maurizio carucci negri
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giovedì 22 febbraio 2007
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5 stelle e' pari ad orizzonti di gloria e la grand
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trovo la recansione molto appropriata e ben fatta. Il film è pari ad "orizzonti di gloria e "La grande guerra"
Purtroppo queste recensioni non appaiono sui giornali, e molte recensioni a me sembrano "pilotate"
Esempio la indegna stroncatura del film "Concorso di colpa" forse dava fastidio ai DS?
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olga
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giovedì 22 febbraio 2007
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la guerra come follia
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LETTERS FROM IWO JIMA di Clint Eastwood
con Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Tsuyoshi Ihara.
Ancora un film di guerra e sulla guerra, ancora protagonisti soldati americani e giapponesi, ma quanta strada si è fatta da quei filmacci propagandistici degli anni bellici, che ci mostravano da una parte gli eroici generosi marines e dall’altra i feroci e disumani musi gialli. C’è stata da allora una cospicua produzione di narrativa e di film sull’argomento, che non ha mai smesso di esercitare sullo spettatore quella carica di coinvolgimento e di drammaticità che gli è propria. Su questa via si muove, e con successo, Clint Eeastwood, il lontano pistolero dei western-spaghetti degli anni ’60, che, passato alla regia, continua ad ogni opera a stupire e a suscitare consensi.
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LETTERS FROM IWO JIMA di Clint Eastwood
con Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Tsuyoshi Ihara.
Ancora un film di guerra e sulla guerra, ancora protagonisti soldati americani e giapponesi, ma quanta strada si è fatta da quei filmacci propagandistici degli anni bellici, che ci mostravano da una parte gli eroici generosi marines e dall’altra i feroci e disumani musi gialli. C’è stata da allora una cospicua produzione di narrativa e di film sull’argomento, che non ha mai smesso di esercitare sullo spettatore quella carica di coinvolgimento e di drammaticità che gli è propria. Su questa via si muove, e con successo, Clint Eeastwood, il lontano pistolero dei western-spaghetti degli anni ’60, che, passato alla regia, continua ad ogni opera a stupire e a suscitare consensi.
Sull’episodio Eastwood ci aveva già dato Flags of Our Fathers. Se in quel film il regista raccontava la sanguinosa conquista dell’isola da parte delle truppe americane, in Letters from Iwo Jima l’attenzione si sposta sul versante dei difensori. Insomma si tratta della stessa storia, stesso sfondo, stessa sceneggiatura, ma il tutto visto dall’altra parte. Nel film, con 142 minuti di racconto mozzafiato, egli ci introduce nel mondo insensato e disumano della guerra tout court, presentata con crudo realismo come strumento di risoluzione di contrasti internazionali, alla ricerca dell’annientamento totale del nemico. L’attenzione dell’autore si concentra da una parte sul dogmatismo ideologico dei governi che vedono nel conflitto armato l’unica possibilità di affermare la loro smania di potere, dall’altra sulla follia di comandanti militari, dal più alto grado al semplice graduato, che nella loro esaltazione non tengono in alcun conto la vita e il destino dei sottoposti.
Tramite le lettere scritte dai soldati giapponesi, mai spedite e ritrovate di recente in vecchie trincee e gallerie abbandonate, Eastwood ricostruisce il quadro di quella umanità condannata a morire o per mano delle bombe americane o per mano del suicidio d’onore imposto non solo dai vertici del comando ma anche da quei graduati che in quanto a fanatismo non si lasciano battere da nessuno. Il pregio del film è proprio in questa alternativa che si intuisce fin dalle prime inquadrature e tiene lo spettatore col fiato sospeso fino alla fine. Lo sguardo del regista sa mantenersi freddo e distante, coerente con quel rigido clima di esasperato militarismo che sottolinea ogni scena. Disturbano se mai quei pochi flash-back che ci mostrano momenti di umanità presenti in alcuni dei protagonisti; li si avverte come estranei a quel mondo in cui nulla ha una giustificazione se non il prevalere della logica assurda e mortale della guerra. I pochi segnali di critica e di disaffezione che si levano su questo sfondo vengono subito spenti e repressi con feroce brutalità.
Non mancano altri personaggi vivi e veri, spesso contraddittori, incerti tra il sacrifico estremo e il salvarsi la pelle: c’è chi si limita a mugugnare sottovoce, chi prova a disertare e viene subito ucciso, chi affronta il fuoco nemico o il suicidio.
Eastwood mostra ancora le sue doti di grande regista nell’adozione di geniali artifici, quali l’uso di un bianco e nero che si accende solo del rosso delle esplosioni o del sangue o il parlato originale sottotitolato. L’ex-pistolero continua dunque a produrre film che non deludono, di grande impatto emotivo, di grande valenza artistica, di profondo stimolo alla riflessione e alla libertà di critica.
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marco
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giovedì 22 febbraio 2007
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cinema di sentimenti
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Lettere da Iwo jima conclude la mini-saga eastwoodiana sulla seconda guerra mondiale, vista questa volta dalla prospettiva giapponese. Un film diverso per molti aspetti diverso dal precedente Flags of our fathers, ma indissolubilmente legato ad esso; opposto e allo stesso tempo complementare. Se nella parte americana si raccontava la macchina mediatica che alimentava la guerra, in questo caso è la guerra stessa la vera protagonista. Ma anche in questo caso le scene d’azione sono limitate e strettamente funzionali. Eastwood racconta le dramamtiche ore di difesa all’isoletta di Iwo Jima mostrandoci l’umanità, i sentimenti, le angosce e le paure dei soldati giapponesi, vittime consapevoli di una battaglia già persa in partenza.
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Lettere da Iwo jima conclude la mini-saga eastwoodiana sulla seconda guerra mondiale, vista questa volta dalla prospettiva giapponese. Un film diverso per molti aspetti diverso dal precedente Flags of our fathers, ma indissolubilmente legato ad esso; opposto e allo stesso tempo complementare. Se nella parte americana si raccontava la macchina mediatica che alimentava la guerra, in questo caso è la guerra stessa la vera protagonista. Ma anche in questo caso le scene d’azione sono limitate e strettamente funzionali. Eastwood racconta le dramamtiche ore di difesa all’isoletta di Iwo Jima mostrandoci l’umanità, i sentimenti, le angosce e le paure dei soldati giapponesi, vittime consapevoli di una battaglia già persa in partenza. Il patriottismo è uno dei fili comuni che legano i due film: strumentalizzato a fini propagandistici e politici nella prima occasione; usato come specchietto per le allodole per compensare incapacità militare o oggetti limiti nella seconda. Eastwood riesce al meglio a rendere quel profondo senso dell’onore che pervade la cultura orientale e come l‘unico mezzo per preservarlo, anche nel momento in cui la sconfitta è ormai diventata inevitabile sia il suicidio. Ma ben lungi dall’essere fredde macchine da guerra, nei soldati emerge un conflitto tra le ragioni della fedeltà alla patria e all’imperatore e le ragioni del cuore. (e che a volte hanno anche il sopravvento come nel caso del panettiere) Il tutto è raccontato con una sensibilità quasi sussurrata, ma efficace e a tratti struggente, anche se in alcune situazioni si sceglie la strada più facile. (la lettera del soldato americano letta e che ricorda quelle stesse lettere che i giapponesi scrivono alle loro famiglie; la musica alla radio che suscita commozione a ricordo di una realtà ormai distante)
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dankor
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lunedì 19 febbraio 2007
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obbedienza alla patria o ai propri sentimenti?
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E' un film di alta qualità , godibile anche se girato interamente in giapponese , che riesce a catturare l'attenzione dello spettatore e a commuoverlo ,senza mai essere sdolcinato, e a renderlo partecipe della morte imminente che incombe su questo manipolo di soldati destinati al sacrificio per la salvezza della patria; ed il punto cruciale sta proprio nel conflitto che emerge nella coscienza di questi uomini fra l'obbedienza agli ordini che comporta il suicidio come unica morte onorevole e la speranza della salvezza ,per poter rivedere i propri cari , anche al costo di arrendersi e passare per traditori.Sembra di assistere ad una tragedia classica in un'ottica orientale , dove si scontrano l'ostinata intolleranza della fedeltà all'imperatore e alle leggi sacre del patriottismo militaresco e l'umanità di alcuni ufficiali ( entrambi amici degli americani prima della guerra)che rapprensentano la nobiltà dei sentimenti e in qualche misura l'autentico spirito giapponese , eroico ma non fanatico.
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E' un film di alta qualità , godibile anche se girato interamente in giapponese , che riesce a catturare l'attenzione dello spettatore e a commuoverlo ,senza mai essere sdolcinato, e a renderlo partecipe della morte imminente che incombe su questo manipolo di soldati destinati al sacrificio per la salvezza della patria; ed il punto cruciale sta proprio nel conflitto che emerge nella coscienza di questi uomini fra l'obbedienza agli ordini che comporta il suicidio come unica morte onorevole e la speranza della salvezza ,per poter rivedere i propri cari , anche al costo di arrendersi e passare per traditori.Sembra di assistere ad una tragedia classica in un'ottica orientale , dove si scontrano l'ostinata intolleranza della fedeltà all'imperatore e alle leggi sacre del patriottismo militaresco e l'umanità di alcuni ufficiali ( entrambi amici degli americani prima della guerra)che rapprensentano la nobiltà dei sentimenti e in qualche misura l'autentico spirito giapponese , eroico ma non fanatico.
Forse , in questa divisione così netta fra il bene e il male Eastwood pecca un po' di ingenuità( di certo voluta) , tipica della mentalità americana , di distinguere con chiarezza il bene dal male.
Lo scopo del regista è di mostrare che al di là degli opposti schieramenti nella guerra , il bene e il male non stanno tutti da una parte o dall'altra , ma sono ugualmente presenti da ambo i lati . Ci sono delle scene davvero toccanti , interpretate benissimo , con la capacità di far trasparire un'ampia gamma di emozioni in modo naturale . Azzeccata è anche la fotografia e la scelta di un cromatismo ridotto a pochi colori , che ben si adatta all'ambiente arido e pietroso dell'isola.
E' , in fondo, un film di guerra sui generis perchè al di là delle scene dei combattimenti veri e propri , anche quelle di ottimo livello,c'è questa straordinaria analisi dei sentimenti di un gruppo di uomini che sanno di dover morire e reagiscono in maniera diversa a questa prospettiva. Un grande regista è in grado di cogliere tutte le sfumature e di raccontarcele in modo non banale senza facili pietismi.Eastwood ci riesce benissimo e realizza uno dei migliori film di questa stagione.
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(di ciro)
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max
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lunedì 19 febbraio 2007
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capolavoro.
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Che dire? un capolavoro. Clint Eastwood omaggia con grande umanità e saggezza i cattivi nemici di un tempo. Quelli che propaganda e filmografia statunitensi marchiavano come "sporchi musi gialli". Siamo lontani anni luce da quelle comode intolleranze. Questa è arte allo stato puro. La saggezza appena richiamata, sta nel riconoscere nel nemico "l'altro da sè" ma sempre l'Uomo. Sempre un altro essere vivente e non un nemico senz'anima e senza storia. Tutti i personaggi - peraltro alcuni realmente esistiti a partire dall'anticonformista generale Kuribayashi (grande Ken Watanabe) - sono credibili. Tratteggiati con cura. Coadiuva il regista, una fotografia struggente (quasi un bianco e nero crepuscolare che ben si attaglia alla sabbia nera e alle rocce impervie dell'isola).
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Che dire? un capolavoro. Clint Eastwood omaggia con grande umanità e saggezza i cattivi nemici di un tempo. Quelli che propaganda e filmografia statunitensi marchiavano come "sporchi musi gialli". Siamo lontani anni luce da quelle comode intolleranze. Questa è arte allo stato puro. La saggezza appena richiamata, sta nel riconoscere nel nemico "l'altro da sè" ma sempre l'Uomo. Sempre un altro essere vivente e non un nemico senz'anima e senza storia. Tutti i personaggi - peraltro alcuni realmente esistiti a partire dall'anticonformista generale Kuribayashi (grande Ken Watanabe) - sono credibili. Tratteggiati con cura. Coadiuva il regista, una fotografia struggente (quasi un bianco e nero crepuscolare che ben si attaglia alla sabbia nera e alle rocce impervie dell'isola). Gli attori sono impeccabili. Non una sbavatura. Quasi una grande commedia greca. Struggente il finale.
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[+] solo clint estwood poteva tanto...
(di ricle)
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