American Dreamz |
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Un film di Paul Weitz.
Con Hugh Grant, Dennis Quaid, Mandy Moore, Marcia Gay Harden, Willem Dafoe.
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Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 107 min.
- USA 2006.
uscita venerdì 9 giugno 2006.
MYMONETRO
American Dreamz
valutazione media:
3,13
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il funerale del sogno americanodi lester burnhamFeedback: 0 |
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lunedì 15 gennaio 2007 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
American Dreamz è stato veramente un disastro al botteghino. Non so se lo meritasse ma, come disse William Munny a Little Bill: in questa storia i meriti non c’entrano. Cosa allora (posto che valga la pena chiederselo) non ha funzionato? Forse nulla. Forse il film ha funzionato benissimo. Pure troppo. Si perché forse American Dreamz è uno di quei film molto fastidiosi (in senso Altmaniano): forse distrugge davvero qualcosa. La gente non ama pagare il biglietto per capire di essere stupida e quanto (tanto più i cittadini dell’Amministrazione Bush). Paul Weitz ha esperienza di produttore. Paul Weitz è il regista di American Pie, About a Boy e Good Company oltre che di American Dreamz e gli ultimi tre li ha pure scritti oltre che diretti: Paul Weitz ha già fatto successo e conosce il genere commedia/music. Potrebbe trattarsi di un film così ben fatto da costituire (volutamente, spero) satira molto più che graffiante e molto apprezzabile se sei uno di quelli che da qualche anno ha cominciato a chiedersi se le torri gemelle siano venute giù più per demolizione organizzata che per cause aeree. Gli attori sono tutti perfetti (e hanno l’aria di essersi divertiti parecchio). I temi e i personaggi sono conosciuti ma quando è la tv a proporli (come ormai da anni) tutti quegli aspetti tristi di esseri umani che vivono sperando di sentirsi davvero protagonisti di qualcosa davanti alla telecamere (che il film concentra in meno di due ore sfiancando lo spettatore fino al finale drammatico/grottesco), risultano molto ma molto più digeribili e forse addirittura non privi di dignità, se spalmati su intere stagioni televisive. Il plot “terroristico” incarna una paura sulla cui incerta fondatezza è già stata data ampia dimostrazione dalla attuale amministrazione U.S.A.) e fa pensare, nel finale, che un certo appoggio “interno” ai terroristi sia perlomeno pensabile; un finale molto amaro per chi ama davvero: come l’”eroe di guerra reduce Iraq” follemente innamorato della straordinaria Mandy Moore o il presentatore, strepitoso Grant, che mette la telecamera prima di ogni altra cosa. L’amore (o forse solo il “troppo” amore) perde, e questo àncora il film alla realtà più di quanto già non lo sia. Non è un film sulla tv ne su chi la fa (che, dura lex sed lex, non esisterebbe se non ci fosse chi la guarda). È un film su chi, appunto, la tv la guarda. Su chi la sceglie. Le stesse persone che hanno scelto quel Presidente. È un film su popoli (si, non solo quello americano) uniti ormai solo dalla tv. Dai sogni e paure che quotidianamente trasmette. Quei sogni e paure che Paul Weitz forse distrugge davvero. Da vedere e rivedere per chi ha capito di essere intossicato da (forse sempre troppa) tv.
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