IL MARATONETA (USA, 1976) diretto da JOHN SCHLESINGER. Interpretato da DUSTIN HOFFMAN, LAURENCE OLIVIER, ROY SCHEIDER, WILLIAM DEVANE, MARTHE KELLER, LOU JACOBI, FRITZ WEAVER
Babe Levy è uno studente universitario di storia ebreo, appassionato della corsa, che prepara la tesi sulle ingiustizie perpetrate anni addietro dal senatore Joseph McCarthy (di cui fu vittima anche suo padre, uomo molto in vista) e si allena per la maratona, siccome è appassionato di corsa. Ha un fratello, Doc, che effettua, a sua insaputa, un doppio gioco avvalendosi di una società che copre le sue azioni fra una società militaresca segreta e gruppi di nazisti ricercati dalle polizie internazionali. Proprio quando, in un incidente stradale, muoiono contemporaneamente un vecchio ebreo e un suo coetaneo che custodiva in automobile una cassetta di diamanti, Doc si assume un incarico a Parigi e scampa per poco a un attentato. Raggiunge Babe a New York, il quale gli presenta Elsa Opel, una ragazza conosciuta nella biblioteca dell’università di cui lo studente s’è innamorato, ma in cui suo fratello presagisce puzzo di spia infiltratasi nella rete. Il ritorno dall’Uruguay di un potente criminale di guerra nazista, Christian Szell, comporta l’omicidio per mano sua di Doc e l’ingresso involontario di Babe nelle vicende in cui il defunto congiunto era implicato. Braccato sia dalla Divisione, che fa riferimento a Peter Janeway, e all’altro capo da Szell, Babe è costretto a collaborare, ma presto si ritrova torturato e, quando si capisce che non sa niente di utile alla causa dei malavitosi, rischia di passare a miglior vita, ma si salva grazie alle sue doti di maratoneta. Dopodiché, ospite di vicini portoricani che lo deridono, ma che stavolta decidono di aiutarlo, si mette ad indagare sul traffico di diamanti e scopre l’effettiva complicità di Elsa nel malaffare. Alla vigilia della resa dei conti, nella casa campestre del fratello di Szell, Janeway uccide Elsa e muore a sua volta per mano di Babe. Scovato Szell per le strade di New York, Babe si arma di pistola e lo costringe, dentro un idroscalo, a inghiottire uno per uno i suoi diamanti, finché non si scatena un duello mortale in cui l’ex gerarca nazista non si ammazza da sé, trafitto dalla lama retrattile del suo coltello nascosto nella manica della camicia. Compiuto il proprio riscatto, Babe lancia la pistola oltre la rete nell’Oceano Atlantico. Diretto con sapienza un po’ accademica e qualche effettismo, basato su una sceneggiatura di William Goldman (da un proprio romanzo) che è una fantasia ebraica di vendetta, sembra che voglia esprimere la sua opinione sul nazismo, la libertà e il maccartismo, ma si rivela presto un thriller efficace con un finale discutibile. L’interpretazione del timido e introverso accademico di Hoffman, in grado tuttavia di risvegliarsi e sollevare un ghigno temerario dal proprio volto, fa da perfetto contraltare alla cattiveria indemoniata e al carisma palpabile di Olivier, mai pentitosi delle proprie sciaguratezze e anzi sulla via del ritorno per ritemprare la sua crudeltà. Quanto al resto del cast, non deludono le prove di Scheider (uomo d’azione pittoresco come un James Bond in seconda linea), Devane (comandante furbo e iracondo di un’organizzazione che ramifica delinquenti in tutto il globo e li rintraccia per negoziarvi o per trarli in trappola) e Keller (dolce e maliarda in superficie, in realtà coinvolta a pieno titolo in un pericoloso domino di cui quasi non pare consapevole). Schlesinger, già regista al servizio di Hoffman nell’eccezionale Un uomo da marciapiede (1969), dirotta l’attenzione dapprima dalla suspense per condurla sugli attori e poi ve la riconduce nei momenti culminanti peccando talvolta di cariche troppo pompate di violenza o tempi illogici, ma senza mai mancare l’obiettivo con l’occhio d’un padrone della macchina da presa che conosce la sua materia narrativa, non ragiona per accumuli e punta sì a spaventare lo spettatore, evitando però di ricattarlo. Stupende viste delle strade pomeridiane newyorkesi poco prima del crepuscolo, alternate ai rarefatti paesaggi francesi e sudamericani che comunque costituiscono un’integrante brano che muove la sinfonia e armonizza il racconto sul colorito affilato del dramma. Riferimenti funzionali a un passato dove gli USA hanno avuto in parte ragione e in parte torto marcio, pertanto non assolve né colpevolizza indiscriminatamente, ma lancia appelli allarmanti su cui regolarsi per i comportamenti futuri. L’aspetto spettrale degli ambienti si allinea al continuo gioco di rimando fra Bene tramontante e Male oscuro. Passata ad antologia la scena del dentista.
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