sergio dal maso
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sabato 27 giugno 2015
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il valore della solidarietà
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“Il coraggio è dominare i propri errori, soffrirne ma senza venirne schiacciati e proseguire il proprio cammino.
Il coraggio è amare la vita e guardare la morte con occhi tranquilli, è ricercare l’ideale cercando di capire il reale …”
Jean Jaurés (Discorso ai giovani, 1903)
Il coraggio di certo non manca al cinquantenne Michel, operaio portuale e stimato sindacalista marsigliese.
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“Il coraggio è dominare i propri errori, soffrirne ma senza venirne schiacciati e proseguire il proprio cammino.
Il coraggio è amare la vita e guardare la morte con occhi tranquilli, è ricercare l’ideale cercando di capire il reale …”
Jean Jaurés (Discorso ai giovani, 1903)
Il coraggio di certo non manca al cinquantenne Michel, operaio portuale e stimato sindacalista marsigliese.
Anche se non ne è obbligato non esita a inserire il proprio nome nella lista da cui verranno estratti a sorte venti lavoratori da licenziare a causa della grave crisi in cui versa il cantiere navale. Il ritrovarsi all’improvviso
disoccupato per Michel è un colpo duro ma non drammatico. Trent’anni di lotte sindacali all’insegna della giustizia sociale e della solidarietà operaia gli danno la forza per affrontare la nuova condizione con grande dignità e serenità. Se nel lavoro la figura di riferimento che ha accompagnato la sua formazione è il padre del socialismo francese Jean Jaurés, spesso citato, l’altra colonna della sua vita è rappresentata dall’amata moglie Marie Claire, dai due figli e dai nipoti che adora. Nell’anniversario dei trent’anni di matrimonio la famiglia, i compagni di lavoro e gli amici si stringono attorno alla coppia e con una colletta regalano loro il viaggio sognato per tutta la vita, in Tanzania alle pendici del Kilimangiaro. La felicità di Michel e Marie Claire sembra ritrovata, scandita da lavoretti occasionali, dalle grigliate festive e dall’affetto dei nipoti. Un altro evento imprevisto, però, travolge la tranquillità dei due coniugi, e questa volta il trauma è veramente forte. Una sera due rapinatori incappucciati entrano in casa con le pistole in pugno, picchiano e umiliano Michel, legano marito e moglie e i due cognati con cui stavano giocando a carte e li rapinano dei loro beni, tra cui i soldi per il viaggio in Africa, obiettivo evidente della rapina. Ma il vero shock non è legato all’atto criminale, seppur violento e brutale, quanto alla casuale scoperta, pochi giorni dopo, che uno dei rapinatori è un ex-operaio del cantiere, uno dei ragazzi più giovani tra i venti operai rimasti disoccupati per il fatale sorteggio. Tormentato dal dubbio se denunciarlo o meno, specialmente dopo aver scoperto che Christophe si prende cura da solo dei due fratellini, Michel decide di rispettare la legge, lo denuncia e lo fa arrestare. Il mondo in cui credeva, però, gli crolla addosso.
La solidarietà e i valori per cui ha lottato per tutta la vita vacillano, i sensi di colpa lo dilaniano. Non gli basta la giustizia legislativa, per uscire dal senso di frustrazione e di impotenza in cui si trova vuole e deve capire. Nel tentativo di comprendere e di ricostruire la vicenda Michel e Marie Claire compiono un percorso “catartico”, un viaggio interiore in cui si confrontano sul senso e sul valore autentico del perdono, riuscendo a riaffermare, nel bellissimo finale, non tanto la solidarietà sindacale o di classe, oramai scomparse, quanto la solidarietà intima e personale vissuta quotidianamente con azioni concrete.
Ispirato dal poema di Victor Hugo Les pauvres gens (La povera gente), il regista francese Robert Guédiguian con Le nevi del Kilimangiaro è tornato a girare un film nella sua Marsiglia, realizzando una commedia sociale con i temi che da sempre caratterizzano il suo cinema : il proletariato e le classi disagiate.
Il tocco di Guédiguian, però, non è cupo né eccessivamente drammatico, Le nevi del Kilimangiaro è piuttosto una commedia neo-realista, intensa e convincente. Parla di idealità senza scadere mai nella retorica, della crisi economica e del conflitto generazionale senza banalizzare o semplificarne i contenuti.
Merito prima di tutto di personaggi “veri”, autentici, con facce credibili, interpretati da ottimi attori come Jean Pierre Darroussin e Ariane Ascaride. Anche il rapinatore Christophe non è un personaggio del tutto negativo, pur con disprezzo e cinismo quando si confronta con Michel non dice cose sbagliate, le sue parole e il suo odio riescono a fare comprendere a Michel la distanza tra il suo mondo e quello delle nuove generazioni.
La frattura generazionale non risparmia nemmeno i figli di Michel, seppur cresciuti con l’esempio del padre e con una buona posizione sociale appaiono ripiegati nel loro “privato” e non comprendono il bisogno dei genitori di relazionarsi attivamente con la società.
Con una sceneggiatura articolata e ben costruita Le nevi del Kilimangiaro affronta tematiche attualissime e offre molti spunti di riflessione, sulla crisi del mondo del lavoro, sulla perdita dei diritti conquistati in decenni di lotte sindacali, sullo smarrimento della generazione dei padri che non sa capire quella dei figli.
In quest’epoca di rassegnazione e disillusione quello che tormenta Michel e Marie Claire è il bisogno di capire. Comprendere se ciò per cui hanno lottato per tanti anni abbia ancora senso o meno. La loro risposta, commovente e non priva di speranza è ricominciare dalla solidarietà, soluzione valida tanto nella società odierna quanto nella Francia della povera gente di Victor Hugo.
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zoom e controzoom
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venerdì 9 dicembre 2011
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l'angoscia nel sorriso
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E' un film che meriterebbe molte discussioni andando a toccare argomenti attuali e per i quali ognuno potrebbe avere una sensibilità diversa. Nulla di eclatante nelle riprese che peraltro non hanno una sola sbavatura, le tonalità reali non sono usate oltre quello che devono mostrare; i personaggi hanno - come i film francesi hanno - le caratterizzazioni fisiche così reali che lo spettatore s'identifica e si trova immediatamente almeno in uno degli interpreti, ma..la leggerezza è però solo apparente, o meglio: c'è leggerezza perchè di sangue ce n'è poco ed esce dal naso di uno degli interpreti, ma leggero non è. Già dalla prima scena si viene posti nell'incubo sociale rappresentato dai problemi della mancanza del lavoro e contemporaneamente pesa, su ognuno dei personaggi, la responsabilità di vedere risolto il proprio problema a discapito dei compagni meno fortunati.
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E' un film che meriterebbe molte discussioni andando a toccare argomenti attuali e per i quali ognuno potrebbe avere una sensibilità diversa. Nulla di eclatante nelle riprese che peraltro non hanno una sola sbavatura, le tonalità reali non sono usate oltre quello che devono mostrare; i personaggi hanno - come i film francesi hanno - le caratterizzazioni fisiche così reali che lo spettatore s'identifica e si trova immediatamente almeno in uno degli interpreti, ma..la leggerezza è però solo apparente, o meglio: c'è leggerezza perchè di sangue ce n'è poco ed esce dal naso di uno degli interpreti, ma leggero non è. Già dalla prima scena si viene posti nell'incubo sociale rappresentato dai problemi della mancanza del lavoro e contemporaneamente pesa, su ognuno dei personaggi, la responsabilità di vedere risolto il proprio problema a discapito dei compagni meno fortunati. Da subito cioè compare la duplicità dei sentimenti : l'essere sollevati da un problema comporta il fatto che il problema ricade su di un altro. Gioia per se stessi e angoscia per i compagni: essere salvati come naufraghi dal mare, non vuol dire non pensare ai compagni che nel mare sono rimasti. Ecco il conflitto che sottende il film e che è attualissimo in quest'epoca contemporanea. Le soluzioni sono tutte plausibili, anche se non condivisibili, quindi un racconto molto realistico che non concede mai nulla agli estremismi, nemmeno "al cattivo" che quando si sfoga, dice cose reali, che non possono non pesare sulla coscienza di ognuno, ma sono dal punto di vista di una vittima del sistema globalizzazione/fame/benessere dove anche il cane mangia il cane.
L'unica concessione, l'unico tocco di fantasia, l'unica figura fuori dal coro, e pare entrata nella sceneggiatura uscendo da un altro film, è il giovane magico cameriere del bar che sa qual'è il desiderio di ognuno e glielo sa porgere senza che nessuno si senta preso in giro, nemmeno lo spettatore, che per un attimo si può rilassare.
Il lavoro (il regista), dato che è tratto da un'opera di Victor Hugo, mi chiedo se questo senso di miseria, edulcorato perchè trasportato ai tempi nostri, ha trovato quella soluzione finale ovattata, per restare in un'atmosfera ottocentesca oppure ha rifiutato una soluzione contemporanea coerentemente con l'età in cui è situato, consapevolmente, per non creare disarmonia con una soluzione in parte più violenta e molto più reale.
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filippo catani
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martedì 8 gennaio 2013
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guerra tra poveri
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Marsiglia. Un anziano operaio del porto con alle spalle lunghi anni di militanza nel sindacato si trova a perdere il lavoro insieme ad altri 19 colleghi a causa di una estrazione a sorte. L'uomo può in un certo senso dirsi fortunato in quanto ha una moglie fedele, una piccola casa e l'indennità. Non è così per un suo giovane collega appena assunto che, per mantenere lui e i fratellini, decide di rapinarlo.
Liberamente ispirato a un'opera di Hugo, questo film getta uno sguardo inquietante sulla situazione sociale e del mondo del lavoro che ormai ha contagiato tutta Europa. Il mercato sempre più "flessibile" che secondo alcuni avrebbe portato competitività e nuovi posti di lavoro si sta invece rivelando il suo esatto contrario e flessibilità è ormai diventato sinonimo di licenziamenti facili.
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Marsiglia. Un anziano operaio del porto con alle spalle lunghi anni di militanza nel sindacato si trova a perdere il lavoro insieme ad altri 19 colleghi a causa di una estrazione a sorte. L'uomo può in un certo senso dirsi fortunato in quanto ha una moglie fedele, una piccola casa e l'indennità. Non è così per un suo giovane collega appena assunto che, per mantenere lui e i fratellini, decide di rapinarlo.
Liberamente ispirato a un'opera di Hugo, questo film getta uno sguardo inquietante sulla situazione sociale e del mondo del lavoro che ormai ha contagiato tutta Europa. Il mercato sempre più "flessibile" che secondo alcuni avrebbe portato competitività e nuovi posti di lavoro si sta invece rivelando il suo esatto contrario e flessibilità è ormai diventato sinonimo di licenziamenti facili. Quì addirittura per decidere chi se ne deve andare si mette in piedi un terrificante sorteggio che certo ha il merito di non guardare in faccia a nessuno ma allo stesso tempo proprio per questo colpisce ancor più duramente chi è in difficoltà come fa notare il giovane rapinatore quando si incontra con la sua vittima. Questa nuova situazione ha inoltre distrutto i vincoli di solidarietà operaia e di coscienza di classe tanto che l'operaio licenziato va a rubare in casa di un altro operaio licenziato animato da prendere quei pochi soldi che servono per pagare parte dell'affitto arretrato e un barattolo di Nutella. E allora ecco i dubbi del sindacalista su tutte le lotte che sono state combattute in passato e vedere poi come ci si è ridotti e le riflessioni con l'amico che dice che nulla può giustificare una aggressione e un furto. Insomma il regista ci offre su un piatto d'argento uno spaccato di vita che purtroppo anche dalle nostre parti sta diventando sempre più frequente con persone che se possono tornano a stare con i genitori in attesa di un difficile ricollocamento nel mondo del lavoro. Insomma come sempre a pagare i prezzi delle crisi, delle speculazioni internazionali non sono i veri colpevoli che anzi anche e soprattutto in questi periodi vedono rimpinguate le loro pance e le loro tasche bensì le ultime ruote del carro chiamate da sempre a pagare le spese ma mai a dividere gli utili. Purtroppo questa terribile guerra tra poveri diventerà una quotidianità se non si riuscirà a frenare la marea di licenziamenti e dare più lavoro. Oltre al film ottimi anche il regista, il cast e la colonna sonora.
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francesco2
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mercoledì 22 febbraio 2012
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bel colpo, guediguan
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Con questo film .ispirato ad un'opera di Hugo- il regista marsigliese, quasi sicuramente non un virtuoso del cinema e non molto amato dai distributori nostrani, rischia di dare lezioni a due maestri, uno presunto ed uno vero, secondo chi scrive: Loach e Kaurismaki.
Al primo (Ad avercene, in tempi in cui le i dee di Veltroni e Renzi rischiano di essere il migliore riferimento della sinistra) pur essendo meno famoso di lui, insegna come schematiche siano certe contrapposizioni tra il lavoratore ed il sistema. Che le guerre tra i poveri esistono anche _Ma non solo, beninteso- perché certi poveri si sentono in colpa per le loro Domeniche, non ascoltano chi è ancora più povero di loro, e rischiano di esere diventati "Borghesi poveri" (Molto bella la frase della Ascaride sulla "Felicità", in cui peraltro si contrappongono l'orizzonte sociale e quello privato: quasi suggerendo, e neanche tanto, una contrapposizione tra la concezione marxista e quella "idealista").
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Con questo film .ispirato ad un'opera di Hugo- il regista marsigliese, quasi sicuramente non un virtuoso del cinema e non molto amato dai distributori nostrani, rischia di dare lezioni a due maestri, uno presunto ed uno vero, secondo chi scrive: Loach e Kaurismaki.
Al primo (Ad avercene, in tempi in cui le i dee di Veltroni e Renzi rischiano di essere il migliore riferimento della sinistra) pur essendo meno famoso di lui, insegna come schematiche siano certe contrapposizioni tra il lavoratore ed il sistema. Che le guerre tra i poveri esistono anche _Ma non solo, beninteso- perché certi poveri si sentono in colpa per le loro Domeniche, non ascoltano chi è ancora più povero di loro, e rischiano di esere diventati "Borghesi poveri" (Molto bella la frase della Ascaride sulla "Felicità", in cui peraltro si contrappongono l'orizzonte sociale e quello privato: quasi suggerendo, e neanche tanto, una contrapposizione tra la concezione marxista e quella "idealista").
Ma in più che non esistono manicheamente innocenti e colpevoli, che i figli di certi innocenti -Veri o presunti- rischiano di essere peggiori di certi capitalisti in odio al regista inglese, quando osteggiano la decisione finale della coppia. Eppure: se anche loro non avessero del tutto torto, quando sostengono che la coppia si sia voluta ripulire la coscienza?
A Kaurismaki, di cui pare condividere il pessimismo contro la globalizzazione (Che a distanza di oltre dieci anni da "La ville est tranquille"non sembra averci reso migliori, anzi) illustra come, rispetto al suo "Miracolo a Le Havre", si può fare a meno di costruire gustosi aneddoti, sospesi tra disincanto e voglia di ricominciare, in cui soffermandosi(?) su problemi come l'immigrazione si rischia di fare da dieci anni lo stesso (E non PIU'impeccabile) film. E che il (Relativamente) lieto fine non si ottiene coi miracoli, religiosi o laici che siano, ma trovando sempre la forza per ricominciare. E senza retorica, per una volta.
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theophilus
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lunedì 10 febbraio 2014
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del "caso" e dell'amore
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LE NEVI DEL KILIMANGIARO
Si sceglie di non scegliere. L’inizio di Les neiges du Kilimandjaro è l’alfa e l’omega. Abbiamo una fabbrica in crisi e siamo subito ed inequivocabilmente nei nostri tipici giorni. Si tirano a sorte 20 dipendenti e, sulle prime, non è del tutto esplicito se saranno quelli da tenere o quelli da mandare a casa. Come che sia, la si dà vinta al caso.
Uno dei temi che attraversa il dibattito scientifico filosofico contemporaneo assurge a protagonista del film. È un paradosso. Si afferma da più parti che la casualità esistenziale sia arbitro imponderabile, tale che non possa essere affrontata dall’uomo.
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LE NEVI DEL KILIMANGIARO
Si sceglie di non scegliere. L’inizio di Les neiges du Kilimandjaro è l’alfa e l’omega. Abbiamo una fabbrica in crisi e siamo subito ed inequivocabilmente nei nostri tipici giorni. Si tirano a sorte 20 dipendenti e, sulle prime, non è del tutto esplicito se saranno quelli da tenere o quelli da mandare a casa. Come che sia, la si dà vinta al caso.
Uno dei temi che attraversa il dibattito scientifico filosofico contemporaneo assurge a protagonista del film. È un paradosso. Si afferma da più parti che la casualità esistenziale sia arbitro imponderabile, tale che non possa essere affrontata dall’uomo. Robert Guédiguian lo prende su di sé e ne fa un metodo, ne anticipa l’azione come per sfidarlo sul suo terreno: affidiamoci all’imparzialità del caso. L’azienda va male? Sia il caso a decidere. Finita la stagione della resistenza a qualunque costo e ad oltranza, tutti hanno delle ragioni per sopravvivere, tutti ne hanno il diritto.
Michel, sindacalista dell’azienda e protagonista principale del film, è fra i sacrificati. ‘Festeggiato’da colleghi e amici, viene poi derubato del presente in danaro che ha ricevuto. Viene ancora alla mente la ormai quasi proverbiale battuta secondo cui se la fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo.
Ad alcuni, per la scelta di parte delle musiche - di Pascal Mayer quelle originali – ‘Le nevi del Kilimangiaro’ sembrava ambientato negli anni ‘80. Michel che ‘sfoggia’ la sua conoscenza della lingua inglese citando una serie di titoli di canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones… il gazebo, le scampagnate al mare, il barbecue sono tutti elementi che possono trasportare in un passato più o meno recente. Ma alcuni dati concreti (l’Euro e i cellulari di piccole dimensioni) ancorano inequivocabilmente la storia ai nostri giorni. L’uso della Pavane di Ravel e della Grande Messa di Mozart, liberano, poi, da un’ambientazione rétro e semmai tendono a fare del film un classico in cui il dolore degli avvenimenti e l’imponderabilità esistenziale mettono in discussione l’ideologia. Il film, così, appare come un lieve, ma al tempo stesso drammatico ricamo attorno alle vicende umane che travalica i nostri tempi.
Il caso come arbitro ‘democratico’ ed imparziale non funziona affatto. Lo subiamo e quindi non dobbiamo assurgerlo a metodo di vita, adottarlo, farlo nostro, accettarlo incondizionatamente e farne un feticcio.
È, quindi, l’inizio che è ‘sbagliato’. È l’inizio del film che seleziona e precostituisce una serie di potenziali drammi, escludendone altri. L’obnubilata non scelta di chi sarà sacrificato scatena una serie d’imponderabili conseguenze, ma che si spiegano e si giustificano nella realtà personale e sociale di ognuno dei protagonisti della storia. Lei (Ariane Ascaride) crede nella scelta come dato possibile, è felice della sua vita perché ha scelto di seguire lui (Jean-Pierre Darroussin) per la sua strada. Lui è perplesso e mortificato di avere portato la moglie allo status di postina della pubblicità per sbarcare il lunario: i due, infatti, procedono parallelamente lungo la via, lei da una parte, lui dall’altra ad imbucare dépliants. Lui si pente di aver denunciato la rapina subita, ma è troppo tardi. E allora?
Guédiguian porta il film alla coesione di un esito unitario. Michel e Marie-Claire s’incontrano per due strade lievemente diverse e giungono alla stessa conclusione. Forse, allora, il film è una metafora sulla possibilità. Guédiguian dà una possibilità all’amore, sentito più che come una scelta, come una forza incomprensibile ed incommensurabile a cui abbandonarsi e in cui trovare la pace.
Enzo Vignoli
3 febbraio 2012.
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