vanreese
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martedì 14 settembre 2010
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film non pervenuto
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E poi ci meravigliamo che ai Festival del Cinema non vinciamo neppure il cucchiaio di legno....
La definizione di film mediocre sta stretta alla "Solitudine dei Numeri Primi". Sarebbe meglio dire "Film non pervenuto". Il film non ha un inizio e non ha una fine. Una storia senza senso che presuppone che lo spettatore già conosca il libro da cui è liberamente tratto. Un film senza senso e senza tecnica, in cui spicca una grande assente: la storia. Un esercizio di maniera degno, forse, di un cortometraggio sperimentale e non certo di un format cinematografico vero e proprio. Gli attori si impegnano, ma davanti al nulla assoluto è difficile fare qualcosa di buono.
Da dimenticare.
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jewel
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mercoledì 15 settembre 2010
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un film veramente splendido, non ci sono parole.
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Un film veramente splendido, non ci sono parole. Mi è venuto da piangere durante la proiezione ed anche alla fine e sono riuscita a trattenere a stento le lacrime davanti alla gente. Per poter seguire il filo logico della storia bisogna senz'altro leggere il libro, soprattutto per le sovrapposizioni spazio - temporali del racconto in flashback che possono, soprattutto nella prima parte del film, mettere in difficoltà e spiazzare lo spettatore, come è avvenuto effettivamente con me stessa. Io non ho mai molto amato l'uso dei flashback nei film perchè in genere crea confusione e disorienta il pubblico, ma in questo caso il lavoro fatto dal regista è stato assolutamente di rilievo.
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Un film veramente splendido, non ci sono parole. Mi è venuto da piangere durante la proiezione ed anche alla fine e sono riuscita a trattenere a stento le lacrime davanti alla gente. Per poter seguire il filo logico della storia bisogna senz'altro leggere il libro, soprattutto per le sovrapposizioni spazio - temporali del racconto in flashback che possono, soprattutto nella prima parte del film, mettere in difficoltà e spiazzare lo spettatore, come è avvenuto effettivamente con me stessa. Io non ho mai molto amato l'uso dei flashback nei film perchè in genere crea confusione e disorienta il pubblico, ma in questo caso il lavoro fatto dal regista è stato assolutamente di rilievo. La seconda parte del film è sicuramente quella più bella, con alcune scene davvero di grande impatto emotivo, come quando Alice si fa togliere il tatuaggio con un pezzo di vetro da Mattia durante quella sfrenata festa tra ragazzi al suono della musica techno ed hip-hop. L'impatto emotivo della parte finale è molto toccante ed, in alcuni casi, quasi straziante, quando vengono messe in risalto quelle conseguenze devastanti che possono aversi nel corpo a livello fisico a causa di problemi di natura psichica che, se non curati in tempo, incancreniscono man mano fino a portarti ad un punto di non ritorno. L'anoressia e l'obesità, mostrate agli spettatori come un pugno nello stomaco, non sono altro che le diverse facce del medesimo problema, il desiderio costante di cercare di relazionarsi con gli altri, che si risolve sempre con l'incapacità da parte del soggetto di raggiungere un livello di emotività soddisfacente con coloro i quali vivono intorno a noi, che ci osservano continuamente e ci sottopongono al loro giudizio quotidiano. Le scene con Alba Rohrwacher, grandissima attrice, distrutta dall'anoressia, mi hanno fatto veramente male, non si vede facilmente al cinema trattare questi problemi con quella crudezza di immagini che ci vengono sottoposte nel crescendo drammatico della parte finale del film. Quella perfezione del corpo della donna, icona tanto declamata nell'era moderna, viene qui messa in discussione, si può essere belli dentro pur avendo anche dei gravi difetti fisici, come accade per "Alice", il problema è che poche, se non pochissime persone, ti capiscono veramente, tutti gli altri non faranno altro che deriderti per tutta la vita. Se non riesci a reagire in maniera adeguata negli anni dell'adolescenza a quei difetti nel fisico o nella mente, che magari ti porti dietro fin dalla nascita, per un parto prematuro, ad esempio, o per qualche incidente stradale che ti può capitare nella vita, allora tutti gli altri compagni e compagne che ti circondano ti massacrano e non ne esci più, ti chiudi in te stessa e rimarrai sola per tutta la vita, fino a quando qualche anima pia non si accorgerà che anche tu sei una persona come gli altri e non uno scarto della società, un rifiuto ingombrante ed inutile da buttare.
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giulinet
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giovedì 16 settembre 2010
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la solitudine ben raccontata
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Questo è un signor film se paragonato alle tante uscite recenti nelle sale. Il regista si vede che conosce bene il suo mestiere, dal taglio delle inquadrature a come dirige i suoi attori, tutti bravissimi. Bella la fotografia e sceneggiatura ben costruita. Si può dire però che è più un operazione stilistica dell'autore che un film per il grande pubblico. Infatti all'inizio si fa fatica a seguire la storia perchè chi non ha letto il libro, come me, perde il patos del racconto nel cercare di focalizzare i personaggi nei continui flashback usati dal regista per rivelarceli incrociandoli continuamente in un lungo arco temporale che li segue da bambini sino all'età adulta. E' un racconto sempre in tensione a cui fa da contralto una colonna sonora di memoria darioargentiana, e sia le atmosfere cupe e rarefatte dei dolorosi ricordi che i colori saturi delle sofferenze del presente contribuiscono a dare il senso del dramma di queste solitudini che il film ben racconta.
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Questo è un signor film se paragonato alle tante uscite recenti nelle sale. Il regista si vede che conosce bene il suo mestiere, dal taglio delle inquadrature a come dirige i suoi attori, tutti bravissimi. Bella la fotografia e sceneggiatura ben costruita. Si può dire però che è più un operazione stilistica dell'autore che un film per il grande pubblico. Infatti all'inizio si fa fatica a seguire la storia perchè chi non ha letto il libro, come me, perde il patos del racconto nel cercare di focalizzare i personaggi nei continui flashback usati dal regista per rivelarceli incrociandoli continuamente in un lungo arco temporale che li segue da bambini sino all'età adulta. E' un racconto sempre in tensione a cui fa da contralto una colonna sonora di memoria darioargentiana, e sia le atmosfere cupe e rarefatte dei dolorosi ricordi che i colori saturi delle sofferenze del presente contribuiscono a dare il senso del dramma di queste solitudini che il film ben racconta. Da vedere.
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paride86
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lunedì 13 settembre 2010
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fuori dal coro come un numero primo
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Fedele (ma non del tutto) al romanzo da cui è stato tratto, "La solitudine dei numeri primi" è il terzo film di Saverio Costanzo, autore italiano originale e sempre diverso.
La storia originale, drammatica e introspettiva, viene trasmormata in un grottesco racconto familiare, morboso e anche un po' compiaciuto, ma mai stupido. Vanno apprezzati gli sforzi del regista di appropriarsi della storia senza snaturarla, facendone un film a sé che può essere apprezzato al meglio da chi non ha letto il libro.
Originale e azzeccata la scelta delle musiche e delle scenografie, come del resto quella degli attori, compreso il protagonista esordiente.
Molto interessante e surreale il cameo di Filippo Timi nella parte del clown.
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maurizio
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giovedì 16 settembre 2010
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saverio costanzo fa centro un'altra volta
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Film eccezionale sia per l'architettura della sceneggiatura che per il gusto quasi viscontiano-ma non estetizzante- del dettaglio che, infine, per la bravura degli interpreti. La Rohrwacher cresce esponenzialmente di film in film. Strepitosi i tre minuti che Filippo Timi si è ritagliato da co-sceneggiatore per costruire un "cameo" indinenticabile. Senz'altro ai livelli più alti della produzione cinematografica dell'anno.
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domenico a
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sabato 11 settembre 2010
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molto rumore per nulla
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Spedito alle Saturday 11 September 2010 10:13 IP 79.17.63.252 Abbiamo visto “ La solitudine dei numeri primi “ regia di Saverio Costanzo.
Siamo tra quei lettori che non reputano il libro di Paolo Giordano essenziale o necessario. Un bel titolo da editing e una storia che può piacere ad adolescenti sensibili e a lettori ancora ingenui. A noi è sembrato un romanzo fin troppo costruito, furbetto e se ci lasciate la metafora potremmo aggiungere che il racconto sembra come qualcuno che guarda la psicanalisi e lo sviluppo evolutivo attraverso il buco della serratura. Mettendosi a scrivere la sceneggiatura Costanzo e lo stesso autore Giordano devono essersi accorti che cinematograficamente la storia pur apparentemente funzionale non aveva un respiro ‘ alto ‘ e allora hanno scomposto la storia in tre periodi con continui andirivieni: infanzia, adolescenza, età adulta e poi “ sette anni dopo “, ma non avendo la bravura o il talento di uno sceneggiatore come Guillermo Arriaga o il genio di un regista come Alejandro González Iñárritu ( quelli di “ 21 grammi “ per intenderci ) hanno sovrapposto feste dove, quella in cui si lasciano, avviene un attimo prima di quella in cui si conoscono, dove la scena dell’incidente di lei ( che nel libro è nel primo capitolo ) ci viene mostrata ( inutilmente ) quando la si è detta e spiegata ripetutamente durante tutto il film.
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Spedito alle Saturday 11 September 2010 10:13 IP 79.17.63.252 Abbiamo visto “ La solitudine dei numeri primi “ regia di Saverio Costanzo.
Siamo tra quei lettori che non reputano il libro di Paolo Giordano essenziale o necessario. Un bel titolo da editing e una storia che può piacere ad adolescenti sensibili e a lettori ancora ingenui. A noi è sembrato un romanzo fin troppo costruito, furbetto e se ci lasciate la metafora potremmo aggiungere che il racconto sembra come qualcuno che guarda la psicanalisi e lo sviluppo evolutivo attraverso il buco della serratura. Mettendosi a scrivere la sceneggiatura Costanzo e lo stesso autore Giordano devono essersi accorti che cinematograficamente la storia pur apparentemente funzionale non aveva un respiro ‘ alto ‘ e allora hanno scomposto la storia in tre periodi con continui andirivieni: infanzia, adolescenza, età adulta e poi “ sette anni dopo “, ma non avendo la bravura o il talento di uno sceneggiatore come Guillermo Arriaga o il genio di un regista come Alejandro González Iñárritu ( quelli di “ 21 grammi “ per intenderci ) hanno sovrapposto feste dove, quella in cui si lasciano, avviene un attimo prima di quella in cui si conoscono, dove la scena dell’incidente di lei ( che nel libro è nel primo capitolo ) ci viene mostrata ( inutilmente ) quando la si è detta e spiegata ripetutamente durante tutto il film. A questo si aggiunga che il regista – forse ‘ schiacciato ‘ da un tale successo editoriale e da una sua non condivisione totale – ha cercato una chiave di regia personale e l’ha trovata spostando lo stile da romanzo drammatico di struttura lineare a un film che rompe lo spazio-tempo e sceglie l’horror come stile. Ma non solo l'orrore della sofferenza del corpo e l’anima dei due protagonisti ma anche tutto ciò che li circonda ( genitori e amici, se non sono inadeguati sono dei piccoli mostri senza alcuna qualità ), a questo si aggiunge una colonna sonora alla “ Dario Argento “, le musiche sono di Mike Patton, e in alcuni momenti c’è la scelta di una grafica di grande impatto ma settoriale e discontinua. Sembra quasi che Costanzo abbia strizzato l’occhio oltre che al Kubrick di Shining anche ad alcune favole dei fratelli Grimm. Il risultato finale è un film poco riuscito, l’autore ha tentato di attraversare il fiume ma si è fermato in mezzo al guado. C’è stato il tentativo di scrollarsi di dosso una storia banalotta e furbastra ma probabilmente se avesse osato di più verso un horror-gotico sarebbe stato cacciato dal produttore e da chissà chi altro. Da segnalare la bella fotografia di Fabio Cianchetti, i costumi di Antonella Cannarozzi e per quanto riguarda gli attori, come sempre molto brava Alba Rohrwacher e sorprendente per coraggio e bravura Isabella Rossellini, mentre il protagonista maschile Luca Marinelli risulta involontariamente una parodia di qualcuno che soffre con borse sotto gli occhi e atteggiamento fisso.
Nei titoli di testa il romanzo viene segnalato come soggetto del film, la storia è la stessa con le dovute modifiche ma – come dicevamo – la non linearità della storia la modifica sensibilmente. L’unica cosa che c’è nel libro e che è mancata a noi vedendo il film è ‘ la spiegazione ‘ del titolo, bruciata durante una festa di matrimonio e accennata dalla sposa tra la confusione generale. La spiegazione ? Nella serie infinita dei numeri naturali, esistono alcuni numeri speciali, i numeri primi, divisibili solo per se stessi e per uno.
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(di antolusci)
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giorgios23
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martedì 14 settembre 2010
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in-contro continuo tra due solitudini
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Partendo dall'assunto di J.P.Sarte che dice che due solitudini non possono stare insieme... il film non fa altro che avvalorare questa tesi.
Mattia e Alice sono forse più di amici, più di fidanzati ma in realtà non si in-contrano quasi mai, provano grande empatia l'uno per l'altro
per ciò che ha cambiato ineluttabilmente le loro vite, portandoli in una dimensione altra ma nonostante ciò si sfiorano appena...
Le loro vite segnate fin da piccoli, non hanno permesso loro di vivere con tranquillità e serenità le loro vite e i loro rapporti sociali, nel
caso di Mattia sono ridotte quasi a zero, c'è uno studio matto che compensa ciò, la madre dirà " che nei suoi 9 e 10 c'è qualcosa di mostruoso" ,
e lui stesso dice ad Alice che è l'unica che sa fare.
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Partendo dall'assunto di J.P.Sarte che dice che due solitudini non possono stare insieme... il film non fa altro che avvalorare questa tesi.
Mattia e Alice sono forse più di amici, più di fidanzati ma in realtà non si in-contrano quasi mai, provano grande empatia l'uno per l'altro
per ciò che ha cambiato ineluttabilmente le loro vite, portandoli in una dimensione altra ma nonostante ciò si sfiorano appena...
Le loro vite segnate fin da piccoli, non hanno permesso loro di vivere con tranquillità e serenità le loro vite e i loro rapporti sociali, nel
caso di Mattia sono ridotte quasi a zero, c'è uno studio matto che compensa ciò, la madre dirà " che nei suoi 9 e 10 c'è qualcosa di mostruoso" ,
e lui stesso dice ad Alice che è l'unica che sa fare. Due note di merito vanno al regista che ha saputo tramsttere i due drammi, dalle parole alla
macchina da presa, e alla plurima premiata attrice Alba Rohrwacher, che anche in questa performance ha saputo calirsi nelle vesti di Alice.
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giugy3000
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mercoledì 22 settembre 2010
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da un buon libro un buon film
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Riuscire a trovare chi sappia portare sullo schermo le emozioni condensate da un lettore provate in 300 pagine non è mai facile. Dopo "Io non ho paura" di Salvatores, Costanzo è uno dei pochi ad avere questo grande pregio: rivisitare la storia partendo non da uno spunto su di essa per ricavarne tutt'altro, ma prendendola passo per passo, scena per scena e battuta per battuta, dando musica, colore e spessore a quella che era già una storia di alto livello.
Alice e Mattia li abbiamo amati da subito, non per altro Giordano ha vinto l'anno scorso il Premio Strega.Il loro silenzio e le loro vite solitarie e fuori dagli schemi dei ragazzetti d'oggi tutti intrisi di frivolezze per la testa ci hanno da subito raggelato e incuriosito.
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Riuscire a trovare chi sappia portare sullo schermo le emozioni condensate da un lettore provate in 300 pagine non è mai facile. Dopo "Io non ho paura" di Salvatores, Costanzo è uno dei pochi ad avere questo grande pregio: rivisitare la storia partendo non da uno spunto su di essa per ricavarne tutt'altro, ma prendendola passo per passo, scena per scena e battuta per battuta, dando musica, colore e spessore a quella che era già una storia di alto livello.
Alice e Mattia li abbiamo amati da subito, non per altro Giordano ha vinto l'anno scorso il Premio Strega.Il loro silenzio e le loro vite solitarie e fuori dagli schemi dei ragazzetti d'oggi tutti intrisi di frivolezze per la testa ci hanno da subito raggelato e incuriosito.Costanzo ne fa quasi una sorta di psico-dramma adolescenziale, con una punta di Horror alla Profondo Rosso, come la musiche dei titoli di testa.Perchè la storia di Alice e Mattia ha dell'orrore: essere stati le sfortunate vittime di famiglie che non avevano la minima intenzione di prestare ascolto alla loro diversità, alla loro straordinaria sensibilità sul mondo e averli fatti diventare grandi troppo presto.
Benchè la storia cominci nel 1984 per poi protrarsi sino ai giorni nostri, quelli che vediamo nelle prime sequenze sono bambini solo nel corpo. Alice è già una piccola adulta caricata dal padre di immense responsabilità ed aspettative sul diventare una promessa dello sci, mentre Mattia si deve occupare in toto di una gemella ritardata che gli impedisce di vivere la sua fanciullezza in libertà.E alla fine gli errori delle famiglie lo scontano i figli.Alice diventerà zoppa e Mattia uno scontroso ed irascibile ragazzo intento a tagliarsi le braccia non provando dolore.
I due personaggi si incontrano e sin da subito si leggono negli occhi la medesima tristezza, il medesimo senso d'inadeguatezza verso il mondo che li circonda, ma anzichè prendersi per mano e ritrovare nella loro simile condizione un minimo per non lasciarsi mai più, si perdono e si ritrovano, sembrano amarsi ed odiarsi.
Luca Marinelli è una piacevolissima sorpresa di bravura, mentre la Roherwacher si riconferma adatta per questi ruoli drammatici come aveva già dmostrato di saper gestire ne"Il papà di Giovanna".
Bellissime le sequenze di Alice nella camera oscura, anche se la più bella del film rimane quella in cui i due protagonisti si ritrovano dopo 7 anni sulla musica di Cindy Lauper.
Il cameo del pagliaccio di Filippo Timi è strepitoso.
Una trasposizione visiva che non delude.
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graves
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sabato 11 settembre 2010
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da un bel libro una brutta prova
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Un film così rimane nello spazio impalpabile di ciò che presto verrebbe dimenticato e archiviato come l'ennesima cattiva prova del cinema italiano, se non fosse ispirato a un libro clamorosamente famoso come quello di Paolo Giordano, dove - peraltro - i toni e le intenzioni non erano quelli di nauseare e annoiare il lettore, ma se mai, forse, di far riflettere sui limiti delle possibilità esistenziali degli individui.
Il film: certamente chi ha letto il libro soffre molto di più ma capisce qualcosa attraverso le reminiscenze della trama del libro che il film, comunque, falsifica e non rispetta quasi mai. Se possibile, inventa anche scene del tutto fuori luogo (come quella del torbido rapporto tra Alice e la sua compagna di classe Viola).
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Un film così rimane nello spazio impalpabile di ciò che presto verrebbe dimenticato e archiviato come l'ennesima cattiva prova del cinema italiano, se non fosse ispirato a un libro clamorosamente famoso come quello di Paolo Giordano, dove - peraltro - i toni e le intenzioni non erano quelli di nauseare e annoiare il lettore, ma se mai, forse, di far riflettere sui limiti delle possibilità esistenziali degli individui.
Il film: certamente chi ha letto il libro soffre molto di più ma capisce qualcosa attraverso le reminiscenze della trama del libro che il film, comunque, falsifica e non rispetta quasi mai. Se possibile, inventa anche scene del tutto fuori luogo (come quella del torbido rapporto tra Alice e la sua compagna di classe Viola). E tralascia, invece, particolari che avrebbero molto giovato alla comprensione delle figure principali, come ad esempio il rapporto tra Mattia e il padre (il film insiste troppo, e in maniera gratuita, sul rapporto tra Mattia e la madre: forse per ragioni commerciali, dato che l'interprete di quest'ultima è Isabella Rossellini, la più blasonata ma la meno convincente tra tutti gli attori principali del film). Così come tralascia, ancora, la complessa relazione tra Alice e la sua famiglia, il non trascurabile evento della morte della madre di Alice - che influisce non poco nello sviluppo della personalità ragazza (tuttaltro che una persona fragilmente priva di carattere, come in fondo appare nel film) così come nella dinamica del romanzo. Una notazione: il paese dove Mattia si trasferisce non è la Germania, ma un paese scandinavo dove Mattia istituisce un clima di vita certo non mondano ma tutt'altro che negativo, con un equilibrio faticoso che sfocia, nel romanzo, in un finale che contempla la speranza di un futuro possibile (cosa di cui nel film non esiste, ancora una volta, traccia).
Anche a voler ammettere che il regista abbia fatto opera di personale interpretazione, stravolgendo o non dando il rilievo che forse avrebbe dovuto a questi e ad atri particolari della struttura del romanzo al quale il film si è ispirato, vien persino da chiedersi, a volte, se il regista abbia veramente letto con la dovuta attenzione il romanzo.
E rimane, comunque, un fatto tristemente inequivocabile: è un brutto film. Lento e melenso, vuoto e inconsistente, vacuo e freddo, impreciso e stantio: melmosamente statico, senza crescite, né flessioni.
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[+] grazie graves!!!
(di giuliaebasta)
[ - ] grazie graves!!!
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