La tomba delle lucciole

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Un film di Isao Takahata. Con Tsutomu Tatsumi, Ayano Shiraishi, Yoshiko Shinohara, Akemi Yamaguchi, Corrado Conforti.
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Titolo originale Hotaru no haka. Animazione, Ratings: Kids+13, durata 90 min. - Giappone 1988. - Koch Media uscita martedì 10 novembre 2015. MYMONETRO La tomba delle lucciole * * * * - valutazione media: 4,35 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

L''innocenza e la guerra Valutazione 5 stelle su cinque

di Tom Cine


Feedback: 4681 | altri commenti e recensioni di Tom Cine
martedì 22 luglio 2025

Il cinema ha raccontato e racconta tante volte la seconda guerra mondiale, narrando spesso vicende che si svolgono in Europa: più raramente (almeno così sembra da questo angolo di mondo) sono state inscenate storie che raccontano questo conflitto ponendo come sfondo, il continente asiatico. Se poi ci si sofferma sul Giappone non si può dimenticare che è proprio lì che il secondo conflitto globale si concluse definitivamente e nel peggiore dei modi. La ricerca si fa ancora più ardua se ci si rivolge al cinema d’animazione, ma gli esempi ci sono: si pensi ai due film che furono tratti, negli anni ’80, dal manga di Keiji Nakazawa, “Gen di Hiroshima”, oppure a “Si alza il vento” di Hayao Myazaki. Anche “La tomba delle lucciole”, come lo splendido film di Myazaki, è targato “Studio Ghibli”. Vale la pena di spendere qualche riga sulla storia produttiva di questo film, uscito nel 1988. La storia è tratta da un romanzo parzialmente autobiografico di Nosaka Akiyuki, e alla base di essa c’è un fatto dolorosissimo: l’autore riversò sul testo il suo senso di colpa per la morte della sorella minore, deceduta durante il conflitto. Allo scrittore fu proposto varie volte di cedere i diritti per una trasposizione cinematografica tradizionale, ma Akiyuki optò infine, per un lungometraggio d’animazione e il progetto finì sotto la responsabilità dello Studio Ghibli e di Isao Takahata (una delle “colonne” dello Studio Ghibli insieme a Myazaki). Fu la mossa vincente: il risultato fu un film rimasto giustamente nella storia del cinema d’animazione mondiale e impregnato di una poesia e di una delicatezza difficilmente raggiungibili con un film tradizionale. Tuttavia, “La tomba delle lucciole” non è un film la cui visione lascia comodi sulla poltrona e chi si appresta a vederlo è avvisato fin dalle prime scene: qui il tono è poetico ma è anche molto tragico e crudo.

La vicenda si apre nella stazione di Kobe, in Giappone, nel settembre del 1945: la guerra è finita da poche settimane, lasciando dietro di sé una scia di morti e di miseria. Su uno dei marciapiedi della stazione un ragazzino, Seita, muore di stenti. Nel palmo di una mano stringe una scatolina di latta (scopriremo, in seguito, che conteneva caramelle e che ha una sua importanza narrativa). La morte sopraggiunge in mezzo all’indifferenza dei passanti. Dopo il decesso, il fantasma di Seita osserva il suo stesso cadavere, spaventato e incredulo. Nessuno può accorgersi di questa “presenza”. Uno degli addetti alle pulizie trova la scatolina di latta e la getta in un prato. Nel punto raggiunto dall’oggetto, compare improvvisamente il fantasma di una bambina: si chiama Setsuko, è la sorella minore di Seita e lo sta aspettando. Seita la raggiunge e i due si tengono per mano, cominciando a dirigersi verso una destinazione. Mentre proseguono il loro cammino, Seita rivive gli ultimi mesi della loro vita, dalla morte della madre sotto i bombardamenti ai loro disperati tentativi di sopravvivenza, fino al loro tragico destino.

“La tomba delle lucciole” comincia, dunque, dal pre-finale, con uno stratagemma “fantastico” inscenato abilmente e che inframezza la vicenda  per far digerire allo spettatore bocconi amarissimi: perché il resto del film sbatte la tragicità della guerra e della miseria che porta con sé, spirituale più che materiale, con una forza che forse non ha eguali e dove l’empatia che suscitano i due protagonisti (oltretutto i disegni sono bellissimi e le espressioni facciali  dei due personaggi principali sono meravigliose e abbracciano tutta la vasta gamma delle emozioni), con la loro voglia di giocare e di vivere nonostante tutto, conduce senza tentennamenti lo spettatore verso la commozione che racchiude in sé il messaggio del film. In questa meravigliosa opera, la condanna della violenza è totale e senza ambiguità: non ci sono sconti sull’imperialismo giapponese e sulla manipolazione psicologica dei popoli (il personaggio della zia ne é l’esempio più evidente e lo stesso Seita, figlio di un ufficiale della Marina, ne è a sua insaputa imbevuto per poi subirne inconsapevolmente le conseguenze), la stragrande maggioranza degli adulti dà il peggio di sé (un’eccezione c’è, in questo film ed è un esempio di grandissima umanità durante una delle scene più belle) e gli istinti peggiori scatenati dal conflitto si riversano soprattutto sui minori, ben rappresentati dalla coppia di protagonisti. Ma non ci sono soltanto l’importanza delle tematiche (purtroppo sempre attuali) e la bellezza dei disegni a rendere grandissimo questo film: no, ciò che lo rende davvero un capolavoro è la sua finezza psicologica. Se non fosse un film d’animazione e non avesse quel prologo e quell’epilogo (meravigliosi e davvero poetici), lo si potrebbe perfino definire un film quasi neorealista (“quasi” perché il neorealismo fu una corrente del cinema italiano) perché i personaggi sono tutti credibili e verosimili e le scene hanno un impatto perfino sgradevole durante i momenti più crudi: non poteva essere altrimenti, perché qui si parla della guerra con il suo corollario di stragi e di stenti. Seita e Setsuko attraversano uno scenario in cui la follia e l’egoismo la fanno da padroni, dove non c’é pietà per i due nemmeno, complice la miseria, subito dopo la fine del conflitto ma anche dove, nello stesso tempo, l’infanzia e la giovinezza reclamano il loro diritto alla felicità: ecco, quindi, che gli unici posti rassicuranti diventano, temporaneamente, il rifugio isolato dove fratello e sorella tentano di ricomporre una parvenza di serenità e quella spiaggia che si affaccia su un mare bellissimo, simbolo di un’innocenza che rischia di essere perduta o sopraffatta. Innocenza incarnata perfettamente anche dalla piccola Setsuko che, attraverso i suoi gesti e le sue affermazioni, ricorda agli spettatori che i bambini, pur avendo uno sguardo ancora puro, percepiscono anche la crudeltà del mondo: è lei a scavare la tomba del titolo mentre, seppellendo le lucciole, dice che è ingiusto che vivano troppo poco. Un’immagine tristissima che si trasforma, attraverso il montaggio e la narrazione, in una metafora terribile: quelle lucciole gettate nella terra sono come gli esseri umani, le cui vite sono state “spente” appunto troppo presto, buttati nelle fosse comuni. Una scena veramente difficile da dimenticare e che contribuisce anch’essa a rendere memorabile un film veramente “forte” (complice anche una colonna sonora veramente tenera e commovente), ma che rimane nella memoria come tutti i veri capolavori e resta purtroppo attuale: perché questo film è anche un grido, duro e straziante, contro ogni forma violenza, inclusa soprattutto la guerra, che mette con le spalle al muro chi non vuole né vedere né sentire.

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