comuni, ci se la può fare! Che sollievo, dopo tutto il bombardamento mediatico che siamo costretti ad assorbire!!! Solo un consiglio: non fatevelo scappare questo film, perchè ho l'impressione che non resterà per molto nelle sale.
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giovanna
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domenica 18 dicembre 2011
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e' l'ora è l'ora i buoni son tornati!
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Il titolo non inganni, niente in comune con il film del 1952.
Si vuole invece evocare una vacanza esotica regalata rubata ritrovata rifiutata.
Sarà che di Jean-Pierre Darroussin/ Michel non se ne vedono molti in giro, neanche in questa ora estrema del tracollo della Patria, ma questo sindacalista con il vizio dell’onestà, che arriva a farsi licenziare in nome della giustizia, non regge e si presta fin troppo facilmente al sorriso, non sulle tematiche che affronta ma sulle soluzioni che propone.
Tratto dalla novella “Les pauvres gens” di Victor Hugo ( ah! ecco!!! ), il film conferma la discesa in picchiata nell’horror della new economy ove i contemporanei “miserabili”, epigoni di Jean Valejan, appaiono dei David senza neanche la fionda.
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Il titolo non inganni, niente in comune con il film del 1952.
Si vuole invece evocare una vacanza esotica regalata rubata ritrovata rifiutata.
Sarà che di Jean-Pierre Darroussin/ Michel non se ne vedono molti in giro, neanche in questa ora estrema del tracollo della Patria, ma questo sindacalista con il vizio dell’onestà, che arriva a farsi licenziare in nome della giustizia, non regge e si presta fin troppo facilmente al sorriso, non sulle tematiche che affronta ma sulle soluzioni che propone.
Tratto dalla novella “Les pauvres gens” di Victor Hugo ( ah! ecco!!! ), il film conferma la discesa in picchiata nell’horror della new economy ove i contemporanei “miserabili”, epigoni di Jean Valejan, appaiono dei David senza neanche la fionda.
Guédiguian si lancia, sia pure con tocco leggero, in un affresco di nuove miserie e schiavitù, che i suoi personaggi affrontano con la forza di valori per la verità molto in ribasso nell’odierna borsa antropologica, ma, a suo dire, fiorenti nel mondo operaio e sindacale : perdono e solidarietà.
La coppia protagonista, alla ricerca dell’equità sociale, in una solare Marsiglia, ingaggia una bella lotta a chi porge di più l’altra guancia: finiscono derubati picchiati umiliati.
Persino disoccupati, ma felici in nome della loro coerenza morale.
Jean-Pierre Darroussin e la sua fin troppo paziente moglie vivono sulla pelle il contrasto tra l’egoismo borghese dilagante anche nel loro microcosmo e la speranza di un mondo più giusto, sotto gli occhi disincantati di un moderno alquanto tollerante Janvier.
Il film, superato un veramente noiosissimo inizio, affastella mille problematiche e culmina con l’autocritica finale del sindacalista imborghesito supergarantito rispetto alle nuove generazioni, cui decide di perdonare anche l’imperdonabile.
Si segnala che Jean-Pierre Darroussin, nei panni di un lustrascarpe, si sta contemporaneamente prodigando sugli schermi, in Miracolo a Le Havre, a far passare la Manica al piccolo Idrissa, immigrato clandestino africano.
E’ l’ora, è l’ora, i buoni son tornati!
www.criticipercaso.it
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melandri
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venerdì 16 dicembre 2011
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da vedere.
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Ottimo film in bilico tra denuncia sociale e poesia(una certa analogia con il recente Kaurismaki di MIracolo a Le Havre per ambientazioni e tematiche vien spontanea).Siamo vicini anche ad un certo tipo di film "operaio" inglese al quale Ken Loach ci ha da tempo abituati.Qui si va a scavare più nel profondo dell'intimo umano.Cosa è più giusto e cosa meno,quanto contano gli ideali di una vita davanti alla cruda realtà dei giorni nostri,dove se si perde il lavoro ci si sente autorizzati ad andare a rubare perchè non si vedono più alternative tangibili per il proprio futuro.La contrapposizione tra l'età matura più legata agli ideali e l'età più giovane molto più vicina alle praticità dell'oggi.
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Ottimo film in bilico tra denuncia sociale e poesia(una certa analogia con il recente Kaurismaki di MIracolo a Le Havre per ambientazioni e tematiche vien spontanea).Siamo vicini anche ad un certo tipo di film "operaio" inglese al quale Ken Loach ci ha da tempo abituati.Qui si va a scavare più nel profondo dell'intimo umano.Cosa è più giusto e cosa meno,quanto contano gli ideali di una vita davanti alla cruda realtà dei giorni nostri,dove se si perde il lavoro ci si sente autorizzati ad andare a rubare perchè non si vedono più alternative tangibili per il proprio futuro.La contrapposizione tra l'età matura più legata agli ideali e l'età più giovane molto più vicina alle praticità dell'oggi.
Un film che mette sul tavolo molte tematiche ma che grazie ad un'ottima regia ed una sceneggiatura mai banale(non a casa ispirata da un racconto di Hugo)non si sfilaccia lungo il percorso.Da vedere.
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zoom e controzoom
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venerdì 9 dicembre 2011
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l'angoscia nel sorriso
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E' un film che meriterebbe molte discussioni andando a toccare argomenti attuali e per i quali ognuno potrebbe avere una sensibilità diversa. Nulla di eclatante nelle riprese che peraltro non hanno una sola sbavatura, le tonalità reali non sono usate oltre quello che devono mostrare; i personaggi hanno - come i film francesi hanno - le caratterizzazioni fisiche così reali che lo spettatore s'identifica e si trova immediatamente almeno in uno degli interpreti, ma..la leggerezza è però solo apparente, o meglio: c'è leggerezza perchè di sangue ce n'è poco ed esce dal naso di uno degli interpreti, ma leggero non è. Già dalla prima scena si viene posti nell'incubo sociale rappresentato dai problemi della mancanza del lavoro e contemporaneamente pesa, su ognuno dei personaggi, la responsabilità di vedere risolto il proprio problema a discapito dei compagni meno fortunati.
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E' un film che meriterebbe molte discussioni andando a toccare argomenti attuali e per i quali ognuno potrebbe avere una sensibilità diversa. Nulla di eclatante nelle riprese che peraltro non hanno una sola sbavatura, le tonalità reali non sono usate oltre quello che devono mostrare; i personaggi hanno - come i film francesi hanno - le caratterizzazioni fisiche così reali che lo spettatore s'identifica e si trova immediatamente almeno in uno degli interpreti, ma..la leggerezza è però solo apparente, o meglio: c'è leggerezza perchè di sangue ce n'è poco ed esce dal naso di uno degli interpreti, ma leggero non è. Già dalla prima scena si viene posti nell'incubo sociale rappresentato dai problemi della mancanza del lavoro e contemporaneamente pesa, su ognuno dei personaggi, la responsabilità di vedere risolto il proprio problema a discapito dei compagni meno fortunati. Da subito cioè compare la duplicità dei sentimenti : l'essere sollevati da un problema comporta il fatto che il problema ricade su di un altro. Gioia per se stessi e angoscia per i compagni: essere salvati come naufraghi dal mare, non vuol dire non pensare ai compagni che nel mare sono rimasti. Ecco il conflitto che sottende il film e che è attualissimo in quest'epoca contemporanea. Le soluzioni sono tutte plausibili, anche se non condivisibili, quindi un racconto molto realistico che non concede mai nulla agli estremismi, nemmeno "al cattivo" che quando si sfoga, dice cose reali, che non possono non pesare sulla coscienza di ognuno, ma sono dal punto di vista di una vittima del sistema globalizzazione/fame/benessere dove anche il cane mangia il cane.
L'unica concessione, l'unico tocco di fantasia, l'unica figura fuori dal coro, e pare entrata nella sceneggiatura uscendo da un altro film, è il giovane magico cameriere del bar che sa qual'è il desiderio di ognuno e glielo sa porgere senza che nessuno si senta preso in giro, nemmeno lo spettatore, che per un attimo si può rilassare.
Il lavoro (il regista), dato che è tratto da un'opera di Victor Hugo, mi chiedo se questo senso di miseria, edulcorato perchè trasportato ai tempi nostri, ha trovato quella soluzione finale ovattata, per restare in un'atmosfera ottocentesca oppure ha rifiutato una soluzione contemporanea coerentemente con l'età in cui è situato, consapevolmente, per non creare disarmonia con una soluzione in parte più violenta e molto più reale.
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emanuele 1968
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venerdì 9 dicembre 2011
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molto bello
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Bellissimo, mi ha tratto un pò in inganno il trailer, nel senso che mi sembrava molto più dedicato al dramma del lavoro; comunque la trama del film è ricca di spunti e riflessioni di approfondimento su varie tematiche che vengono trattate. Adatto ad un pubblico raffinato, over 35.
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brian77
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lunedì 5 dicembre 2011
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film su persone concrete, non su problemi astratti
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Spiace vedere così pochi commenti. Forse molti spettatori sono rimasti impauriti dal leggere che si tratta della storia di un sindacalista, e temevano un film moralista. E invece no: è un film su delle persone, molto umano, molto leggero e ironico anche nel trattare argomenti assolutamente seri. Forse l'avere personaggi adulti alle prese con problemi adulti mette in fuga il pubblico under-40: ma è un peccato, perché è un bel film. E Darroussin è grande come sempre. Una stelletta in più perché film così sono piuttosto rari.
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flyanto
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lunedì 5 dicembre 2011
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la solidarietà e la coesione come ingredienti del
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Film liberamente ispirato al racconto "Les pauvres gens" di Victor Hugo in cui la quotidiana e serena (nonostante il di lui licenziamento) vita di una coppia di coniugi ormai vicini alla pensione viene stravolta da una rapina causata da un giovane ex-collega dell'uomo, anch'egli licenziato. In una maniera delicata e sensibile, come si ritrova spesso nei films francesi, il film diventa l 'occasione di per una riflessione sul tema del perdono, della solidarietà e dell'onestà. Perfettamente amalgamati tutti i protagonisti della vicenda. A mio parere, un piccolo gioiello.
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errebi7
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domenica 4 dicembre 2011
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c'è bisogno di ottimismo.
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C'è tanto bisogno di ottimismo in giro... Guediguian risponde con questo "Le nevi del Kilimangiaro", esplorando e ponendo domande sul lavoro, il sindacato, i rapporti tra le generazioni, la famiglia, l'amicizia. Nel mondo della globalizzazione occorre recuperare la solidarietà tra le persone come terapia alle devastazioni conseguenti ai fallimenti del mercato ed alla "insufficienza" dei corpi intermedi... Film commovente e in sorprendente coincidenza di sentimenti con il contemporaneo "Miracolo a Le Havre" di Kaurismaki.
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C'è tanto bisogno di ottimismo in giro... Guediguian risponde con questo "Le nevi del Kilimangiaro", esplorando e ponendo domande sul lavoro, il sindacato, i rapporti tra le generazioni, la famiglia, l'amicizia. Nel mondo della globalizzazione occorre recuperare la solidarietà tra le persone come terapia alle devastazioni conseguenti ai fallimenti del mercato ed alla "insufficienza" dei corpi intermedi... Film commovente e in sorprendente coincidenza di sentimenti con il contemporaneo "Miracolo a Le Havre" di Kaurismaki.
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pepito1948
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giovedì 16 giugno 2011
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dramma e leggerezza
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“Le nevi del Kilimangiaro/sono un bianco mantello/ sotto cui potrai dormire”. Sono pressappoco queste le parole del ritornello di una canzone canticchiata insieme all’originale da parenti ed amici di Michel in occasione della festa di un anniversario di nozze, in cui il festeggiato riceve in omaggio, oltre a soldi, appunto due biglietti per una vacanza in Africa.
Michel è stato appena licenziato dopo un’estrazione a sorte tra gli operai di una fabbrica, cui lui stesso ha voluto partecipare (pur potendolo evitare come delegato sindacale) La vita da pensionato, anche se tra qualche frustrazione ed un po’ di nostalgia, scorre agevolmente grazie ad una famiglia armoniosa, in particolare una moglie che ama e che lo ama profondamente; ha un tenore di vita di tutto rispetto, una casa confortevole, un amico d’infanzia, ex collega sfuggito alla mannaia della disoccupazione, con cui condivide idee ed emozioni.
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“Le nevi del Kilimangiaro/sono un bianco mantello/ sotto cui potrai dormire”. Sono pressappoco queste le parole del ritornello di una canzone canticchiata insieme all’originale da parenti ed amici di Michel in occasione della festa di un anniversario di nozze, in cui il festeggiato riceve in omaggio, oltre a soldi, appunto due biglietti per una vacanza in Africa.
Michel è stato appena licenziato dopo un’estrazione a sorte tra gli operai di una fabbrica, cui lui stesso ha voluto partecipare (pur potendolo evitare come delegato sindacale) La vita da pensionato, anche se tra qualche frustrazione ed un po’ di nostalgia, scorre agevolmente grazie ad una famiglia armoniosa, in particolare una moglie che ama e che lo ama profondamente; ha un tenore di vita di tutto rispetto, una casa confortevole, un amico d’infanzia, ex collega sfuggito alla mannaia della disoccupazione, con cui condivide idee ed emozioni. Tutto quello insomma che serve per superare lo shock dell’improvvisa perdita del lavoro. Ma un terribile evento –una rapina nella sua casa, alla presenza sua e di alcuni familiari- - ne sconvolge la vita e determina la perdita di quel gruzzolo (denaro e biglietti) faticosamente raggranellato dai suoi.
Michel e la moglie non sono tipi da arrendersi, reagiscono, interpellano e collaborano con la Pubblica Sicurezza, ma al contempo decidono separatamente di indagare. La curiosità, la voglia di sapere il perché di tanta ferocia e proprio verso di loro, la magnanimità innata che li contraddistingue li porteranno ad individuare il principale colpevole e, messi da parte pregiudizio, rancore e vendetta, li indurranno, sia pure dopo iniziative assunte separatamente, a fare delle scelte improntate alla solidarietà ed al coraggio, nonostante l’iniziale dissenso dei familiari e degli amici. Anche la refurtiva verrà recuperata, ma impiegata in senso conforme al nuovo spontaneo orientamento filantropico. Il viaggio può aspettare.
Il regista R. Guediguian, che si è ispirato ad un’opera di Victor Hugo, affronta una vicenda piena di temi “pesanti” come la disoccupazione ed il conseguente pericolo della perdita della dignità, l’identità di classe (siamo ancora operai o siamo diventati borghesi?, si chiedono dubbiosi i due, guardandosi dal di fuori come se fossero ciò che erano trent’anni fa), l’amore coniugale dopo tanti anni di convivenza, la violenza subita, la solidarietà sociale, gli imperativi etici, l’amicizia, tutti elementi tipici di una storia drammatica, che tuttavia, come dalla migliore cinematografia francese, viene raccontata con soavità, leggerezza e piacevole scorrevolezza che richiamano piuttosto i toni e le atmosfere di una commedia a forte contenuto sociale.
Ma è il risvolto etico che si impone e coinvolge: l’attempata coppia di “proletari”, dal vissuto intriso di tanta fatica e poche realizzazioni in ambito lavorativo, è corroborata dopo tanti anni di matrimonio da un grande amore pieno di complicità, capacità di intesa ed attenzione verso gli altri, che siano familiari o amici bisognosi di affetto o semplici sconosciuti in difficoltà (vengono spontaneamente in mente, fatte le debite differenze, i coniugi scialbi e bruttini ma graniticamente uniti ed aperti al prossimo di Another Year). Se chi ti ha fatto del male, ti ha usato violenza, ti ha fratturato un braccio, ti ha rubato i mezzi per realizzare un grande sogno (un viaggio nella lontana Africa) si dibatte in gravi difficoltà proprie e di altre persone innocenti, agli occhi di Michel e sua moglie è scontata la metamorfosi da carnefice a vittima e come tale è loro dovere adoperarsi per fornirgli il massimo aiuto; non esistono resistenze di tipo emotivo e preclusioni pregiudiziali che possano fiaccare l’imperativo morale di offrire tutta la propria fattiva disponibilità, soprattutto se il colpevole è giovanissimo, ha una famiglia di provenienza disastrata, ha qualcuno cui provvedere, non ha agito solo per il piacere di far del male. E’ la riaffermazione di un valore, la cui perdita è causa prevalente della galoppante aridità sociale: la solidarietà verso i deboli, gli emarginati, gli sfortunati. Ed è interessante e toccante che i due, a riprova della loro statura morale e della loro sintonia, effettuino lo stesso percorso mentale ed emotivo giungendo all’insaputa l’uno dell’altro alle stesse nobili conclusioni, e quindi alle stesse decisioni, non prive di risvolti complicati che però sapranno far accettare alla famiglia con la saggezza e la tenacia di amorevoli genitori.
Un’ultima notazione sui due protagonisti, già utilizzati dal regista in altre occasioni; splendidi attori, dall’aspetto dimesso e dalla figura di uomo/donna “qualsiasi”, perfettamente a pieno agio nello interpretare ruoli di gente comune, in una vicenda fatta di accadimenti, gesti, movimenti mentali, insomma di vissuti tratti dalla quotidianità ma straboccanti di ricchezza umana da cui tutti abbiamo molto da imparare. Soprattutto noi “borghesi”.
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