Un melodramma che ricorda Bergman
di Roberto Nepoti La Repubblica
Secondo titolo dell'iniziativa "Cinque pezzi facili", film europei distribuiti in lingua originale con sottotitoli. Dopo avere affrontato una quantità di generi, dal thriller alla commedia, dal musical alla storia fantastica, François Ozon si rivolge al melodramma: firmando, addirittura, un "cancer movie", ma senza compiacimenti cimici morbosi né imbarazzanti patetismi. li trentenne Romain, fotografo omosessuale, scopre di avere Un cancro in fase terminale. Senza dire nulla ai congiunti, decide di morire solo, su una spiaggia popolata di bagnanti. Prima di allora, incontra il padre, con cui ha un ultimo colloquio che resta tronco; rivede la sorella, ma solo da lontano; fa visita alla nonna (una sublime Jeanne Moreau), che intuisce il destino dei nipote e, prossima come lui alla morte, lo condivide. Ma insegue anche un fantasma: il se stesso che è stato da bambino. Ozon non ritiene che chi, in un film, è destinato a morire sia necessariamente un tipo ammirevole. Forse Romain, pur rimpiangendola, non ama neppure tanto la vita; certo, non si sforza di preparare il suo "santino" per chi rimane. Variando sul tema del lutto, come già in Sotto la sabbia, con Le temps qui reste il cineasta realizza un film profondamente bergmaniano, per ispirazione e per stile. E la presenza della Morte che permette, finalmente, di strappare momenti di verità alla piattezza mortifera delle abitudini quotidiane, del non-detto e del non-vissuto.
Da La Repubblica, 30 giugno 2006
di Roberto Nepoti, 30 giugno 2006