jayan
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martedì 28 settembre 2010
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incomprensibile per chi non ha letto il romanzo
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Le tre stelle vanno alla ottima regia, alla fotografia, all'interpretazione, alla musica, le due stelle mancanti vanno alla pessima sceneggiatura. Il regista per mostrare la sua stravaganza e interpretazione istrionica del romanzo, credendo di realizzare un capolavoro in stile horror o almeno thriller, non ha fatto altro che dividere la storia e spezzettarla per poi rappresentarla con infiniti flashback e flashforward, andando avanti e dietro e confondendo lo spettatore, rendendo il film incomprensibile a chi non avesse già letto il romanzo. Ma anche per chi l'ha letto, almeno per me, lo trova completamente slegato, appeso, contraddittorio. Poteva venir fuori un bellissimo film, in stile Wenders (Paris, Texas) o Antonioni, sull'incomunicabilità di certe persone che non riescono a incontrarsi.
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Le tre stelle vanno alla ottima regia, alla fotografia, all'interpretazione, alla musica, le due stelle mancanti vanno alla pessima sceneggiatura. Il regista per mostrare la sua stravaganza e interpretazione istrionica del romanzo, credendo di realizzare un capolavoro in stile horror o almeno thriller, non ha fatto altro che dividere la storia e spezzettarla per poi rappresentarla con infiniti flashback e flashforward, andando avanti e dietro e confondendo lo spettatore, rendendo il film incomprensibile a chi non avesse già letto il romanzo. Ma anche per chi l'ha letto, almeno per me, lo trova completamente slegato, appeso, contraddittorio. Poteva venir fuori un bellissimo film, in stile Wenders (Paris, Texas) o Antonioni, sull'incomunicabilità di certe persone che non riescono a incontrarsi... e invece è venuto fuori un film pessimo, anche se fatto bene, come qualità del film e in particolare per l'interpretazione di Alba Rochwacher. Apprezzate le musiche, che danno tono al romanzo, che è troppo triste e freddo. A volte, per realizzare qualcosa di originale, si peggiorano le cose e ne viene fuori un disastro! Bisogna apprendere dagli errori fatti. Comunque, Costanzo rimane un bravo regista.
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m.d.c
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giovedì 16 settembre 2010
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amori impossibili nella solitudine urbana
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Tutto sommato un tradimento può essere davvero ben accetto, soprattutto se realizzato con la collaborazione attiva del "tradito". La solitudine dei numeri primi si discosta in modo felice dal libro omonimo di P. Giordano (piuttosto sopravvalutato) rispettandone lo spirito ma stravolgendone la struttura e modificandone con sapienza l'atmosfera che, rispetto alla pagina scritta, diviene sullo schermo decadente e persino malata. Così le vite guaste dei due protagonisti, l'anoressica Alice e l'autolesionista Mattia, si incrociano dando vita ad una deriva esistenziale credibilissima incarnata nel corpo martoriato di Alba Rohrwacher (costretta ad un orripilante dimagrimento) e in quello liso della scoperta Luca Marinelli.
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Tutto sommato un tradimento può essere davvero ben accetto, soprattutto se realizzato con la collaborazione attiva del "tradito". La solitudine dei numeri primi si discosta in modo felice dal libro omonimo di P. Giordano (piuttosto sopravvalutato) rispettandone lo spirito ma stravolgendone la struttura e modificandone con sapienza l'atmosfera che, rispetto alla pagina scritta, diviene sullo schermo decadente e persino malata. Così le vite guaste dei due protagonisti, l'anoressica Alice e l'autolesionista Mattia, si incrociano dando vita ad una deriva esistenziale credibilissima incarnata nel corpo martoriato di Alba Rohrwacher (costretta ad un orripilante dimagrimento) e in quello liso della scoperta Luca Marinelli. Segnati nel fisico e nella psiche da due traumi infantili (lui ha abbandonato la sorellina autistica mai più ritrovata, lei è divenuta claudicante a causa di un incidente sulla pista da sci)gli adolescenti Mattia ed Alice si sfiorano come due rette parallele destinate a non incontrarsi, attraversano con i loro traumi l'adolescenza fino all'età adulta, dove il copione ce li propone come due insicuri confidenti ancora alle prese con le loro vite irrisolte. E se l'irregolare Mattia è in procinto di trasferirsi in Germania su consiglio della madre Isabella Rossellini, la fotografa Alice è alle prese con un timido e discreto corteggiatore che finirà per prenderla in moglie. Con un nuovo salto temporale li ritroviamo ai giorni nostri, lei minata dall'anoressia e separata, lui imbrigliato nella ragnatela della solitudine ma pronti entrambi a ritrovarsi di nuovo per un ultimo, e forse definitivo, incontro. Il merito principale della rappresentazione è quello di non mostrarci semplicisticamente i due protagonisti con il loro affanni ma di esaltarne le contorte dinamiche attraverso immagini desolatamente credibili e un montaggio sincopato, accompagnato da una colonna sonora straniante. Alla tenuta della storia ha dato un contributo essenziale il regista Costanzo che ha riletto il plot, contrassegnato da un minimalismo spesso didascalico, caricandolo di segnali inquietanti e di colori abbacinanti.Tradendo felicemente il melò e trasgredendo alla regola non scritta della fedeltà alla pagina, Costanzo ha trasfigurato le esistenze segnate dei suoi personaggi collocandoli in una sorta di realtà parallela, non risparmiando citazioni che vanno da Kubrick a Carpenter fino a Bava e trasformando un amore ideale e impossibile in una sorta di inferno privato dove persino gli oggetti e i luoghi (corridoi, panchine, gallerie)sono carichi di un inquietante simbolismo. E di fronte a questo coraggio gli si perdona tutto, persino di aver rubato il finale all'Antonioni de l'Avventura. Matteo De Chiara
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anna1
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martedì 21 settembre 2010
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tutto quel che un corpo può dire...
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Numeri primi sono persone "diverse" che non possono non vogliono entrare in rapporto con persone normali banali insensibili indifferenti, che non capiscono, che scherniscono...Matteo e Alice si cercano e si respingono, ma entrano in relazione. Condividono difficoltà esistenziali legati a traumi infantili, difficili da gestire manipolare anche a distanza di tempo.
E' un film fatto di corpi e di poche parole: i corpi sono oggetto di punizioni, martoriati feriti prosciugati,non sono mai immagine di salute e bellezza, mai protagonisti di scene di piacere affetto amore sesso...poche parole in quanto i dialoghi sono asciutti e poco articolati, senza aggettivi fatti di cose.
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Numeri primi sono persone "diverse" che non possono non vogliono entrare in rapporto con persone normali banali insensibili indifferenti, che non capiscono, che scherniscono...Matteo e Alice si cercano e si respingono, ma entrano in relazione. Condividono difficoltà esistenziali legati a traumi infantili, difficili da gestire manipolare anche a distanza di tempo.
E' un film fatto di corpi e di poche parole: i corpi sono oggetto di punizioni, martoriati feriti prosciugati,non sono mai immagine di salute e bellezza, mai protagonisti di scene di piacere affetto amore sesso...poche parole in quanto i dialoghi sono asciutti e poco articolati, senza aggettivi fatti di cose. è il corpo che parla, e parla di dolore, dolore inaccettabile, che non trova quiete, che non ha spiegazioni.
Film a volte pesante per il continuo spostarsi su diversi assi temporali, ben recitato anche nella fisicità sofferta dei protagonisti
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(di francesco2)
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ginger snaps
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martedì 1 febbraio 2011
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un film insolito
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e pieno di tempi lenti e di silenzi che parlano. Fa riflettere molto sui temi adolesenziali e su quelli infantili. Su come i traumi abbiano il potere di riemergere sempre, anche se qui i protagonisti ne sono letteralmente preda. Non rispecchia per nulla al cinema italiano a cui siamo abituati e credo che per il regista e gli interpreti sia un atto di coraggio dovuto al nostro bel paese. Finalemente qualcuno che abbia voglia di raccontare una storia anche se drammatica, anche se noiosa a tratti. . Pur si sente un clima di dolore e di solitudine, le inquadrature e la fotografia si rifanno ad altre pellicole ma senza esagerare. Il metodo che utiizzano per raccontare la storia è di certo iteressante, perchè conduce lo spettatore, specie se non ha letto il libro, a seguitare, a guardare e a cercare di capire.
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e pieno di tempi lenti e di silenzi che parlano. Fa riflettere molto sui temi adolesenziali e su quelli infantili. Su come i traumi abbiano il potere di riemergere sempre, anche se qui i protagonisti ne sono letteralmente preda. Non rispecchia per nulla al cinema italiano a cui siamo abituati e credo che per il regista e gli interpreti sia un atto di coraggio dovuto al nostro bel paese. Finalemente qualcuno che abbia voglia di raccontare una storia anche se drammatica, anche se noiosa a tratti. . Pur si sente un clima di dolore e di solitudine, le inquadrature e la fotografia si rifanno ad altre pellicole ma senza esagerare. Il metodo che utiizzano per raccontare la storia è di certo iteressante, perchè conduce lo spettatore, specie se non ha letto il libro, a seguitare, a guardare e a cercare di capire. Non ci sono spazi per l'immaginazione, perchè ciò che non si vede, si percepisce assolutamente. Quel clima di disastro e di assoluta sofferenza dove anche le inquadrature e le espressioni parlano. Meravigliosi gli interpreti, sia i bambini che gli adulti, ma sopratutto Alba Rohrwacher. Di certo quando cala il sipario si ha un senso di incoclusione e di insoddisfazione, ma almeno si è certi di aver assistito a un lavoro.
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stefano73
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domenica 19 settembre 2010
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ma l'intrattenimento dov'è finito?
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Da salvare solo l'interpretazione e i dialoghi ben costruiti. Una colonna sonora efficace. Per il resto nulla. Ma dov'è finito il compito dell'intrattenimento che avrebbe il cinema. La storia viene raccontata con continui flash back senza nemmeno chiarezza della vicenda. Si può vedere questo film annoiandosi...senza capirlo bene...e alla fine uscire chiedendosi il senso. Il film meriterebbe di chiamarsi "la solitudine degli scemi" ...visto che tali posso considerare i due protagonisti. Insomma ...il cinema non è più capace di intrattenere lo spettatore. Tempo perso!
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francesca50
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lunedì 20 settembre 2010
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il solito clichet italiano!
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Film noioso e ancora più del libro poco credibile. Tutto sa di forzato.: dal comportamento dei genitori della bimba autistica di cui affidano il peso al fratello gemello, nonché quello del padre di Alice,che la costringe a sciare anche se non si sente, fino alla scena finale di un'Alice innamorata e di un Mattia sempre passivo. Non c'è da meravigliarsi se il cinema italiano all'estero, non sfonda e non dico altro per carità di patria.
Questa tendnza nostrana al dramma mal architettato che mescola sempre tanti problemi senza profondità è stancante ma fa parte di una certa cultura di sinistra che ritiene che al cinema bisogna piangere e comunque vergognarsi di non partecipare ai problemi del mondo.
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Film noioso e ancora più del libro poco credibile. Tutto sa di forzato.: dal comportamento dei genitori della bimba autistica di cui affidano il peso al fratello gemello, nonché quello del padre di Alice,che la costringe a sciare anche se non si sente, fino alla scena finale di un'Alice innamorata e di un Mattia sempre passivo. Non c'è da meravigliarsi se il cinema italiano all'estero, non sfonda e non dico altro per carità di patria.
Questa tendnza nostrana al dramma mal architettato che mescola sempre tanti problemi senza profondità è stancante ma fa parte di una certa cultura di sinistra che ritiene che al cinema bisogna piangere e comunque vergognarsi di non partecipare ai problemi del mondo. Che tutto sia privo di vera spontaneità lo dimostra il ritmo narrativo confuso e pedante.
Salvo solo gli attori; per questo non l'ho bocciato completamente.
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zozner
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venerdì 22 ottobre 2010
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ferite che non rimarginano.
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Se la vita è dura un po’ per tutti, ci sono persone che sembrano caricate di sofferenze schiaccianti dalle quali non possono riemergere, uscire, elaborare, guarire.
Il film di Saverio Costanzo liberamente tratto dal romanzo di Giordano Paolo, descrive la storia di due ragazzi, Alice e Mattia dove la genetica, la famiglia, il fato, i compagni, la scuola si accaniscono per ferire in maniera indelebile i due ragazzi. La loro peculiare sofferenza li rende riconoscibili l’uno a l’altro e si attraggono senza però riuscire a sedare, anche parzialmente il loro dolore.
Il film come il libro, racconta che poi le strade si divideranno ma nessuno dei due riuscirà a realizzare veramente una propria vita affettive.
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Se la vita è dura un po’ per tutti, ci sono persone che sembrano caricate di sofferenze schiaccianti dalle quali non possono riemergere, uscire, elaborare, guarire.
Il film di Saverio Costanzo liberamente tratto dal romanzo di Giordano Paolo, descrive la storia di due ragazzi, Alice e Mattia dove la genetica, la famiglia, il fato, i compagni, la scuola si accaniscono per ferire in maniera indelebile i due ragazzi. La loro peculiare sofferenza li rende riconoscibili l’uno a l’altro e si attraggono senza però riuscire a sedare, anche parzialmente il loro dolore.
Il film come il libro, racconta che poi le strade si divideranno ma nessuno dei due riuscirà a realizzare veramente una propria vita affettive. Non c’è intelligenza né successo sociale che possa lenire quelle vecchie ferite. E’ il finale, la soluzione che differenzia sostanzialmente il racconto cinematografico dal romanzo. Il film, Costanzo propone, crede nella possibilità di una compensazione, nella possibilità “del rimanere fuori del tunnel”, di interrompere la coazione a ripetere e lascia intravvedere, in sospeso che alla fine sia possibile una soluzione. C'é un po’ di ingenuità nel tegista che sembra quasi non farcela più a sostenere tutto quel dolore e le pare impossibile che non ci sia una soluzione.
Si, c’è sempre soluzione, una via per riscattarsi ma, non quella che Costanzo propone. La compensazione fra le due nevrosi è proprio l’inizio di un nuovo fallimento ed in fondo, la breve storia di Alice e Fabio che si incontrano all’Ospedale, sul letto della madre morente è il preludio di questo fallimento.
Il riscatto nasce dalla capacità di distaccarsi , di perdonare, di dimenticare, di inventarsi un mondo nuovo ma, questo Costanzo non lo dice o, preferisce fermarsi prima.
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cesare antonio borgia
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martedì 21 settembre 2010
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storia di dolore,amore e solitudine.
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Mattia è un genio.A scuola colleziona ottimi voti ed è un ragazzo educato.Per questo è ritenuto diverso e i pochi amici che ha si contano sul palmo di una mano.
I genitori di Mattia non lo ritengono normale,forse perchè lo accusano della scomparsa della sorellina Michela (abbandonata per mezz'ora da Mattia in un palco).
Mattia è silenzioso,quasi muto.Pensa,continuamente ed ininterrottamente.Se non pensa non è in grado di agire e quelle poche volte che agisce procura delle lesioni sul suo corpo,tagliandosi in vari punti utilizzando qualsivoglia oggetto.
Alice è vittima di un padre-padrone che ha un solo obiettivo:far si che sua figlia diventi una campionessa di sci.
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Mattia è un genio.A scuola colleziona ottimi voti ed è un ragazzo educato.Per questo è ritenuto diverso e i pochi amici che ha si contano sul palmo di una mano.
I genitori di Mattia non lo ritengono normale,forse perchè lo accusano della scomparsa della sorellina Michela (abbandonata per mezz'ora da Mattia in un palco).
Mattia è silenzioso,quasi muto.Pensa,continuamente ed ininterrottamente.Se non pensa non è in grado di agire e quelle poche volte che agisce procura delle lesioni sul suo corpo,tagliandosi in vari punti utilizzando qualsivoglia oggetto.
Alice è vittima di un padre-padrone che ha un solo obiettivo:far si che sua figlia diventi una campionessa di sci.
Alice però odia lo sport tanto amato dal padre così giunge il giorno in cui cadendo sulla neve dice addio all'odiato sport.Resterà però "zoppa" per sempre,divenendo "oggetto" di scherzi continui e insulti da parte delle sue malefiche compagne di scuola.
Alice incrocia lo sguardo di Mattia a scuola,per caso e perde la testa.I due pian piano finiscono per amarsi ma arriva il momento di separarsi.Non c'è posto per il genio in Italia.Così parte per la Germania lasciando Alice sola e immersa nei ricordi.Non si riprenderà e il matrimonio con un dottore rappresenterà per lei solo una parentesi.Un tentativo disperato;dimenticare Mattia.
Mattia su richiesta di Alice dopo sette lunghi anni torna.Finalmente possono ancora una volta passare lunghi ed interminabili momenti a guardarsi e a parlare,senza il bisogno di muovere le labbra.
Fisicamente sono diversi ma la loro natura non è mutata.Sono e resteranno numeri primi,destinati a vivere vicini ma a non legare mai.
Drammatico,commovente,emozionante.A tratti talmente tragico da lasciarti senza parole.Gran film,tratto da un capolavoro letterario.
Di Cesare Antonio Borgia
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francesco giuliano
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venerdì 17 settembre 2010
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il guscio della solitudine
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Parlerò solo del film per evitare le superflue discussioni che portano spesso ad evidenziare le differenze sostanziali tra un film e il romanzo da cui la storia del film è stata estratta.
Il film descrive le storie parallele di Mattia e di Alice, il primo con il corpo pieno di cicatrici, la seconda claudicante. Sono queste lesioni che fanno presentire che i due hanno vissuto un’infanzia segnata da fatti tragici o comunque dolorosi. Fatti che gli hanno condizionato irreversibilmente la vita per tutta la sua durata, che hanno indotto nei loro comportamenti l’impossibilità di esprimere apertamente i sentimenti più genuini, e che hanno determinato in ciascuno di loro un chiudersi verso l’altro creando, naturalmente e involontariamente, un invisibile ma percettibile guscio protettivo per difendersi da chi gli potrebbe procurare soltanto del male.
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Parlerò solo del film per evitare le superflue discussioni che portano spesso ad evidenziare le differenze sostanziali tra un film e il romanzo da cui la storia del film è stata estratta.
Il film descrive le storie parallele di Mattia e di Alice, il primo con il corpo pieno di cicatrici, la seconda claudicante. Sono queste lesioni che fanno presentire che i due hanno vissuto un’infanzia segnata da fatti tragici o comunque dolorosi. Fatti che gli hanno condizionato irreversibilmente la vita per tutta la sua durata, che hanno indotto nei loro comportamenti l’impossibilità di esprimere apertamente i sentimenti più genuini, e che hanno determinato in ciascuno di loro un chiudersi verso l’altro creando, naturalmente e involontariamente, un invisibile ma percettibile guscio protettivo per difendersi da chi gli potrebbe procurare soltanto del male. Gli sguardi fissi, il perdurare dei silenzi snervanti, la mancanza di un dialogo normale, domande senza risposte, l’incapacità di aprirsi l’un l’altro, tutto ciò evidenzia uno stato latente di sofferenza duratura che blocca quell’attitudine empatica che contraddistingue ogni essere umano nei comuni rapporti affettivi. Certo diversa è la storia di Mattia che si infligge delle ferite per espiare una colpa gravissima da quella di Alice che in seguito ad un incidente sulla neve rimane zoppa. Storie diverse che comunque portano agli stessi comportamenti.
Il regista per tutta la durata del film usa spesso dei flash andando sia indietro che avanti nella storia dei due protagonisti. In un primo momento questo disorienta lo spettatore che si rende conto poi della tecnica adottata e l’apprezza.
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kalibano
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sabato 11 settembre 2010
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l'incomunicabilità nelle parole...nella fisicità
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da un romanzo certo non facile, non poteva che venirme fuori una difficoltà nella trasposizione. il film, tra tanti penso voluti rifermenti a ben noti registi, è stato girato al meglio. fornisce una chiara idea della drammaticità, prettamente fisica, dei protagonisti. tutto è incentrato lì...è l'epilogo che fornisce la chiave di lettura dell'intera storia. quella panchina non è il punto di incontro tra i due protagonisti, ma piuttosto la riunificazione dei due fratelli...
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