Silvano ritorna con il figlioletto nella diroccata casa d'infanzia nelle campagne in quel di Salò. Tra le suppellettili divelte e vecchie fotografie rievoca l'infanzia vissuta colà negli ultimi, difficili anni della guerra. Lirismo magico e realismo poetico sembrano le corde che l'autore voglia toccare per evocare l'aspra dolcezza della sua infanzia tra la calda tenerezza del nido familiare e la cruda realtà di una guerra assurda e inumana. L'intento tuttavia va completamente a vuoto, anche e soprattutto per un apparato tecnico-narrativo inadeguato e per gravi errori nella scrittura. Il film appare confuso con una struttura a flashback che da un lato non sostiene coerentemente il punto di vista dei piccoli protagonisti (colti spesso con l'ingenuo trucchetto di fargli spiare i grandi dal "buco della serratura", surrogandone quindi una visione 'adulta' che non gli è credibilmente propria), dall'altro è appesantito da un calligrafismo velleitario e irritante che scimmiotta la nobiltà estetica di certo cinema sovietico (Tarkovskij compare nei crediti non si sa a quale titolo).
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Silvano ritorna con il figlioletto nella diroccata casa d'infanzia nelle campagne in quel di Salò. Tra le suppellettili divelte e vecchie fotografie rievoca l'infanzia vissuta colà negli ultimi, difficili anni della guerra. Lirismo magico e realismo poetico sembrano le corde che l'autore voglia toccare per evocare l'aspra dolcezza della sua infanzia tra la calda tenerezza del nido familiare e la cruda realtà di una guerra assurda e inumana. L'intento tuttavia va completamente a vuoto, anche e soprattutto per un apparato tecnico-narrativo inadeguato e per gravi errori nella scrittura. Il film appare confuso con una struttura a flashback che da un lato non sostiene coerentemente il punto di vista dei piccoli protagonisti (colti spesso con l'ingenuo trucchetto di fargli spiare i grandi dal "buco della serratura", surrogandone quindi una visione 'adulta' che non gli è credibilmente propria), dall'altro è appesantito da un calligrafismo velleitario e irritante che scimmiotta la nobiltà estetica di certo cinema sovietico (Tarkovskij compare nei crediti non si sa a quale titolo). Ne risulta un'opera indecisa tra il lirismo della rievocazione autobiografica e la e la dimensione onirica e simbolica delle suggestioni infantili. Tuttavia anche quando volge lo sguardo sulla realtà non lo fa con il lucido coraggio che questa meriterebbe, cadendo spesso nell'abbozzo (la figura del vecchi Crimen cui dà il volto un ormai vetusto e stanco Alain Cuny) o nel clichè retorico della rievocazione storica (il laico cerimoniale fascista con tanto di 'Figlia della Lupa', il doppiogiochismo del podestà in camicia nera prima e foulard verde poi, la cantilena irritante di tutte le orecchiabili canzoncine del littorio, le spietate fucilazioni dei nazisti braccati, persino l'ebreo solitario ucciso quasi per gioca da una squadraccia di passaggio). Alcuni personaggi poi appaiono genuinamente bidimensionali come la libertina zietta che passa allegramente dalle braccia del gerarca nazista a quelle di un profugo con il pallino dei giochi di prestigio, per finire inevitabilmente cinta dalla stretta possente e protettiva di un marine afroamericano. Si rileva la scelta di una bella fotografia dai colori saturi e caldi (un pò indecisa nelle scene notturne) e alcuni primi piani di struggente bellezza (presto vanificata dalle insistite riproposizioni di un montaggio ridondante). Nei titoli di coda comunque le motivazioni segrete e inconfessabili della prodiga fatica dell'autore. Direrete voi la dedica a tutti i bambini periti durante il conflitto. Più prosaicamente la presenza di un sostanzioso contributo pubblico per la realizzazione del film e una sfilza infinita di collaboratori artistici e tecnici di nome Agosti; oltre all'utore s'intende!
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