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Una rappresentazione della vita attuale dove i nemici di Costa Gavras non sono più i tiranni, le giunte militari o i politici ma le multinazionali. Il lavoro per noi è diventato la nostra stessa vita, la nostra affermazione sociale e poi un giorno di punto in bianco si delocalizza, si terziarizza, si riduce personale: in sostanza si rimane a casa. Come dice il personaggio, al cui posto di lavoro punta il protagonista: spostano il lavoro nei paesi ancora da sviluppare per ridurre i costi ma poi chi comprerà i prodotti, se si lascia senza stipendio la gente della vecchia Europa che è ancora (forse ancora per poco), uno dei mercati più importanti del mondo? Ci si immedesima nel protagonista: siamo tutti terrorizzati di perdere i nostri privilegi e per questo si diventa schiavi del sistema.
Io non sono per il comunismo, per carità, la storia ha fatto chiarezza, e i suoi limiti ed errori sono ormai noti; però è ora che i governi, specialmente quello centrale comunitario, inizino a mettere dei paletti ai manager rampanti e alle loro corporation che ragionano sono nell’ottica del profitto e dei loro contratti, massimo tre anni: sono miopi, non credono nel prodotto né nei loro dipendenti e possono portare solo alla distruzione del Know How delle aziende, non importa più chi lavora bene o la bontà del prodotto ma solo il profitto a breve termine.
Il film è a tratti divertente, quasi una parodia, e a tratti ricco di suspense stile thrilling; il doppiaggio però, secondo me, ha rovinato tutto: è mal fatto e rende i dialoghi lontani e irreali. Oltre al protagonista gli attori non mi sono sembrati un granché, la regia è attenta e discreta e asseconda gli avvenimenti senza essere irruente ed eccessiva come oramai usano in molti.
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