gianmarco.diroma
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giovedì 6 settembre 2012
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quarcheduno l'aveva da ammazzà
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"Se Cristo era venuto pe' morì/ quarcheduno l'aveva da ammazzà". Il dialetto romanesco sa veramente essere bruto! Non c'è "Mistero della Fede" che tenga! Oggi su la Repubblica è pubblicato un articolo di Eugenio Scalfari con titolo "Giuda e l'autonomia della politica": nella pagina a lui dedicata, Scalfari utilizza la figura di Giuda per sottolineare come i moventi della politica non debbano (e forse, non possano) coincidere con quelli della religione: lo fa analizzando la figura dello "zelota", sostenendo apertamente che il "bene comune" necessiti per essere perseguito della conquista del potere (posto addirittura "come obiettivo irrinunciabile"), mentre la "carità" (per come viene intesa e definita in questo articolo) "dev'essere il contenuto di una vita" e "non ha bisogno del potere".
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"Se Cristo era venuto pe' morì/ quarcheduno l'aveva da ammazzà". Il dialetto romanesco sa veramente essere bruto! Non c'è "Mistero della Fede" che tenga! Oggi su la Repubblica è pubblicato un articolo di Eugenio Scalfari con titolo "Giuda e l'autonomia della politica": nella pagina a lui dedicata, Scalfari utilizza la figura di Giuda per sottolineare come i moventi della politica non debbano (e forse, non possano) coincidere con quelli della religione: lo fa analizzando la figura dello "zelota", sostenendo apertamente che il "bene comune" necessiti per essere perseguito della conquista del potere (posto addirittura "come obiettivo irrinunciabile"), mentre la "carità" (per come viene intesa e definita in questo articolo) "dev'essere il contenuto di una vita" e "non ha bisogno del potere". Premesso che la presa e l'esercizio del potere necessitino di una vittoria nel corso di una lotta, e che quindi il concetto di "bene comune" non può essere inteso in senso assoluto (perché in una lotta esistono i vincitori ed esistono i vinti, e di uomini al potere che hanno abbiano fatto contenti tutti, usando un linguaggio semplice, non ce ne sono stati, non ce ne sono di certo oggi e non ce ne saranno probabilmente neanche in futuro), ma va circoscritto e portato ad una contingenza precisa (un periodo storico o un luogo per esempio), e premesso che la "carità" potrebbe avere a che fare sia con le imprese (chi crea posti di lavoro, non compie un gesto venato di una qualche forma di carità?), sia dall'altra parte, con chi lotta contro lo strapotere degli imprenditori (per esempio i sindacati o i patronati), lì dove questi eccessi si manifestino in tutta la loro opulenza, la vicenda di Bobby Sands raccontata da Steve McQueen e interpretata da Michael Fassbender, offre allo spettatore una valida eccezione, o meglio il cosiddetto "elemento cortocircuitale", capace di rendere un pochino meno vere le grandi verità contenute nell'articolo di Eugenio Scalfari. Perché i 66 giorni di sciopero della fame e della sete a cui Bobby Sands si è sottoposto (e che McQueen racconta aderendo fisicamente al corpo del suo attore preferito), sono l'esempio concreto di come il martirio possa essere un gesto politico. La morte di Bobby Sands e di chi seguì dopo di lui, smosse le coscienze di molti: la copertura mediatica fu notevole, e c'è chi sostiene che la lunga strada che avrebbe portato all'Accordo del Venerdì Santo, abbia avuto inizio proprio qui. In questo luogo, quello di un film di Steve McQueen, interpretato da Michael Fassbender, dove si gioca una guerra che vede contrapporsi i pugni duri e martoriati delle guardie carcerarie (che vivono in una sorta di prigione anche nelle proprie case, nelle proprie macchine, "bersagli mobili di ogni cecchino") al sacrificio ultimo dei detenuti che prendono parte allo sciopero della fame. Non esiste un dentro e un fuori nello spazio della guerra raccontato da McQueen. Esistono solo uomini, in cella. Uomini, spesso nudi, in spazi altrettanto nudi decorati solamente dagli escrementi dei detenuti spalmati sulle pareti per protesta. Il martirio di Bobby Sands e di chi, come lui, ha sacrificato la propria vita in nome della lotta, dimostra come il martirio, il sacrificio di sé, sia un gesto capace di unire carità (non si dona qualcosa, si fa dono della propria vita), e bene comune per chi condivide quel bene nel nome di una causa comune (perché per fortuna il relativismo è stato scoperto, e di verità, in teoria, non ce n'è una sola).
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osteriacinematografo
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mercoledì 4 luglio 2012
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l'agonia di bobby sands
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Irlanda del nord, anni 70. Margaret Thatcher, primo ministro d’Inghilterra, ha abolito lo status di prigioniero politico, e i detenuti appartenenti all’IRA debbono sottostare al regime carcerario ordinario, subendo la sorte e la destinazione dei criminali comuni. In seguito a tal decisione, i membri della resistenza armata irlandese detenuti a Long Kesh –più noto come Maze (Labirinto)- decisero così di porre in essere una serie di atti di protesta eclatanti: nel 1976 diedero vita alla protesta delle coperte (blanket protest), rifiutando di indossare l’uniforme carceraria ; nel 1978 procedettero alla “protesta dello sporco “ (dirty protest), una sorta di sciopero dell’igiene in base al quale i detenuti rifiutavano ogni forma di pulizia, imbrattando i muri coi propri escrementi e inondando d’urina i corridoi.
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Irlanda del nord, anni 70. Margaret Thatcher, primo ministro d’Inghilterra, ha abolito lo status di prigioniero politico, e i detenuti appartenenti all’IRA debbono sottostare al regime carcerario ordinario, subendo la sorte e la destinazione dei criminali comuni. In seguito a tal decisione, i membri della resistenza armata irlandese detenuti a Long Kesh –più noto come Maze (Labirinto)- decisero così di porre in essere una serie di atti di protesta eclatanti: nel 1976 diedero vita alla protesta delle coperte (blanket protest), rifiutando di indossare l’uniforme carceraria ; nel 1978 procedettero alla “protesta dello sporco “ (dirty protest), una sorta di sciopero dell’igiene in base al quale i detenuti rifiutavano ogni forma di pulizia, imbrattando i muri coi propri escrementi e inondando d’urina i corridoi.
Dopo alcuni anni trascorsi in carcere in condizioni disumane, i paramilitari dell’IRA, nel 1980, intrapresero il primo sciopero della fame, durato quasi due mesi, fino al momento in cui il governo inglese promise rapidi cambiamenti del loro regime carcerario. Ciò non avvenne mai, e Bobby Sands, divenuto ufficiale comandante dell’IRA a Long Kesh, il primo marzo del 1981, iniziò uno sciopero della fame che lo condusse alla morte, poco più di due mesi dopo. Entro l’agosto di quello stesso anno, morirono in modo analogo altri nove militanti dell’IRA detenuti a Maze.
Il film del regista inglese Steve McQueen si rivela un esercizio estetico di puro cinema: mostra la realtà senza filtro e senza artifici di sorta, rifiutandosi di raccontare in modo canonico. Le parole non servono, o ne servono poche per mostrare lo squallore e la crudezza della realtà carceraria, che qui si rivela in una nera magnificenza che diviene spirale di morte.
Lo stile di McQueen ricorda quello contemplativo ed estenuante di Gus Van Sant, per le infinite sequenze che indugiano ossessivamente sui particolari che scandiscono la prigionia, sulla quotidianità che si ripete in modo asfissiante e meccanico, spezzata soltanto da brevi istanti distonici. E così osserviamo la pulizia di un corridoio in versione integrale, e il rumore dello straccio e dell’acqua contro il pavimento e i liquidi organici dei detenuti assume le sembianze di un ritornello dilaniante e raffigura il suono metallico e martellante della follia claustrofobica del carcere.
E poi, nell’unica sequenza in cui il regista concede uno spazio reale alle parole, va in scena un dialogo fitto e serratissimo fra Sands e un prete (Liam Cunningham), che tenta di far desistere l’uomo dai suoi propositi: la sfida dialettica e concettuale prosegue per gradi e fumo di sigarette, fino al racconto rivelatore di Sands, fino al ricordo di quel puledro ferito, che svela al prete quanto Bobby sia risoluto e stanco di trattare, e quanto sia deciso al suo scopo, ad agire, a far parlare i fatti, a scioccare l’opinione pubblica con un gesto definitivo.
Questo è il momento che spezza in due il film, che segna il passo oltre cui si cela il declivio finale, in cui la camera trasferisce i propri occhi su Bobby Sands, sulla parabola discendente e senza ritorno di uomo pronto a dare la vita per difendere le proprie rivendicazioni. La scena si trasferisce quindi sul letto di morte di Sands: il tempo di un conto alla rovescia inesorabile è battuto dal cibo rifiutato che si alterna al fianco del degente.
L’uomo si consuma lentamente, le forze e i sensi si affievoliscono così come la messa a fuoco, la fine si affaccia come un assillo inespugnabile, le immagini si fanno distorte, i sogni di Sands bambino fuggono liberi per i campi d’Irlanda, fino a sostituire una realtà offuscata. E lo sguardo obliquo e appannato sulla madre disperata somiglia allo sguardo straziato di un animale ferito a morte.
Le immagini seguono un ritmo lento e angoscioso: è una fine insopportabile, che logora il corpo del condannato e gli occhi dello spettatore. La camera oscilla e tentenna sullo scrigno depauperato di Bobby Sands, la cui agonia durò ben 66 giorni, fra sofferenze atroci e l’indifferenza del governo inglese. Michael Fassbender è straordinario e quasi spaventoso nei panni di Sands: l’attore tedesco fornisce l’ennesima performance eccellente, l’ennesima trasformazione, prestando sensibilità e il corpo stesso al personaggio che interpreta: è infatti dimagrito fino a venti chili per “incarnare” alla perfezione il dramma di un uomo che ha dato la vita per difendere un’idea.
La storia non è abbastanza nota per i morti che si porta appresso. E’ stato quindi giusto e necessario raccontarla e farla rivivere, trent’anni dopo.
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epidemic
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giovedì 24 maggio 2012
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azz
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maristella
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martedì 22 maggio 2012
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unger
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Dico la mia. Film eccessivamente iper valutato. Ho quasi come l'impressione che faccia tanto essere intellettuali-alternativi lodare Steve Mc Queen regista. Come se fosse un Dio e avesse fatto il capolavoro del secolo. Il film è di un minimalismo insopportabile.L'assenza di musica imperdonabile. Le scene, dall'inizio alla fine, non parlano e non spiegano mai cos'è successo in Irlanda, tra il '76 e l'81...il nostro McQueen dà per scontato che lo spettatore sappia tutto. Che si sia documentato prima, che sia informatissimo. Che conosca le orrende brutture accadute. Siamo lontani dal bellissimo Nel nome del padre e poi ancora Una scelta d'amore, pellicola rasente la perfezione, e dove, in entrami i film, si affronta chiaramente e lucidamente l'altra faccia, sporca e vergognosa, della bella natura irlandese.
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Dico la mia. Film eccessivamente iper valutato. Ho quasi come l'impressione che faccia tanto essere intellettuali-alternativi lodare Steve Mc Queen regista. Come se fosse un Dio e avesse fatto il capolavoro del secolo. Il film è di un minimalismo insopportabile.L'assenza di musica imperdonabile. Le scene, dall'inizio alla fine, non parlano e non spiegano mai cos'è successo in Irlanda, tra il '76 e l'81...il nostro McQueen dà per scontato che lo spettatore sappia tutto. Che si sia documentato prima, che sia informatissimo. Che conosca le orrende brutture accadute. Siamo lontani dal bellissimo Nel nome del padre e poi ancora Una scelta d'amore, pellicola rasente la perfezione, e dove, in entrami i film, si affronta chiaramente e lucidamente l'altra faccia, sporca e vergognosa, della bella natura irlandese.
Non voglio fare il -bastian contrario-, ma a me questo film non è piaciuto. E dico di più: non riesco a dargli un voto, ma solo un giudizio: questa pellicola è un'occasione persa.
Andrà negli annuari dei capolavori, e lo rispetto. Ma non nei miei.
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salvatore marfella
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martedì 15 maggio 2012
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"hunger" ovvero quando il corpo si fa politica
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Film d'esordio del regista di videoclip Steve McQueen (omonimo dell'attore scomparso nel 1980). Basato quasi essenzialmente sul Corpo e le sue ferite, il film narra l'odissea di Bobby Sands (un ottimo Fassbender), Cristo moderno che va intrepido incontro ad una morte terribile e dolorosa. Un film quasi "biologico" più che politico nella sua osservazione delle ferite del corpo, immagine e metafora delle ferite dell'anima. Film sulla Libertà, qua e là irritante e volutamente sgradevole, descrive accanitamente il corpo del protagonista, il suo disfacimento, le sue secrezioni (piscio, escrementi, pustole) con immagini che qua e là strizzano l'occhio all'arte contemporanea (graffitismo astratto, body-art).
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Film d'esordio del regista di videoclip Steve McQueen (omonimo dell'attore scomparso nel 1980). Basato quasi essenzialmente sul Corpo e le sue ferite, il film narra l'odissea di Bobby Sands (un ottimo Fassbender), Cristo moderno che va intrepido incontro ad una morte terribile e dolorosa. Un film quasi "biologico" più che politico nella sua osservazione delle ferite del corpo, immagine e metafora delle ferite dell'anima. Film sulla Libertà, qua e là irritante e volutamente sgradevole, descrive accanitamente il corpo del protagonista, il suo disfacimento, le sue secrezioni (piscio, escrementi, pustole) con immagini che qua e là strizzano l'occhio all'arte contemporanea (graffitismo astratto, body-art). Pesante da sostenere, talvolta inguardabile, resta un'opera di sicuro interesse, un film teso, serrato, morboso, nevrotico. E bello
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darialuca
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lunedì 14 maggio 2012
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da vedere
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tanto bello quanto straziante
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estrellaroja
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lunedì 14 maggio 2012
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uun film bellissimo e potentissimo
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Opera d’esordio del regista Steve McQueen, che mette il suo talento iconografico al servizio di una storia “vera” e di grande spessore (a differenza della sua seconda opera “Shame”, che avevo trovato invece un po’ scollata e fine a sé stessa), ne esce un film bellissimo e potentissimo (e mi rendo conto che aveevo utilizzato questo aggettivo per descrivere il cinema di questo regista anche per il suo secondo film)!!!
Quella di Bobby Sands e degli altri 9 che con lui morirono nel secondo sciopero della fame ad oltranza, della battaglia per l’ottenimento dello status di prigioniero politico, delle proteste delle coperte e dello sporco, delle sevizie a cui erano sottoposti i detenuti negli H-Blocks di Long Kesh/Maze… sono tutte storie che mi hanno sempre appassionato tantissimo; questo sicuramente condizionerà la mia recensione, però credo davvero che Hunger sia un film eccellente.
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Opera d’esordio del regista Steve McQueen, che mette il suo talento iconografico al servizio di una storia “vera” e di grande spessore (a differenza della sua seconda opera “Shame”, che avevo trovato invece un po’ scollata e fine a sé stessa), ne esce un film bellissimo e potentissimo (e mi rendo conto che aveevo utilizzato questo aggettivo per descrivere il cinema di questo regista anche per il suo secondo film)!!!
Quella di Bobby Sands e degli altri 9 che con lui morirono nel secondo sciopero della fame ad oltranza, della battaglia per l’ottenimento dello status di prigioniero politico, delle proteste delle coperte e dello sporco, delle sevizie a cui erano sottoposti i detenuti negli H-Blocks di Long Kesh/Maze… sono tutte storie che mi hanno sempre appassionato tantissimo; questo sicuramente condizionerà la mia recensione, però credo davvero che Hunger sia un film eccellente. Perché queste storie le racconta in modo non didascalico, ma rappresentandole con immagini bellissime che stridono fortemente con la durezza degli eventi raccontati.
Lunghi piani sequenza, primissimi piani, silenzi (rotti soltanto dallo splendido colloquio -fatto anche questo di tre soli piani sequenza- tra Bobby Sands ed il parroco che cerca inutilmente di convincerlo a desistere dall’intenzione di intraprendere lo sciopero della fame), scene stupende, bellissime trovate (come quella delle mani escoriate del carceriere), un Fassbender davvero eccezionale che però entra in scena dopo soli 25 minuti dall’inizio del film (ché questa non è la storia di un martire… ma di un popolo martoriato!)… ecco perché credo che Hunger sia un film che meriti di essere visto da quante più persone possibile!
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zelos1977
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lunedì 14 maggio 2012
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mcqueen nello stile di un bresson del duemila!
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Un film durissimo, indagatore della vita carceraria irlandese, dove i detenuti dell'IRA venivano trattati come bestie. Un forte atto d'accusa contro il pugno duro del governo inglese della Thatcher dei primi anni '80.
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Un film durissimo, indagatore della vita carceraria irlandese, dove i detenuti dell'IRA venivano trattati come bestie. Un forte atto d'accusa contro il pugno duro del governo inglese della Thatcher dei primi anni '80.
Fassbender è veramente impagabile nel suo struggente dimagrimento, mai pentito nelle sue azioni di autoflagellazione, fino all'ineluttabile epilogo tragico.
La regia dettagliatissima fatta di inquadrature fisse di McQueen, riesce a sconvolgere talmente lo spettatore al punto di mostrare la vita carceraria come un vero inferno insostenibile! Quasi un R. Bresson degli anni duemila!
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no_data
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lunedì 14 maggio 2012
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mi ha lasciato a pancia vuota, appunto
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Film tecnicamente ben fatto, e come tale va segnalato, per il resto è secondo me troppo distaccato, freddo, teratologicamente e scatologicamente ossessionato. Virtuosismo inutile la scelta di individuare il protagonista solo dopo 45 minuti circa, fra l'altro fingendo un'opzione che era assai interessante. Tutti i personaggi sono vuoti e sospesi, unico realismo la violenza, evidentemente n'ode alla carne sofferente, forse come se questa carne fosse viva e l'interno fosse vuoto e privo di senso? Francamente, a parte il fastidio per la violenza e l'indugio sul deperimento e lo sguardo pressoché feticista sulle varie ferite dei carcerati e di Sands, ho provato sensazioni ma nessuna emozione, nessuna empatia, nessuna immedesimazione.
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Film tecnicamente ben fatto, e come tale va segnalato, per il resto è secondo me troppo distaccato, freddo, teratologicamente e scatologicamente ossessionato. Virtuosismo inutile la scelta di individuare il protagonista solo dopo 45 minuti circa, fra l'altro fingendo un'opzione che era assai interessante. Tutti i personaggi sono vuoti e sospesi, unico realismo la violenza, evidentemente n'ode alla carne sofferente, forse come se questa carne fosse viva e l'interno fosse vuoto e privo di senso? Francamente, a parte il fastidio per la violenza e l'indugio sul deperimento e lo sguardo pressoché feticista sulle varie ferite dei carcerati e di Sands, ho provato sensazioni ma nessuna emozione, nessuna empatia, nessuna immedesimazione. E francamente nulla che non si fosse già visto su qualsiasi fronte. Fortemente rappresentativo di tanta arte del tutto priva di idee dei nostri tempi. Sono uscito dal cinema avendo voglia di vedere un altro film; sono rimasto appunto un po' a pancia vuota.
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astromelia
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domenica 13 maggio 2012
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durissimevolmente
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...molte o nessuna parola ,sarebbe lo stesso,davanti a questi film tratti da storie realmente accadute mi piace stare in contemplazione come davanti ad un quadro di rara bellezza,tanta magnificenza in una tragedia umana,trattata con raffinata tecnica registica,fassbender-mc queen binomio imprescindibile,ancora fassbender strepitoso,attore capace di darsi totalmente alla macchina da presa, pellicola che ti sferra una pugnalata nello stomaco tale da farti desistere dal proseguire nella visione ma che ti fa partecipe nello stesso tempo,restano senso di angoscia nel ricordare quegli eventi lontani,mi sovvengono numerosi interrogativi, se e cosa è fisicamente la vita e il libero arbitrio,quanto vale immolarsi per la libertà svincolandosi dai dogmi spirituali,su tutto meglio assecondare il privilegio di aver visto un capolavoro, perchè di questo si tratta.
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...molte o nessuna parola ,sarebbe lo stesso,davanti a questi film tratti da storie realmente accadute mi piace stare in contemplazione come davanti ad un quadro di rara bellezza,tanta magnificenza in una tragedia umana,trattata con raffinata tecnica registica,fassbender-mc queen binomio imprescindibile,ancora fassbender strepitoso,attore capace di darsi totalmente alla macchina da presa, pellicola che ti sferra una pugnalata nello stomaco tale da farti desistere dal proseguire nella visione ma che ti fa partecipe nello stesso tempo,restano senso di angoscia nel ricordare quegli eventi lontani,mi sovvengono numerosi interrogativi, se e cosa è fisicamente la vita e il libero arbitrio,quanto vale immolarsi per la libertà svincolandosi dai dogmi spirituali,su tutto meglio assecondare il privilegio di aver visto un capolavoro, perchè di questo si tratta.
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