eugenio
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giovedì 17 gennaio 2013
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poesia e struggimento nel segno di kaurismaki
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L’inizio non è confortante: un umile impiegato francese, Henri Boulanger (uno stralunato Leaud) lavoratore indefesso dell’ufficio alle acque Waterwoks,viene licenziato senza preavviso dopo quindici anni di servizio a causa di inevitabili quanto drastici cambi di personale figli della riforma thatcheriana. Ritrovatosi senza lavoro e con un guasto orologio in mano pegno per la fedeltà mostrata nei confronti dell’azienda, il solitario Henri privo di affetti al mondo medita il suicidio ma fallendo miseramente nella goffa impiccagione (e nell’ancor più ridicola uccisione per avvelenamento da gas), decide di ingaggiare un killer perché porti a compimento l’opera da lui maldestramente fallita.
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L’inizio non è confortante: un umile impiegato francese, Henri Boulanger (uno stralunato Leaud) lavoratore indefesso dell’ufficio alle acque Waterwoks,viene licenziato senza preavviso dopo quindici anni di servizio a causa di inevitabili quanto drastici cambi di personale figli della riforma thatcheriana. Ritrovatosi senza lavoro e con un guasto orologio in mano pegno per la fedeltà mostrata nei confronti dell’azienda, il solitario Henri privo di affetti al mondo medita il suicidio ma fallendo miseramente nella goffa impiccagione (e nell’ancor più ridicola uccisione per avvelenamento da gas), decide di ingaggiare un killer perché porti a compimento l’opera da lui maldestramente fallita. Fin qui il tragico, veniamo al lato comico: innamoratosi di un’avvenente fioraia, Henri muterà intenzioni acquisendo maggiore fiducia in sé stesso fino a riacquistare la gioia di vivere. Purtroppo questa scelta tardiva si mostrerà inutile in quanto il contratto stipulato non potrà essere più recesso con facilità. Gli elementi della filmografia del regista Kaurismaki ci sono tutti: descrizione impersonale e straniata, vuoto esistenziale, dolore, rinascita, un pizzico surreale ironia e confermano l’abilità di un regista che negli ultimi anni ha saputo affermarsi per l’analisi asciutta della natura umana. Fondendo tratti di commedia nera e drammatica a sapienti caratterizzazioni comiche di una personalità umiliata dalla vita e apparentemente piova di dignità, Ho affittato un killer si riconduce ai classici presupposti di ispirazione russa (l’ambiente chiuso a quasi asfissiante nella sua monotonia lavorativa ricorda almeno inizialmente il breve romanzo il Sosia di Dostojevski ma anche Il cappotto di Gogol) non esulando una comicità e un’ironia permeate, tuttavia, di un’amarezza di fondo dettata dalla grottesca volontà di vivere. E’ in tale contesto che questa pellicola si inserisce costituendo quasi un’anomalia nella produzione del regista finlandese (rispetto alla precedente trilogia della classe operaia) in quanto incentrata sul tema della fuga dalla morte. Il disperato ritratto di un deluso dall’esistenza, incapace di reagire di fronte alla caduta di un mondo basato sul lavoro come unica fonte di sostentamento e felicità, ha il suo specchio nella figura pietosa di un sofferente killer, alter-ego estraniato del singolare Henri. Non esiste dicotomia nel film: il bene è sempre contaminato dal male e anche l’emaciato volto dell’assassino consumato dal cancro e disilluso dalla vita non può che gettare un’ombra di tristezza nel cuore dello spettatore. Una sensazione che può essere mitigata solo dalla poesia dell’amore, il motore della vita, in grado di vincere ogni perdita di certezza e salvare ogni disperata anima da una lenta dissoluzione interiore. In conclusione, un buon film dalla riuscita caratterizzazione e dagli azzeccati interpreti con un piccolo neo legato all’eccessività del distaccato cinismo, bilanciato in ogni caso da una sottile vena umoristica.
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howlingfantod
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giovedì 24 novembre 2016
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ironia, parodia, poesia
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Kaurismaki non sbaglia un colpo, sarà l’ironia nordica, fantozziano, forse più Mr Bean visto il milieu inglese con un esule francese nella terra di sua maestà, un impareggiabile Jean Paul Leaud, già maschera dolente della nouvelle Vague che già da sé vale il film, qui nei panni di un aspirante suicida che visto non riesce a compiere la sua opera assolda un agenzia contattata nello sgabuzzino di un bar al fin che lo faccia fuori. Quando ha cambiato idea perché innamorato, semplicemente il bar non esiste più, ridotto non si capisce perché a macerie ed il compito del killer deve essere portato a termine e non sembra quindi esserci modo di impedirlo. I tempi dilatati, i dialoghi scarni e gli altrettanto scarni ed essenziali ambienti ed interni sotto la solita luce inquisitoria di scena che indugia sui volti inespressivi dei protagonisti e di tutti i caratteristi che fanno da contorno come in tutti i film del regista, danno essi stessi un senso ai suoi film e l’effetto straniante che li caratterizza.
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Kaurismaki non sbaglia un colpo, sarà l’ironia nordica, fantozziano, forse più Mr Bean visto il milieu inglese con un esule francese nella terra di sua maestà, un impareggiabile Jean Paul Leaud, già maschera dolente della nouvelle Vague che già da sé vale il film, qui nei panni di un aspirante suicida che visto non riesce a compiere la sua opera assolda un agenzia contattata nello sgabuzzino di un bar al fin che lo faccia fuori. Quando ha cambiato idea perché innamorato, semplicemente il bar non esiste più, ridotto non si capisce perché a macerie ed il compito del killer deve essere portato a termine e non sembra quindi esserci modo di impedirlo. I tempi dilatati, i dialoghi scarni e gli altrettanto scarni ed essenziali ambienti ed interni sotto la solita luce inquisitoria di scena che indugia sui volti inespressivi dei protagonisti e di tutti i caratteristi che fanno da contorno come in tutti i film del regista, danno essi stessi un senso ai suoi film e l’effetto straniante che li caratterizza. Effetto straniante in questo caso dato anche da un francese (Leaud) che non nasconde il suo accento in una grigissima e cupa Londra. Tutti questi sono da sempre i dati ed il marchio di fabbrica del regista Finlandese che si diverte a giocare con il noir in questo caso parodiandolo, ribaltandolo, il committente dell’ omicidio su commissione che in realtà chiede che sia lui stesso ad essere ucciso. Una piccola perla di ironia, teatro dell’ assurdo, dove ogni singola scena potrebbe già valere a sé stessa come in un cabaret e allo stesso tempo con significati e poesia densi e raffinati.
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francesco2
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sabato 24 gennaio 2015
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i tempi del migliore kaurismaki
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Come scrive giustamente la recensione di "MyMovies", il regista finalandese è approdato in Italia nei primi anni'90 con dei titoli come quelli enumerati e qualche altro, come "Amleto nel mondo degli affari" (Che però, forse. non ha trovato spazio nei circuiti ufficiali).
Film così simili ed allo stesso tempo così diversi, zeppi di malinconia nascosta e mescolata ad un certo humour nero. Il regista, in alcune situazioni non sembrerebbe neanche volerli "Difendere": ad esempio i "Cowboys" sono forse più dei mediocri che dei talenti incompresi, e sulla "Ragazza assassina" credo si astenga dall'emettere giudizi di tipo morale.
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Come scrive giustamente la recensione di "MyMovies", il regista finalandese è approdato in Italia nei primi anni'90 con dei titoli come quelli enumerati e qualche altro, come "Amleto nel mondo degli affari" (Che però, forse. non ha trovato spazio nei circuiti ufficiali).
Film così simili ed allo stesso tempo così diversi, zeppi di malinconia nascosta e mescolata ad un certo humour nero. Il regista, in alcune situazioni non sembrerebbe neanche volerli "Difendere": ad esempio i "Cowboys" sono forse più dei mediocri che dei talenti incompresi, e sulla "Ragazza assassina" credo si astenga dall'emettere giudizi di tipo morale.
Qui dai paesaggi innevati del suo paese ci spostiamo a Londra, ma i risultati non cambiano, o forse sì: nel senso che, paradossalmente, chi non è suo connazionale viene più "compreso" dal regista, ma lo stesso parzialmente vale anche per il killer. Uno specchio, forse, dell'Europa primi anni '90 dove funzionano bene, forse molto bene, anche figurine come il "Capo" della protagonista o il portiere, in quello che Irene Bignardi definì un teatro dell'assurdo.
Forse il personaggio meno riuscito è proprio quello femminile: riallacciandolo alla "Fiammiferaia", qualcuno potrebbe accusare l'autore di misoginia; ma, ripeto, forse significherebbe non avere compreso il film precedente. E comunque
proporrei di tenerci "Questo" Kaurismaki, quando oggi vengono troppo celebrati certi film non così eccezionali ( "Miracolo a Le Havre", e soprattutto "L'uomo senza passato"), o addirittura lui incappa in passi falsi come "Luci nella notte".
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