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spike
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mercoledì 7 aprile 2010
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il profeta del cinema
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Un film d'autore che ha in sè i caratteri del grande cinema d'azione: la scena dell'assassinio in carcere dell'arabo Sayed è già diventata una scena di culto, quel rivolo di sangue che esce dalla bocca dell'assassino è un colpo da grandi maestri di cinema. Peccato per il doppiaggio in italiano, non ho ancora visto la versione in lingua originale ma ho l'impressione che le diverse lingue parlate (francese, corso, arabo e italiano) abbiano il loro peso nella trama. Ottimi interpreti, vedremo se il film argentino, vincitore dell'Oscar come miglior film straniero (in uscita a giugno nelle nostre sale) sia migliore di questo.
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slowfilm.splinder.com
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martedì 6 aprile 2010
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dettagli in superficie.
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La tendenza (non di rado utilitaristica) del critico, del bravo spettatore, del cinefilo in generale, è di stupirsi delle piccole cose, ricercando e apprezzando i dettagli più della rappresentazione evidente, il particolare rispetto alla sequenza costruita e complessa. Un Profeta ne ha tanti, di dettagli e particolarità. Il volto inedito di Tahar Rahim, il dialetto corso di Neils Arestrup e il suo sguardo feroce e tradito, il rivolo di sangue che gocciola dal mento di chi nasconde una lametta in bocca, lo spalancare la bocca e mostrare la lingua in un controllo all’aeroporto, cedendo all’automatismo appreso durante le perquisizioni carcerarie, e tanti altri. Un Profeta, attraverso questi dettagli, ricostruisce delle vite, ma dietro le stesse non c’è la costruzione di un’impressione unica e coesa, una forza, un’identità emotiva, come quella che nasce nei film di Tsai Ming Liang, Altman, Malick, dal Cimino de I Cancelli del Cielo o Peckinpah di Pat Garrett e Billy the Kid.
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La tendenza (non di rado utilitaristica) del critico, del bravo spettatore, del cinefilo in generale, è di stupirsi delle piccole cose, ricercando e apprezzando i dettagli più della rappresentazione evidente, il particolare rispetto alla sequenza costruita e complessa. Un Profeta ne ha tanti, di dettagli e particolarità. Il volto inedito di Tahar Rahim, il dialetto corso di Neils Arestrup e il suo sguardo feroce e tradito, il rivolo di sangue che gocciola dal mento di chi nasconde una lametta in bocca, lo spalancare la bocca e mostrare la lingua in un controllo all’aeroporto, cedendo all’automatismo appreso durante le perquisizioni carcerarie, e tanti altri. Un Profeta, attraverso questi dettagli, ricostruisce delle vite, ma dietro le stesse non c’è la costruzione di un’impressione unica e coesa, una forza, un’identità emotiva, come quella che nasce nei film di Tsai Ming Liang, Altman, Malick, dal Cimino de I Cancelli del Cielo o Peckinpah di Pat Garrett e Billy the Kid. Autori di opere molto diverse fra loro, ma tutte assumono nel ricordo un’impressione definita, e richiamarle alla memoria significa tornare ad un mondo che ha ospitato noi, così come il suo autore. Il Profeta, come ripete spesso, lavora solo per se stesso, e Audiard ricostruisce la sua vita scegliendo e accostando dei ritagli di realtà. Inoltre il regista, con critica e amara ironia, descrive nella prigione un percorso formativo, che porta il protagonista Malik, confuso diciannovenne, a diventare un criminale rispettato e temuto. Ancora, le dinamiche interne al sistema carcerario si fanno specchio della società francese; ma in questo, sinceramente, trovo una certa sopravvalutazione dell’incisività e del valore del messaggio, come in alcuni film di Haneke. Il Profeta lavora per sé e per la sua storia, l’arricchisce di riferimenti mistici, talvolta svuotandoli delle loro spiritualità, in altre occasioni restituendogliela, per quanto malconcia. Inquina la sua realtà con la finzione cinematografica, attraverso ralenti e uomini che vivono con la gola squarciata. E, nel complesso, (di)mostra la propria consapevolezza, forse eccessiva, che impedisce di scorgere un’anima imprevista, immediata. slowfilm.splinder.com
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fabruss
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lunedì 5 aprile 2010
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i film che non riusciamo a fare noi
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un grande film, un film di simboli, che va aldilà del realismo più o meno credibile, delle facili interpretazioni di genere. è in primo luogo un film sull'iniziazione, sulla forza dell'individuo per sopravvivere in un mondo che è ancora giungla, istinto di sopraffazione, guerra tra tribù. oltre la retorica dei nostri filmacci di mafia, malik non sceglie il male, ma vi è costretto; egli parte analfabeta in un mondo ipertecnologico, straniero in patria, e non può affermarsi se non con la più antica delle leggi: la violenza., oltre all'intelligenza innata. non c'è però compiacimento, semmai riflessioni esistenzialiste sul fallimento o l'inadeguatezza di certi modelli coercitivi.
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un grande film, un film di simboli, che va aldilà del realismo più o meno credibile, delle facili interpretazioni di genere. è in primo luogo un film sull'iniziazione, sulla forza dell'individuo per sopravvivere in un mondo che è ancora giungla, istinto di sopraffazione, guerra tra tribù. oltre la retorica dei nostri filmacci di mafia, malik non sceglie il male, ma vi è costretto; egli parte analfabeta in un mondo ipertecnologico, straniero in patria, e non può affermarsi se non con la più antica delle leggi: la violenza., oltre all'intelligenza innata. non c'è però compiacimento, semmai riflessioni esistenzialiste sul fallimento o l'inadeguatezza di certi modelli coercitivi. un film da vedere assolutamente.
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cannedcat
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lunedì 5 aprile 2010
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la sorbona del crimine
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L'universo carcerario con le sue anime perse, senza melensaggini giustificazioniste, umani in trappola fra culture incociliabili, ufficiose gerarchie feroci, omosessualità più voluta che subita, outsider corsi e magrebini più ospiti indesiderati che veri cittadini francesi, il carcere Sorbona del crimine, dove s'impara a leggere mentre si diventa imprenditore del traffico, muri, celle e sbarre che non fermano la diplomazia fra le bande, gli ordini di guerra, le vendette, gli accordi con avvocati, guardie e magistrati, un mondo isolato, alieno ma non più diverso dal mondo dei buoni borghesi.
Si potrebbe mostrarlo nelle scuole se l'anormalità della devianza non fosse così normale da poter far passare il messaggio che in fondo stare in galera è quasi una villeggiatura come canta una vecchia canzone mafiosa.
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L'universo carcerario con le sue anime perse, senza melensaggini giustificazioniste, umani in trappola fra culture incociliabili, ufficiose gerarchie feroci, omosessualità più voluta che subita, outsider corsi e magrebini più ospiti indesiderati che veri cittadini francesi, il carcere Sorbona del crimine, dove s'impara a leggere mentre si diventa imprenditore del traffico, muri, celle e sbarre che non fermano la diplomazia fra le bande, gli ordini di guerra, le vendette, gli accordi con avvocati, guardie e magistrati, un mondo isolato, alieno ma non più diverso dal mondo dei buoni borghesi.
Si potrebbe mostrarlo nelle scuole se l'anormalità della devianza non fosse così normale da poter far passare il messaggio che in fondo stare in galera è quasi una villeggiatura come canta una vecchia canzone mafiosa.
Trama ordinata, senza slabbrature, ritmo giusto, più docu-fiction che film, vita vissuta e realtá sparata in faccia allo spettatore, senza sconti e infingimenti.
Colonna sonora scarna, non invasiva, perfetta nel finale, una vera chicca!
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lillibeccaria
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giovedì 1 aprile 2010
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il carcere è un luogo ristretto
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pensavo, leggendo le varie recensioni entusiaste, che fosse la vita in ascesa di un capo banda moderno ed invece tutta la storia si limita a descrivere la gavetta di un giovane carcerato durante il suo apprendistato violento e , a volte, morboso o scontato. Assolutamente triste e perverso, violento e poco divertente. Non consigliabile.
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mary22
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mercoledì 31 marzo 2010
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nell'insieme noioso
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Un film duro e registicamente solido ma senza guizzi, non intrigante.Non originale soprattutto, a tal punto da pensare quale, se ci sia, possa essere il suo messaggio portante. Ora capisco perchè Haneke col suo film inconcludente ma con una indubbia carica allusiva, si sia portato a casa la palma d'oro.
[+] possa essere stato il suo messaggio portante..
(di mary22)
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chiarialessandro
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lunedì 29 marzo 2010
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quo vadis?
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Un (per me) abbastanza nuovo e sorprendente regista, realizza un film senza via di scampo per gli spettatori, nel senso che riesce ad accalappiare con facilità la nostra attenzione e non ce la fa mollare più, anche perché (soprattutto in certi momenti) è veramente difficile riuscire a prevedere quale saranno gli sviluppi di una storia che incalza in modo crudo, duro, spietato e violento, lasciando ben poco ai sentimenti di un ragazzo che entra in prigione come un delinquente di piccolo calibro e, grazie agli ammaestramenti ricevuti, ne esce come un boss. Per fortuna che la scena finale apre la porta ad un qualcosa che, pur con tutte le cautele del caso, può essere chiamato umanità. Una menzione particolare per le inquadrature chiuse, strette, senza spazio e ravvicinate, che aiutano certamente ad acuire quel voluto senso di angoscia trasudato dal contenuto della pellicola.
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Un (per me) abbastanza nuovo e sorprendente regista, realizza un film senza via di scampo per gli spettatori, nel senso che riesce ad accalappiare con facilità la nostra attenzione e non ce la fa mollare più, anche perché (soprattutto in certi momenti) è veramente difficile riuscire a prevedere quale saranno gli sviluppi di una storia che incalza in modo crudo, duro, spietato e violento, lasciando ben poco ai sentimenti di un ragazzo che entra in prigione come un delinquente di piccolo calibro e, grazie agli ammaestramenti ricevuti, ne esce come un boss. Per fortuna che la scena finale apre la porta ad un qualcosa che, pur con tutte le cautele del caso, può essere chiamato umanità. Una menzione particolare per le inquadrature chiuse, strette, senza spazio e ravvicinate, che aiutano certamente ad acuire quel voluto senso di angoscia trasudato dal contenuto della pellicola.
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cri83
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lunedì 29 marzo 2010
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impegnativo e interessante...
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Un film/documentario che tratta un argomento estremamente delicato, come quello del carcere. Indubbiamente questo film è molto interessante da vedere, ma se siete alla ricerca di un film "leggero" per passare una serata, assolutamente sconsigliato...la durata, forse eccessiva, lo rende a tratti un pò noioso. Certamente è importante "azzeccare" la serata per guardare un film così impagnativo!
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(di marquise)
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[+] tutto è ma non documentaristico
(di grid alien)
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cri83
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lunedì 29 marzo 2010
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impegnativo e interessante...
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Un film/documentario che tratta un argomento estremamente delicato, come quello del carcere. Indubbiamente questo film è molto interessante da vedere, ma se siete alla ricerca di un film "leggero" per passare una serata, assolutamente sconsigliato...la durata, forse eccessiva, lo rende a tratti un pò noioso. Certamente è importante "azzeccare" la serata per guardare un film così impagnativo!
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marquise
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domenica 28 marzo 2010
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un giovane eroe
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è strameritato il gran premio della giuria di cannes,questo è un davvero un bel film,molto vero, molto reale, con uno splendido giovane protagonista: ha una presenza fisica fortissima, pur non essendo un macho ed è effascinante,pur non essendo bello. è un film carcerario che racconta la rigenerazione e la conseguente ascesa di malik, un giovane criminale arabo, analfabeta,silenzioso,timoroso,fragile,ma paradossalmente molto forte,deciso e brutale. Il regista è bravissiomo a delineare la psicologia di questo personaggio, che forse è un profeta perchè annucia un nuovo modo di essere criminale:violento e spietato, ma sempre con qualcosa di angelico nell'anima e con una raffinata intelligenza, che fanno di malik un autentico eroe,capace di conquistare tutti,anche lo spettatore.
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(di ocram)
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[+] un eroe del male
(di fabruss)
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