Katyn |
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Un film di Andrzej Wajda.
Con Andrzej Chyra, Maja Ostaszewska, Artur Zmijewski, Danuta Stenka, Jan Englert.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 117 min.
- Polonia 2007.
- Movimento Film
uscita venerdì 13 febbraio 2009.
MYMONETRO
Katyn
valutazione media:
3,42
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Storie sepolte del secolo brevedi Paola Di GiuseppeFeedback: 25414 | altri commenti e recensioni di Paola Di Giuseppe |
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lunedì 28 dicembre 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Katyn, di Andrzej Wajda, appartiene a quella categoria di film che danno un prezioso contributo alla conoscenza della storia, anche se, certo, come ogni forma d’arte, non possono assumersi il compito di deviarne la strada o determinare inversioni di rotta. Ben altre forze concorrono a questo e l’arte è testimonianza, spesso tragica, necessariamente neutrale, di miseria e nobiltà dell’uomo. Dunque Wajda realizza con un ritardo di venti anni un film sulle fosse di Katyn, già nel 1974 Dusan Makavejev aveva girato in Canada "Sweet Movie" sulla stessa vicenda. Una testimonianza troppo tardiva, dunque? Ma l’arte non rispetta i tempi né li condiziona, e allora Wajda, giunto alla stanca e depurata saggezza della vecchiaia, parte dalla sua vicenda privata, a lungo meditata e finalmente elaborata, e decide di raccontarci qualcosa di sé e di noi, come il poeta di ogni tempo. Il padre, capitano di fanteria, finì in quelle fosse e la madre ne aspettò il ritorno per tutta la vita. Ci sono stati archivi segreti nella storia del '900 che si è tardato molto ad aprire, la lista è lunga e ogni più piccola parte del mondo ha i suoi conti da fare con le proprie terribili memorie, spesso rimosse o occultate dalla ragion di Stato. Il merito indiscutibile del cinema è stato aver prestato all'indagine storiografica uno strumento formidabile di ricerca, analisi e diffusione, e Katyn entra ora a far parte di quel percorso dell'orrore, disseminato in vario modo per tutto il secolo scorso, di cui rischieremmo di sapere altrimenti ben poco. Fosse comuni in cui nel '40 furono buttati i corpi di 22.000 tra ufficiali dell'esercito polacco e civili, rastrellati soprattutto fra gli intellettuali e le classi dirigenti, divennero il macabro gioco a rimpiattino delle varie propagande di regime: i nazisti accusarono i comunisti del massacro, e non certo per amore di verità o del popolo polacco, successivamente toccò ai sovietici sbandierarlo come misfatto nazista per alimentare l'odio e tenere a bada la Polonia, una nazione cancellata dalla carta geografica all'indomani del patto Molotov-Ribbentropp del '39. Il contrappunto tra la vicenda privata e il dramma collettivo si snoda nel film in ampie volute, focalizza volti e vicende che s'intrecciano e si separano tragicamente, culmina nel realismo descrittivo di fortissimo impatto delle scene finali, a cui si pone come sigillo un lungo minuto con lo schermo vuoto, mentre si alza il canto del coro. Curata nel contenuto dosaggio delle emozioni, la presenza femminile è predominante nei momenti chiave del film, ed è portatrice di quella pietas che non trema nè arretra davanti alle prove più estreme (la morte e la mancata sepoltura, la scelta di non farsi complice della menzogna, la forza di guardare, moderne Antigoni, per l’ultima volta la luce, prima di essere sepolte nella cella sotterranea). Sovrasta ogni cosa l’orrore che coglie di fronte allo spettacolo della béte humaine, il richiamo forte a quelle leggi non scritte che dal teatro di Sofocle arriva fino ad oggi, attraverso i codici linguistici del cinema, agli uomini che non rinunciano a credere che esista una legge morale sopra di loro, “dal dì che nozze e tribunali ed are diero alle belve umane d’esser pietose di sé stesse e d’altrui”.
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