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dario
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martedì 27 luglio 2010
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paradigmatico
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Il carcere come paradigma della vita. Ma il film è troppo lungo, la tesi si sfilaccia e giunge a conclusioni granguignolesche, rovinando tutta la buona preparazione iniziale. Cinema secco, a tratti quasi da spot pubblicitario, purtroppo, e notevole recitazione. Regia sicura, ma sceneggiatura che si perde in mille dettagli, mostrando scarso carattere. Criminalità troppo sfumata, quasi giustificata, sottolinata per sostenere una certa fenomenologia a tutti i costi. Ridarella finale inopportuna.
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sabato 15 maggio 2010
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percorso di formazione alla rovescia
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Malik (il quasi esordiente Tahar Rahim), giovane arabo-francese, entra in carcere neppure ventenne, solo, senza un soldo, sprovveduto e disprezzato per le sue origini. Ne esce sei anni più tardi, ormai divenuto un boss temuto e rispettato, grazie alla protezione offertagli da un padrino della mafia corsa, Cesar Luciani (Niels Arestrup), ma soprattutto in virtù della straordinaria capacità di comprendere e convincere gli altri ed anticiparne le mosse, che è poi il vero significato del titolo. Storia di un percorso di formazione alla rovescia, Il Profeta scandisce le tappe della maturazione di un giovane attraverso le esperienze negative della violenza (l'assassinio che è costretto a compiere all'inizio del film è un battesimo del sangue, un'irreversibile perdita di innocenza), del sopruso, della menzogna, del tradimento.
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Malik (il quasi esordiente Tahar Rahim), giovane arabo-francese, entra in carcere neppure ventenne, solo, senza un soldo, sprovveduto e disprezzato per le sue origini. Ne esce sei anni più tardi, ormai divenuto un boss temuto e rispettato, grazie alla protezione offertagli da un padrino della mafia corsa, Cesar Luciani (Niels Arestrup), ma soprattutto in virtù della straordinaria capacità di comprendere e convincere gli altri ed anticiparne le mosse, che è poi il vero significato del titolo. Storia di un percorso di formazione alla rovescia, Il Profeta scandisce le tappe della maturazione di un giovane attraverso le esperienze negative della violenza (l'assassinio che è costretto a compiere all'inizio del film è un battesimo del sangue, un'irreversibile perdita di innocenza), del sopruso, della menzogna, del tradimento. Se sulle prime un'altra via sembra possibile, quella del recupero e del reinserimento, della scuola e dell'apprendimento di un mestiere, presto tale possibilità si rivela illusoria e Malik è forzato a compiere scelte che sono in realtà costrizioni dettate dalla necessità di sopravvivere all'interno di un meccanismo su cui non ha alcun controllo (e qui la riflessione di Audiard sembra trascendere i confini della realtà carceraria per farsi discorso più generale sulla condizione umana). Impara rapidamente come muoversi in carcere per non restare isolato, ne comprende le regole non scritte, apprende ad ascoltare e farsi ascoltare, intuisce le dinamiche del potere e degli affari e le fa proprie. Quando riuscirà a liberarsi di Luciani, padre putitavo utilitarista ed arido, il processo di crescita è compiuto.
Film meticolasamente realista nella cura dei dettagli con cui mostra i lati oscuri del sistema carcerario, Il Profeta offre un'immagine della società francese, ormai intrinsecamente multietnica, in cui il nuovo (qui il clan degli arabi) si fa strada disfacendosi del vecchio (i corsi), ma lo sguardo di Audiard non è nostalgico, non c'è pietas, nè giudizio morale. E laddove si fa onirico, mantiene intatta la coesione narrativa (ben risucite ad esempio le sequenze sulle visioni ricorrenti che Malik ha dell'uomo che ha assassinato), tranne in qualche caso (la premonizione sull'incidente col cervo è francamente una sbavatura).
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el tronco
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venerdì 7 maggio 2010
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un romanzo di formazione...criminale.
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“Il profeta” parte da una gelida critica al sistema carcerario, stando ben attento a non strizzare troppo l'occhio ai facili espedienti del genere, per raccontarci la storia della formazione del giovane Malik. E che formazione. Jacques Audiard vuole raccontare come, in gattabuia, al di là delle scuole comprensive interne, dove si lavora con quaderno e penna, la materia che meglio si apprende è quella criminale. In effetti, la vita del giovane detenuto si evolve a doppio binario: da una parte, sul binario “buono”, Malik impara l'alfabeto, conosce il significato dell'amicizia, saggia l'emozione del primo volo d'aereo; dall'altro, sul binario “cattivo”, Malik ha a che fare con traffici di sostanze stupefacenti, pistole, omicidi.
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“Il profeta” parte da una gelida critica al sistema carcerario, stando ben attento a non strizzare troppo l'occhio ai facili espedienti del genere, per raccontarci la storia della formazione del giovane Malik. E che formazione. Jacques Audiard vuole raccontare come, in gattabuia, al di là delle scuole comprensive interne, dove si lavora con quaderno e penna, la materia che meglio si apprende è quella criminale. In effetti, la vita del giovane detenuto si evolve a doppio binario: da una parte, sul binario “buono”, Malik impara l'alfabeto, conosce il significato dell'amicizia, saggia l'emozione del primo volo d'aereo; dall'altro, sul binario “cattivo”, Malik ha a che fare con traffici di sostanze stupefacenti, pistole, omicidi. Ed è proprio il secondo binario, come bene s'intuisce nella scena finale, ad avere la meglio, in un simile, subdolo, contesto. L'aspetto che più colpisce è probabilmente la lucida spietatezza con la quale i meccanismi malavitosi si svolgono. Lucidissima, perché Audiard, forse aiutato anche da conversazioni che si alternano in 3 lingue diverse e garantiscono una tenuta forte con la realtà, adotta quasi un approccio documentaristico all'argomento. Marsigliesi, regolamenti di conti, mandate di droga da Marbella: siamo di fronte a uno spaccato della criminalità odierna. Con, comunque, qualche concessione più cinematografica: le conversazioni con un fantasma in cella, le azzeccate rappresentazioni oniriche (quasi in stile surrealista), una sparatoria all'americana. Stesso discorso per quanto riguarda il montaggio: una ferrea linearità, fatta tra l'altro di bei primi piani, rotta a sprazzi da un intercalare più pulp. A ben vedere, l'unico vero rimprovero che si può muovere al regista, è quello di mischiare un po' troppo le carte del mazzo, nelle due ore e mezzo di film, correndo il rischio di disorientare lo spettatore. Un formato più smart, avrebbe reso i suoi significati (ancor) più diretti al cuore.
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edward teach
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mercoledì 5 maggio 2010
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bel film
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Una bella sorpresa. Da non mancare.
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icp72
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martedì 27 aprile 2010
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scarface in salsa europea
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Bel film, bello davvero.
Scaface come lo avrebbe diretto un europeo, la banlieau al posto dei sobborghi di Miami, Marbella al posto delle disco di Miami, l'ahish al posto della coca, tutto trasposto, ma non un remake...liberamente tratto.
E poi concede qualcosa alle visioni oniriche di david Linch, sulle quale avrebbe potuto indulgere maggiormente, per conferire maggiore lirismo, più intimità.
Ottima la fotografia, e belle le musiche, blues e funk, dove il film indugia, rallenta, riflette, si sopisce per ripartire con nuova violenza, visiva e verbale, nuova linfa e nuove idee di tradimento per il protagonista.
E poi un finale dolce, in cotrapposizione al finale amaro, amaro come la coca, di Scarface.
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Bel film, bello davvero.
Scaface come lo avrebbe diretto un europeo, la banlieau al posto dei sobborghi di Miami, Marbella al posto delle disco di Miami, l'ahish al posto della coca, tutto trasposto, ma non un remake...liberamente tratto.
E poi concede qualcosa alle visioni oniriche di david Linch, sulle quale avrebbe potuto indulgere maggiormente, per conferire maggiore lirismo, più intimità.
Ottima la fotografia, e belle le musiche, blues e funk, dove il film indugia, rallenta, riflette, si sopisce per ripartire con nuova violenza, visiva e verbale, nuova linfa e nuove idee di tradimento per il protagonista.
E poi un finale dolce, in cotrapposizione al finale amaro, amaro come la coca, di Scarface...un finale dolce, dolce come l'odore dell'ashis.
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claudiorec
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venerdì 23 aprile 2010
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bravo audiard
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Ottima la regia, mi aspettavo di più dalla sceneggaitura! Tutto sommato un buon film!
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mimmo_calciano
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domenica 18 aprile 2010
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tanta confusione e noia
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noioso...non si capisce niente!!!!
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angelo umana
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mercoledì 14 aprile 2010
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to complicated to be liked
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Mamma mia, mi sento piccolo davanti a tanta scienza che è stata attribuita al film, alla tanta grandezza che i critici gli hanno dato. Troppo complicato, mi perdevo nei meandri degli schieramenti in prigione, corsi o arabi, alla fine non sapevo chi stava con chi. Poi - come nelle migliori avventure di Indiana Jones - l'eroe prevale, esce di prigione "imparato" e forse colto e, giusto per acquietarmi finalmente, ad aspettarlo ci sono una donna e un bambino. E vissero felici e contenti, dopo tutto 'sto casino!
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grid alien
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lunedì 12 aprile 2010
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bellissimo
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Recitato, sceneggiato, girato e fotografato stupendamente, si può pretendere di più?
Una sola cosa: non è comprensibile come mai il film(stupendo) "Shutter Insland" di Martin Scorsese sia stato vietato ai minori di 14 e invece questo, ben più crudo(giustamente), si sia sottrato al divieto...
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fight.club
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mercoledì 7 aprile 2010
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ognuno desidera quello che vede
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un piccolo bullo di una periferia che potrebbe appartenere a qualsiasi città del mondo, un ragazzo senza famiglia dove la strada sembra la sua casa, una strada senza punti di riferimento segnata solo dal caso e dalla violenza. Ecco l'universo di Malik El Djebena, un universo che diventa più stretto e claustrofobico quando diventato maggiorenne viene trasferito dal riformatorio a un carcere vero. Non conosce nessuno, non ha nemmeno un vestito e il suo avvocato è un legale che molto non può fare. Scaraventato nel mondo dei veri delinquenti sarà costretto ad accettare di diventare quello che forse non è, a commettere e subire cose che non immaginava di fare. Non è un vero criminale, solo uno sbandato, un solitario, un mezzosangue si sarebbe detto una volta, la sua origine non europea non lo aiuta a schierarsi, troppo arabo per i francesi, troppo francese per gli arabi, una via di mezzo che può essere la sua deifinitiva condanna ma che diventa il suo punto di forza, lui sa parlare a tutti, impara addirittura il dialetto corso del suo "padrone" che lo protegge e lo sfrutta.
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un piccolo bullo di una periferia che potrebbe appartenere a qualsiasi città del mondo, un ragazzo senza famiglia dove la strada sembra la sua casa, una strada senza punti di riferimento segnata solo dal caso e dalla violenza. Ecco l'universo di Malik El Djebena, un universo che diventa più stretto e claustrofobico quando diventato maggiorenne viene trasferito dal riformatorio a un carcere vero. Non conosce nessuno, non ha nemmeno un vestito e il suo avvocato è un legale che molto non può fare. Scaraventato nel mondo dei veri delinquenti sarà costretto ad accettare di diventare quello che forse non è, a commettere e subire cose che non immaginava di fare. Non è un vero criminale, solo uno sbandato, un solitario, un mezzosangue si sarebbe detto una volta, la sua origine non europea non lo aiuta a schierarsi, troppo arabo per i francesi, troppo francese per gli arabi, una via di mezzo che può essere la sua deifinitiva condanna ma che diventa il suo punto di forza, lui sa parlare a tutti, impara addirittura il dialetto corso del suo "padrone" che lo protegge e lo sfrutta. Piano piano si crea dei suoi punti di riferimento non certo elevati, piega i suoi desideri alla realtà che lo circonda, un'anima divisa in due che miscela nel finale del film una voglia di riscatto diventando uno spacciatore e la ricerca di una famiglia che non ha mai avuto. film crudo e intenso. da vedere
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